Gentile Direttore,
mi permetta di rivolgere, tramite il suo giornale, una sollecitazione – in termini di lettera aperta – al Censis e segnatamente al Direttore generale Massimo Valerie al Segretario generale Giorgio De Rita. Richiamo la loro attenzione sul fatto che l’istituzione, che tale è la Fondazione Censis che da oltre cinquant’anni monitorizza, con acume, la situazione sociale del Paese, rischia di vedere fortemente appannata la propria immagine di centro di ricerca.
Tale osservazione nasce dalle informazioni che emergono da alcune indagini sul Servizio sanitario nazionale, sia per come sono condotte o quantomeno presentate, sia per come sono fraintese ed utilizzate da vari interlocutori, anche oltre i loro effettivi risultati e le volontà (presumo) della Fondazione che, su commissione, le ha svolte.
Per dare concretezza a questa mia preoccupazione, che ho sentito condivisa da molte persone che si occupano di sanità, vengo a una esemplificazione.
Lo scorso anno il Censis ha affermato, come noto, che ben 12 milioni di persone rinunciavano alle cure per motivi economici. Tale sommaria affermazione è stata smentita, o quantomeno confutata, da autorevoli studiosi, citando fra l’altro l’indagine EU – SILC su un campione di 73.204 italiani, ed anche dal Ministro della Salute e dall’Istat con un comunicato congiunto. Ora, come succede – come lei ben sa – in ambito scientifico (e ritengo che il Censis sia o intenda presentarsi come una istituzione di ricerca) in questi casi i ricercatori “contestati” ritirano il proprio articolo, ovvero lo modificano e contestualizzano le proprie conclusioni o, infine, contro – argomentano alle osservazioni.
È questo che succede fra istituzioni e gruppi di ricerca e nelle riviste scientifiche e, in realtà, anche, talora, sulla stampa quotidiana. Non mi risulta invece che da ciò sia emerso un qualche confronto e la notizia dei 12 milioni continua a permanere sulla stampa e nella rete!
Quest’anno emerge, dall’indagine Censis su 1000 soggetti (se ben intendo) che… “Nel ricorso a fonti diverse quasi 7 milioni di italiani hanno dovuto fare ricorso a prestiti da amici, familiari o da banche e istituti vari; 2,8 milioni hanno dovuto vendere immobili o liquidare investimenti mobiliari per recuperare le risorse necessarie per affrontare spese sanitarie private.” (VIII Rapporto Rbm Censis sanità).
Anche questa notizia si presta a molteplici interpretazioni: non è specificata la tipologia di domanda che è stata posta; non si sa se trattasi di una connessione diretta fra alienazione della casa nel corso dell’anno “per pagare le spese per la salute”, come lascerebbe intendere la esposizione dei dati nel Rapporto (che da l’impressione di una forte velocizzazione e ripersa del mercato immobiliare se quasi tre milioni di italiani riesce a vendere immobili e realizzare tale operazione nel corso dell’anno!); non è chiaro se invece trattasi di sola contestualità…
Non ho inoltre capito se – dall’indagine Censis – risulti che i 2,8 milioni che sarebbero arrivati a vendere immobili (ovviamente il lettore sprovveduto immagina subito che abbiano venduto la casa dove abitano e siano quindi per strada!) siano compresi, almeno in parte, nei 7 milioni che hanno fatto ricorso a prestiti (cosa ovviamente probabile, prima di vendere la casa!).
Osservo infine che le indagini di istituzioni scientifiche, proprio per essere tali, portano qualche elemento che da idea dell’entità di “oscillazione” della stima, come ad esempio i “limiti di confidenza”, e non solo dati “puntuali” per capire, da parte del lettore, del collega, del ricercatore di altra istituzione, i margini di aleatorietà!
Sono questi i motivi per i quali, anche al di là della volontà del Censis, tali dati sono trasformati, forse non a caso ma con finalità di orientare l’opinione pubblica sui propri obiettivi, in vere e proprie fake news.
L’ultima della serie, per completare l’esemplificazione, è quella della Confcooperative sanità, che affermano sul proprio sito (notizia ripresa anche da diversi quotidiani) in base alla loro rielaborazione, appunto sui dati Censis, che “Venti milioni di italiani con problemi economici rinunciano alle cure o si indebitano” e sommano a tal fine i 12,2 milioni dello (smentito) calcolo di rinunce alle cure, pubblicato l’anno scorso, con i 7 milioni che si indebitano e i 2,8 milioni che devono vendere o impegnare il proprio immobile.
Come è noto da ampie indagini Istat risulta che gli italiani che si considerano malati sono circa 7 milioni e quelli con problemi più contenuti di salute 15 milioni (Indagine europea sul reddito e le condizioni di vita delle famiglie EU- SILC). Come sia possibile che, di fronte a questo quadro, 20 milioni , cioè quasi la totalità di chi ha bisogno effettivo di cure, rinunci o si indebiti?
Non credete, spettabili dirigenti del Censis, che di fronte a questo uso, intenzionalmente distorto, a cui si prestano i vostri dati, sia necessaria una riflessione, una più accurata e critica presentazione dei risultati di ricerca, un più aperto confronto, anche per non compromettere la tradizione di istituzione di ricerca sociale della vostra Fondazione?
Fonte: Quotidiano Sanità (Lettere al Direttore)