Specialmente nei paesi a basso o medio reddito il tempo che i medici dedicano al paziente è minimo, anche quando visitano pochi pazienti al giorno. Questo determina un certo grado di know-do gap, cioè una discrepanza tra come il medico dichiara di comportarsi di fronte ad un paziente con determinate caratteristiche cliniche e come poi realmente agisce quando vede tale paziente, proprio perché non gli dedica sufficiente attenzione o tempo. Spesso invece i provider senza formazione medica, proprio perché dedicano più tempo al paziente, riescono a colmare il gap teorico con i medici qualificati.
La copertura sanitaria universale, che permette a tutti i cittadini di accedere ai servizi sanitari senza eccessive ripercussioni finanziarie, è uno tra i principali strumenti su cui i Paesi dovrebbero puntare per migliorare la salute, almeno secondo l’agenda dell’OMS. La copertura sanitaria universale non può però prescindere dall’offrire servizi rispondenti a determinati standard di qualità. Le tre dimensioni della qualità sono:
- l’efficacia, intesa come la capacità del sistema di fornire ai pazienti diagnosi accurate e tempestive nonché cure basate sull’evidenza;
- la sicurezzadel paziente, cioè la tendenza a ridurre eventi avversi e condizioni iatrogene;
- la centralità del paziente, ovvero l’esperienza e gli outcomeche il paziente riporta in seguito ad un trattamento.
Sebbene siano tre elementi egualmente importanti, l’efficacia è fondante per un sistema sanitario e per questo è nata l’idea di copertura sanitaria universale “efficace”.
Quando però non sono disponibili dati sistematici sulla qualità possiamo assumere che l’adeguatezza della formazione degli operatori sanitari e delle infrastrutture (ospedali, ambulatori, macchinari, farmaci) siano sufficienti a garantirla? Nei paesi a basso o medio reddito (LMIC, low and middle income countries), in cui mancano o sono di dubbia qualità sia i flussi informativi che le cartelle cliniche, sono stati effettuati studi per valutare la conoscenza teorica e la gestione pratica delle principali condizioni cliniche. Sono stati evidenziati due principali aspetti: l’irrilevanza dell’accessibilità ai servizi quando manca la qualità e lo scarso legame tra titoli di studio dei medici, conoscenza clinica e pratica clinica.
L’irrilevanza dell’accessibilità ai servizi quando manca la qualità
Nei LMIC, molte politiche sanitarie si sono focalizzate sull’accesso della popolazione ai servizi sanitari, utilizzando come indicatori il numero di visite e di trattamenti per paziente, il numero di operatori sanitari sul totale della popolazione e la prossimità delle strutture sanitarie. Nella regione rurale del Madhya Pradesh, una delle regioni più povere dell’India, vi sono in media 11 provider sanitari per villaggio [1]. La maggior parte di essi però non ha alcuna qualifica o formazione in ambito sanitario e perciò è esclusa dalle statistiche ufficiali pur avendo un ruolo fondamentale per l’accesso e il raccordo con il sistema sanitario[2]. Anche in altri Paesi sono presenti provider sanitari non laureati che fanno addirittura parte integrante del sistema sanitario ufficiale ma sono esclusi dalle statistiche[3]. Quando dunque si valutano indicatori come il rapporto medici/popolazione si perdono le informazioni relative a questi provider, cruciali nei servizi sanitari dei LMIC.
