Chirurgia (in)sicura in Africa. di Enrico Tagliaferri

In Africa sub-Sahariana molti sono gli ostacoli all’accesso ad una chirurgia sicura: la scarsità di personale qualificato e infrastrutture, le distanze, la mancanza di mezzi di trasporto, i costi del ricovero e degli interventi.  Le operazioni in regime di urgenza sono il 57% mentre in studi condotti in paesi ad alto reddito viene riportata una percentuale del 25%, a testimonianza delle difficoltà dei pazienti nell’accedere tempestivamente ai servizi sanitari. Non è un problema solo africano poiché si stima che due terzi della popolazione mondiale non ha accesso ad una chirurgia tempestiva e sicura.


Un recente studio pubblicato da Biccard et al su The Lancet fotografa lo stato attuale dei servizi chirurgici in Africa.[1] Nel corso di una settimana sono stati arruolati 11.422 pazienti in 247 ospedali di 25 paesi africani di cui 14 a basso reddito (Benin, Burundi, Congo, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Gambia, Madagascar, Mali, Niger, Senegal, Tanzania, Togo, Uganda e Zimbabwe) e 11 a medio reddito (Algeria, Cameroon, Egitto, Ghana, Kenya, Libia, Mauritius, Sud Africa e Zambia). Si trattava di pazienti più giovani e con un rischio operatorio più basso rispetto a quello riportato nei paesi ad alto reddito. Più della metà dei casi erano urgenti e circa un terzo tagli cesarei. Complicanze post-operatorie, soprattutto infezioni, sono avvenute in circa il 18,2% dei casi e il 2,1% è morto in seguito a tali complicanze. Si tratta di un tasso di incidenza di complicanze inferiore rispetto ai dati dei paesi ad alto reddito, ma con un tasso di mortalità doppio. Si tratta di morti avvenute nei giorni seguenti all’intervento, non in sala operatoria, e quindi forse almeno in parte prevenibili.

Questo studio ha il pregio di raccogliere dati da vari paesi e di fare luce su un settore misconosciuto, tanto più se si considera che è uno studio pensato e condotto interamente da medici africani. Una raccolta dati affidabile sulle procedure chirurgiche effettuate e sugli outcome è presente solo in alcuni paesi africani mentre è il primo passo per sapere dove si sta andando.

La chirurgia è una delle componenti principali della salute di base che dovrebbe avere copertura universale. Eppure, il primo dato importante dello studio di Biccard è il basso numero di interventi: 212 interventi per 100.000 abitanti, una cifra molto al di sotto dei 5.000 stimati necessari, pur considerando che lo studio non ha considerato gli interventi pediatrici.[2] Non è un problema solo africano poiché si stima che due terzi della popolazione mondiale non ha accesso ad una chirurgia tempestiva e sicura (Figura 1).[3]

Figura 1. Percentuale di popolazione senza accesso a chirurgia sicura e gratuita

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Fonte: www.thelancet.com Published online April 27, 2015 http://dx.doi.org/10.1016/S0140-6736(15)60160-X

Molti sono gli ostacoli, in Africa, all’accesso ad una chirurgia sicura: la scarsità di personale qualificato e infrastrutture, le distanze, la qualità delle strade e la mancanza di mezzi di trasporto (Figura 2).

Figura 2. Distanza dall’ospedale e reddito

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Fonte: www.thelancet.com Published online April 27, 2015 http://dx.doi.org/10.1016/S0140-6736(15)60160-X

Nello studio di Biccard et al gli interventi in regime di urgenza erano il 57% mentre in studi condotti in paesi ad alto reddito viene riportata una percentuale del 25%, a testimonianza delle difficoltà dei pazienti nell’accedere precocemente ai servizi sanitari.[4] In questo senso possono contribuire i progetti che prevedono l’utilizzo di ambulanze, ad esempio per il riferimento di partorienti che necessario di taglio cesareo.[5] Nei paesi a basso e medio reddito la distanza tra comunità e ospedale è di solito molto maggiore rispetto a paesi ad alto reddito. Nel modello della Primary Health Care (PHC) il Distretto è l’unità territoriale e organizzativa centrale e lo è anche per i servizi chirurgici maggiori: la chirurgia dovrebbe essere disponibile almeno a livello di Distretto se non di sottodistretto (vedi A proposito di Primary Surgery). In questi centri di primo livello dovrebbe essere sempre possibile accedere a laparotomia, riduzione di fratture e taglio cesareo (Figura 3).

Figura 3. La Chirurgia come parte della Primary Health Care

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Fonte: www.thelancet.com Published online April 27, 2015 http://dx.doi.org/10.1016/S0140-6736(15)60160-X

Un ulteriore ostacolo, in alcuni casi, può essere il costo diretto o indiretto che i pazienti devono affrontare, che può essere nel caso della chirurgia anche enorme e tale da gettare persone già povere in condizioni da cui difficilmente riescono a rialzarsi. Ridurre al minimo la spesa out of pocket, cioè direttamente sostenuta dal paziente, è fondamentale.

