Nel 2017 il Pil italiano è cresciuto. Nello stesso tempo, però, è aumentato il numero di famiglie in povertà assoluta, benché a un ritmo più lento rispetto agli anni neri della crisi. Serve una ripresa più forte, con politiche redistributive più attente.
Nel 2017 più Pil e più povertà
Hanno colpito molto i dati pubblicati dall’Istat sull’incremento della povertà registrato in Italia nel 2017. Sono dati sorprendenti perché – nel 2017 – il Pil in Italia è cresciuto dell’1,5 per cento. E se con uno sviluppo trainato dalla rapidità della globalizzazione e dell’innovazione tecnologica ci stiamo abituando (pur senza rassegnarci) a una crescita che porta con sé nuove e crescenti disuguaglianze, è ben più raro associare l’idea di un’economia che va meglio con un aumento della povertà assoluta. Ma proprio questo – più Pil e più povertà – è avvenuto nell’Italia del 2017. Vale la pena di analizzare in dettaglio dati tanto inusuali.
Secondo le stime dell’Istat, nel 2017 erano residenti in Italia in condizioni di povertà assoluta quasi 1,8 milioni di famiglie (1 milione e 778 mila per la precisione; il 6,9 per cento del totale) e poco più di 5 milioni individui (5 milioni e 58 mila, l’8,4 per cento del totale). Sono numeri in aumento rispetto al 2016, sia per il numero di famiglie che di individui poveri “in senso assoluto”. Ricordiamo che si definisce “povertà assoluta” la condizione in cui si trovano le famiglie che “sostengono una spesa mensile per consumi pari o inferiore al valore monetario, a prezzi correnti, di un paniere di beni e servizi considerati essenziali per ciascuna famiglia, definita in base all’età dei componenti, alla ripartizione geografica e alla tipologia del comune di residenza”. Con il contatore Istat si può calcolare che una famiglia con due genitori e due figli minori è sotto la soglia di povertà assoluta se spende meno di 1.700 euro al Nord, di 1.601 euro al Centro e di 1.334 euro al Sud. Per un single adulto (tra i 18 e i 59 anni) la povertà assoluta Istat è invece una spesa di 827 euro al Nord, di 795 euro al Centro e di 618 euro al Sud.
Che Pil e povertà si muovano nella stessa direzione è una spiacevole novità. Durante la grande recessione del 2008-2009 il Pil diminuì del 7 per cento e la povertà aumentò solo marginalmente, un po’ grazie al cuscinetto della cassa integrazione guadagni, che limitò i danni della recessione sul mercato del lavoro, e un po’ perché la recessione riguardò più le aziende esportatrici che quelle attive sul mercato interno. Nel 2012-13, invece, durante la crisi dell’euro, la povertà aumentò sensibilmente. Probabilmente perché gli ammortizzatori sociali furono meno efficaci e anche perché la recessione colpì più i consumi e gli investimenti, cioè le aziende attive sul mercato interno. Dopo la stagnazione del 2014, nel 2015 arriva finalmente la ripresa, ma a questo punto l’incidenza della povertà non diminuisce, anzi aumenta. Nel 2017 la frazione di famiglie e individui poveri è la più alta dal 2005, da quando l’Istat ha cominciato a raccogliere questi dati.
Durante la crisi più poveri al Sud, durante la ripresa più poveri al Nord
Per capire meglio cosa è accaduto (e anche per attenuare le possibili distorsioni dovute alla natura campionaria dei dati annuali) confrontiamo l’andamento delle medie biennali di povertà assoluta prima della crisi (2006-2007), durante la sua fase peggiore (2012-2013) e durante la attuale fase di ripresa (2016-2017). E lo facciamo per le macro aree del paese.
Tabella 1 – Numero (in migliaia) delle famiglie in povertà assoluta durante e dopo la crisi, per area
La tabella 1 mostra che negli ultimi dieci anni in Italia il numero di famiglie povere è più che raddoppiato, salendo da 806mila a quasi 1,7 milioni. E questo è avvenuto anche al Nord dove nel 2006-07 si contavano 318mila famiglie povere, mentre nel 2016-17 ce ne sono esattamente il doppio.
La seconda metà della tabella mostra l’aumento medio annuo del numero di famiglie povere in Italia e nelle varie macro aree del paese. Durante la crisi in Italia sono entrate in povertà assoluta 117mila famiglie all’anno, mentre negli ultimi quattro anni è rimasta una crescita, ma più contenuta, di “sole” 32mila famiglie in più all’anno. Durante la crisi la crescita media annua del numero dei nuclei poveri è stata molto più forte nel Sud, mentre negli anni della ripresa l’incremento della povertà è maggiore nelle regioni del Nord.
È possibile che le differenze nei numeri post crisi possano essere associate a due fenomeni distinti. Il primo è la mobilità tra regioni italiane, in particolare lo spostamento di famiglie dal Mezzogiorno che non cresce verso il Nord che cresce. Il secondo fattore – che analizziamo in maggiore dettaglio in un secondo articolo (LINK) – potrebbe derivare dal fatto che nel Nord è molto maggiore la quota di famiglie di stranieri, tra le quali l’incidenza della povertà è nettamente più elevata rispetto a quella osservata presso le famiglie di italiani.
Per ora, dunque, i dati degli ultimi anni non indicano ancora il ritorno della tradizionale relazione negativa tra Pil e povertà. Almeno, con la ripresa è diminuita la crescita della povertà, che continua a salire, ma a un passo più lento di quello registrato negli anni peggiori della crisi. Per un cambiamento di segno nella dinamica della povertà, servono sia una maggiore crescita del Pil sia politiche redistributive più attente ai bisogni dei poveri. Anche di questo discutiamo nel secondo articolo.
Fonte: LAVOCE