Se quindi l’accessibilità in questi contesti rappresenta un problema minore, proprio per la presenza di questi provider non ufficiali o non qualificati, la vera sfida sta nella qualità delle cure che i pazienti ricevono quando accedono al sistema sanitario. Alcuni studi[4,5] hanno reclutato soggetti appartenenti alle comunità locali formandoli per simulare sintomi riferibili a quadri clinici semplici per i quali fossero univoche e chiare la diagnosi e la terapia. Questo metodo di blind audit permette di presentare lo stesso caso clinico ai vari provider di cure primarie. In India, Cina e Kenya, sia nel settore pubblico che in quello privato, buona parte delle diagnosi effettuate era errata e così era anche la gestione della malattia, con eccessivo utilizzo di antibiotici e di altri farmaci o sottoutilizzo di terapie a basso prezzo, con chiare ripercussioni sia sugli outcome di salute che sulla spesa del sistema. È da scartare l’ipotesi che questi provider di cure primarie abbiano troppi pazienti da visitare al giorno. Piuttosto pare che il problema sia che ne vedono troppo pochi[4,8]. La scarsa qualità non riguarda però solamente le cure primarie: in Paesi in cui è stato incentivato il ricorso alle strutture pubbliche per partorire come Malawi[9], India[10,11] e Rwanda[12], non si è avuto un netto miglioramento degli outcome per madre e bambino. Questo nonostante siano disponibili infrastrutture e farmaci. Il problema quindi sembra legato ai ritardi nella diagnosi e nel trattamento delle complicanze e in un sistema di cure poco multidisciplinare, che spesso ragiona per compartimenti stagni.
Il legame tra titolo di studio, conoscenza clinica e pratica clinica
Un’ulteriore ipotesi è che la scarsa qualità del sistema di cure primarie e secondarie sia dovuta al grande numero di provider non formati. In realtà, anche i provider formati con adeguato accesso all’infrastruttura spesso non forniscono cure di qualità. Questo debole legame tra la qualifica e la qualità delle cure riflette la variabilità del sistema di formazione dei medici, sia tra Paesi diversi che nel contesto della stessa nazione.
Inoltre, la conoscenza medica, per tradursi in pratica clinica, necessita di un adeguato tempo di interazione medico-paziente. Specialmente nei LMIC, il tempo che i medici dedicano al paziente è minimo, anche quando visitano pochi pazienti al giorno. Questo determina un certo grado di know-do gap, cioè una discrepanza tra come il medico dichiara di comportarsi di fronte ad un paziente con determinate caratteristiche cliniche e come poi realmente agisce quando vede tale paziente, proprio perché non gli dedica sufficiente attenzione o tempo. Spesso invece i provider senza formazione medica, proprio perché dedicano più tempo al paziente, riescono a colmare il gap teorico con i medici qualificati.
Un altro fattore che può influenzare la pratica clinica sono i sistemi di incentivi ai medici basati sulla prescrizione di determinati farmaci o prestazioni. In un ospedale di Pechino[13], i medici prescrivevano meno antibiotici ai pazienti che dichiaravano che li avrebbero acquistati in una farmacia esterna all’ospedale, rispetto a quelli che prescrivevano ai pazienti che dichiaravano di acquistarli presso la farmacia dell’ospedale (dalla quale i medici ricevono un bonus in busta paga).
Conclusioni e soluzioni possibili
In questo articolo, Jishnu Das e colleghi[14] si focalizzano su una delle dimensioni della qualità, l’efficacia. Il prossimo obiettivo è capire come anche nelle altre dimensioni (sicurezza e centralità del paziente) possano instaurarsi dei simili meccanismi. Già però da questi risultati è evidente che i Paesi che intendono orientarsi verso un sistema sanitario a copertura universale debbano fin dall’inizio considerare la questione della qualità e dell’efficacia delle cure, e non solo quella dell’accessibilità che, per quanto anch’essa fondamentale, in molti contesti si è rivelata meno critica di quanto si pensasse. Per affrontare il problema della qualità delle cure è necessaria da una migliore formazione dei medici, grazie ad una rete di tutor e di strutture con adeguati volumi sanitari per permettere l’acquisizione delle competenze. Nelle aree rurali carenti di medici e personale sanitario adeguatamente formato, sono possibili più soluzioni: da un lato il task-shifting, cioè la formazione di providers non medici che in alcuni casi si sono rivelati addirittura migliori dei medici nel gestire percorsi di cura, ad esempio la terapia antiretrovirale[15, 16], dall’altro quella di organizzare lo spostamento dei pazienti dalle aree rurali a quelle urbane, come nel caso del sistema estadual de transporte em saúde in Brasile[17].
Gino Sartor, Scuola di specializzazione in Igiene e Medicina preventiva. Università di Firenze
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FONTE: saluteinternazionale.info