Nello studio di Biccard et al è riportato un numero di specialisti (chirurghi, anestesisti e ostetrici) di 0,7 per 100.000 abitanti, mentre il minimo raccomandato è 20-40. È ovvio che si deve investire nel formare nuovo personale locale. Un contributo può venire anche dal cosiddetto task-shifting, cioè la formazione di personale locale, sanitario ma non medico, per eseguire almeno interventi chirurgici non altamente complessi ma frequenti (vedi Chirurgia e task shifting in Sud Sudan).[6] Del resto è un approccio che è già stato sperimentato nei paesi a medio e basso reddito in altri settori, come per la terapia antiretrovirale, con buoni risultati. Un ulteriore contributo può venire dall’adozione di testi schematici e standardizzati come i manuali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ad esempio il Surgical Care at the district level. [7]
I paesi, come la Germania, che dispongono di un alto numero di posti di rianimazione, hanno una mortalità post-operatoria inferiore a quella britannica, dove meno di un terzo dei pazienti a rischio trova accoglienza in servizi dedicati. Un’assistenza intensiva anche di soli 1-2 giorni riduce nettamente la mortalità negli operati e la permanenza di un solo giorno in più evita il decesso al 43% dei pazienti che vengono ritrasferiti nei reparti di origine, dopo aver superato l’acuzie iniziale (vedi Chirurgia: nord e sud) .[8] In Africa, non solo le strutture di terapia intensiva sono rare, ma un quarto degli ospedali non ha disponibilità costante di ossigeno, un terzo non ha una rete affidabile di energia elettrica, il 70% non ha un pulsiossimetro, circa la metà non ha un servizio dedicato al post-intervento.[2, 9-13]  È necessario quindi estendere prima di tutto questi presidi di base.

Anche nel follow up dei pazienti dimessi le risorse della comunità possono dare un contributo. Interessante, ad esempio, sarà vedere i risultati di uno studio che impiegherà community health workers per identificare e riferire i casi di infezione del sito chirurgico. [14]

Insomma c’è molto da fare. Interventi verticali, anche limitati nel tempo, mirati alla formazione e alla chirurgia di elezione possono dare un contributo. Più in generale però, i servizi chirurgici di base verranno rafforzati se verrà rafforzato il sistema della PHC in generale: raccolta affidabile di dati, rete tra comunità, piccoli e grandi centri sanitari, adeguata disponibilità di personale competente ad affrontare i problemi più comuni secondo un approccio standardizzato, costante disponibilità di attrezzature e farmaci.

Bibliografia

  1. Biccard BM, Madiba TE, Kluyts HL, et al.  African Surgical Outcomes Study (ASOS) investigators. Perioperative patient outcomes in the African Surgical Outcomes Study: a 7-day prospective observational cohort study. Lancet 2018;391(10130):1589-1598. doi: 10.1016/S0140-6736(18)30001-1. Epub 2018 Jan 3.
  2. Meara JG, Leather AJ, Hagander L, et al. Global Surgery 2030: evidence and solutions for achieving health, welfare, and economic development. Lancet 2015; 386: 569–624.
  3. Alkire BC, Raykar NP, Shrime MG, et al. Global access to surgical care: a modelling study. Lancet Glob Health 2015; 3: e316–23.
  4. International Surgical Outcomes Study group. Global patient outcomes after elective surgery: prospective cohort study in 27 low-, middle- and high-income countries. Br J Anaesth 2016; 117: 601–09.
  5. Jacobs B, Men C, Sam OS, Postma S. Ambulance services as part of the district health system in low-income countries: a feasibility study from Cambodia. Int J Health Plann Manage 2016;31(4):414-429. doi: 10.1002/hpm.2285. Epub 2015 Feb 10.
  6. Meo G. Chirurgia e task-shifting in Sud Sudan. Salute Internazionale, 14.11.2012.
  7. who.int/surgery/publications
  8. Pellis G. Chirurgia Nord e Sud. Saluteinternazionale, o5.11.2012.
  9. Haider A, Scott JW, Gause CD, et al. Development of a unifying target and consensus indicators for global surgical systems strengthening: proposed by the global alliance for surgery, obstetric, trauma, and anaesthesia care (the G4 alliance). World J Surg 2017; 41: 2426–34.
  10. Biccard BM, Madiba TE, Kluyts H-L, et al. Perioperative patient outcomes in the African Surgical Outcomes Study: a 7-day prospective observational cohort study. Lancet 2018; published online Jan 3. http://dx.doi.org/10.1016/S0140-6736(18)30001-1.
  11. Watters DA, Hollands MJ, Gruen RL, et al. Perioperative mortality rate (POMR): a global indicator of access to safe surgery and anaesthesia. World J Surg 2015; 39: 856–64.
  12. Weiser TG, Makary MA, Haynes AB, et al. Standardised metrics for global surgical surveillance. Lancet 2009; 374: 1113–17.
  13. LeBrun DG, Chackungal S, Chao TE, et al. Prioritizing essential surgery and safe anesthesia for the Post-2015 Development Agenda: operative capacities of 78 district hospitals in 7 low- and middle-income countries. Surgery 2014; 155: 365–73.
  14. Sonderman KA, Nkurunziza T, Kateera F, et al. Using mobile health technology and community health workers to identify and refer caesarean-related surgical site infections in rural Rwanda: a randomised controlled trial protocol. BMJ Open 2018; 8(5):e022214. doi: 10.1136/bmjopen-2018-022214.

Fonte: Saluteinternazionale.info

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