Nella storia del pensiero occidentale per lungo tempo le differenze tra uomini e donne e le loro ricadute nel campo dei diritti (al lavoro, alla cura, all’autonomia) sono state trascurate nelle analisi, date per scontate. Se ne parla nel n. 1/2018 di Rps La Rivista delle Politiche Sociali.
Il volume numero 1/2018 de La Rivista delle Politiche Sociali dedica la sezione monografica al rapporto tra welfare e (differenze di) genere. I curatori, Emmanuele Pavolini e Cristina Solera, ci ricordano nell’introduzione che “nella storia del pensiero occidentale e nelle scienze umane per lungo tempo l’appartenenza e le differenze di genere sono state assenti: non nominate, trascurate nelle analisi, date per scontate”.
Nel numero vengono esplorati vari aspetti, attraverso 12 articoli raccolti in tre diversi capitoli o blocchi: diritto al lavoro, diritto alla cura, diritto all’autonomia e alla diversità. Negli primo blocco di interventi sul “Diritto al lavoro” gli autori riflettono se e come il lavoro retribuito sia effettivamente un canale di indipendenza delle donne (e degli uomini), e su quali politiche di sostegno alla conciliazione debbano essere perseguite.
Mauro Migliavacca e Manuela Naldini mettono a confronto le politiche di Australia, Stati Uniti, Italia e Giappone per favorire l’equità di genere, evidenziando il rapporto tra fecondità e occupazione, per comprendere come sono state affrontate in questi quattro Paesi le trasformazioni socio-economiche intervenute in questi anni nel rapporto tra famiglia e lavoro.
Arianna Santero e Cristina Solera analizzano la condizione delle lavoratrici madri migranti. Dal loro articolo emerge con chiarezza che le madri straniere, con la nascita dei figli, hanno rischi di esclusione dal mercato del lavoro più elevati di quelli delle madri italiane, ma anche di come ciò sia dovuto non solo ad aspetti culturali, ma a svantaggi nella posizione lavorativa, perché più spesso lavoratrici in nero o a tempo determinato pre-gravidanza.
Stefano Neri analizza la recente riforma del 2017 (il decreto legislativo 65) sui servizi per l’infanzia e il lavoro di cura dei bambini, per valutare se sia in grado (o meno) di superare la funzione residuale di questo segmento del welfare e di sviluppare davvero un sistema di interventi universalisti, soprattutto nell’ambito del welfare locale.
Chiude il terzo capitolo l’articolo di Enrica Maria Martino con una valutazione sull’impatto – giudicato negativo o quantomeno deludente – del bonus infanzia e del congedo di paternità come strumenti di contrasto alle disuguaglianze di genere nel mercato del lavoro. Tuttavia, l’analisi suggerisce che il bonus abbia ridotto il rischio di abbandono del mercato del lavoro.
Apre il secondo blocco di interventi, dedicati a “Diritto al tempo e alla cura” l’articolo di Chiara Saraceno, che analizza come la prospettiva di genere sia stata integrata (o meno) nei due approcci alla riforma del welfare più noti e dibattuti: quello dei mercati del lavoro transizionali e quello dell’investimento sociale. Entrambi i modelli hanno l’obiettivo di aumentare l’occupazione femminile più che le pari opportunità e “sottovalutano sia il valore umano e sociale del lavoro di cura, sia i rischi, per le donne, di tale sottovalutazione, unita a una persistente asimmetria nella sua attribuzione”.
Maddalena Cannito tratta il tema dei congedi parentali: in particolare la novità potenziale della legge 53 del 2000 che, pur chiamando in causa i padri nella cura dei figli, viene definita come una “occasione mancata” nella sua concreta attuazione. Cannito sottolinea come l’Italia abbia “recepito le direttive europee adattandole alla tipica impostazione familistica mother-centered del nostro welfare”.
L’articolo di Matteo Luppi esamina la relazione tra le caratteristiche dei sistemi di Long-term care (Ltc) e le risorse familiari destinate alla cura della popolazione anziana non autosufficiente in 14 Paesi europei. L’analisi evidenzia che un marcato orientamento verso l’utilizzo dei trasferimenti monetari comporta un incremento delle risorse private di cura (in termini di reddito e di tempo).
Silvia Pilutti, Giuseppe Costa, Angelo d’Errico e Roberto Di Monacotrattano il tema dell’equità nella salute. Esaminano quanto le disuguaglianze sociali e di genere influenzino le capacità di controllo sulla salute. Per fronteggiare le manifestazioni di un welfare “asimmetrico”, il contributo suggerisce di potenziare i sistemi di osservazione istituzionale sulla dimensione di genere. Propone in questo ambito l’utilizzo sistematico e diffuso di strumenti di Health equity audit di genere.
Il terzo blocco di articoli, sul “Diritto all’autonomia e alla diversità”, sposta l’attenzione dalla questione della conciliazione e della cura per ragionare sui rischi di povertà e concentrarsi su un’altra fase del corso di vita o su altri tipi di famiglia.
Marianna Filandri esplora le differenze di genere riferite all’autonomia abitativa dei giovani single in Europa. L’autrice, analizzando i dati più recenti dell’European union statistics on income and living conditions per 31 Paesi europei, studia l’effetto sulle differenze di genere nella probabilità dei giovani di acquisire l’autonomia abitativa, come single, sia del grado di occupazione femminile che della generosità del welfare e dei sussidi di disoccupazione.
Alessandro Martelli analizza le politiche di lotta alla povertà in un’ottica di genere, con una riflessione specifica sulle misure di reddito minimo. Dall’articolo emerge come in Italia non vi sia ancora un’adeguata considerazione dei meccanismi di genere come determinanti della povertà e nelle strategie per contrastarle e per prevenirla.
Chiude questo blocco di interventi, Maria Gigliola Toniollo, che offre una rara e stimolante lettura sul welfare italiano riferita alla non discriminazione delle persone per orientamento sessuale e all’identità di genere nella condizione delle persone lesbiche, gay, bisessuali e trans (Lgbt) e delle loro famiglie.
Il volume, oltre alla sezione monografica, offre come sempre due sezioni: “Attualità” e “Dibattito”. Nell’Attualità si affronta il tema dell’alternanza scuola-lavoro nell’esperienza italiana (anche grazie a una comparazione con il caso tedesco). Gli articoli sono di autori del mondo accademico e della ricerca (Ruggero Cefalo, Enrico Giannelli, Vittorio Sergi) e del sindacato (Francesco Sinopoli, segretario generale Flc Cgil).
Chiude il numero il Dibattito sul “Rapporto Istat Bes 2018”, con due riflessioni, una di Giovanni Battista Sgritta e l’altra di Alessandro Rosina e Sergio Sorgi, che analizzano l’utilità e le lacune da colmare del Bes, per mettere in relazione le politiche economiche con quelle per il benessere e la sostenibilità sociale e ambientale. Così il Bes non è descritto come un mero elenco di dimensioni e di indicatori, ma può essere una “lente nuova” per vedere le politiche sociali da una prospettiva non scontata e più mirata.
Stefano Cecconi è direttore de La Rivista delle Politiche Sociali
Fonte: RASSEGNA SINDACALE