La partecipazione attiva e diretta della comunità ai programmi di lotta alle malattie trasmesse da vettori, come zanzare e zecche, potrebbe permettere di superare le principali criticità attuali e apportare molteplici benefici. Costruire reti tra servizi sanitari, istituzioni pubbliche, associazioni locali, volontariato e cittadini potrebbe rendere queste strategie sostenibili ed efficaci anche nel contesto italiano.
Le malattie infettive trasmesse da vettori rappresentano una crescente minaccia per la sanità pubblica globale. In particolare, il numero dei casi di malattie trasmesse da insetti artropodi, come dengue, chikungunya, Zika e West Nile virus, mostra un trend in aumento in molte regioni del mondo. Tra queste, la dengue è probabilmente la minaccia più significativa al momento attuale. Negli ultimi due decenni, i casi globali di dengue sono decuplicati, raggiungendo livelli record nel 2023 e nel 2024 (1,2). Anche regioni come l’Europa (3) e il Nord America, dove la dengue era tradizionalmente considerata una malattia tropicale d’importazione, stanno registrando un aumento di casi importati e, preoccupante novità, focolai di trasmissione autoctona (4). In Italia, i casi di dengue nel 2023 e nel 2024 hanno raggiunto livelli senza precedenti, con episodi di trasmissione autoctona in diverse regioni (5). Le cause per cui anche paesi come il nostro che in precedenza erano relativamente risparmiati da queste malattie ora sono sempre più minacciati sono molteplici e complesse e includono fattori ecologici, climatici e antropici (6). Queste tematiche sono già state oggetto di approfondimenti anche su questa rivista, per esempio qui e qui. Ancora da approfondire rimane invece il tema del cosa fare per contrastare la minaccia.
Nel nostro paese, il Piano Nazionale Arbovirosi (1) rappresenta la guida principale per la prevenzione e il controllo delle malattie trasmesse da vettori (7). Questo documento programmatico quinquennale delinea le strategie fondamentali da adottare, ponendo la lotta integrata al vettore come pilastro centrale. Tale strategia comprende la ricerca e la rimozione dei focolai di sviluppo delle larve, la bonifica ambientale, l’impiego di prodotti larvicidi nei focolai che non possono essere rimossi o bonificati e l’uso di prodotti adulticidi solo in situazioni emergenziali. Questi interventi mirano a ridurre la densità dei vettori e, di conseguenza, a interrompere la trasmissione delle malattie. A supporto di tali misure sono previsti anche sistemi di sorveglianza sanitaria, entomologica e veterinaria. Sebbene queste strategie abbiano contenuto il rischio a livelli accettabili negli anni passati, il mutato scenario epidemiologico evidenzia la necessità di aggiornare e integrare le strategie attuali e l’identificazione di nuove aree di intervento. La letteratura scientifica recente evidenza una discreta consapevolezza della situazione e sottolinea l’urgenza di sviluppare strumenti innovativi per affrontare il rischio crescente. Le due principali direttrici di ricerca si orientano da un lato sullo sviluppo di soluzioni tecnologiche avanzate, come approcci genetici, controllo biologico e chimico, sviluppo di nuovi vaccini, intelligenza artificiale e modelli previsionali (8), e dall’altro su un maggiore coinvolgimento delle comunità locali nelle attività di prevenzione e controllo. Tra le due, lo sviluppo delle pratiche partecipative rappresenta il ramo sicuramente meno esplorato e finora poco valorizzato (9).
Il Piano Nazionale Arbovirosi riconosce l’importanza della partecipazione comunitaria, ma questa è spesso limitata a campagne comunicative unidirezionali o all’adozione di strumenti normativo-prescrittivi, come ordinanze comunali con relative sanzioni. Questo approccio tende a relegare la comunità a un ruolo passivo, riducendo l’efficacia complessiva degli interventi e a vanificare il potenziale dell’azione comunitaria (10). Invece, promuovere l’empowerment delle comunità potrebbe migliorare l’efficacia delle strategie di prevenzione, valorizzando la responsabilizzazione delle persone direttamente coinvolte e il coinvolgimento attivo dei cittadini. La partecipazione comunitaria nelle pratiche di salute è promossa da documenti fondamentali come la Dichiarazione di Alma-Ata (11) e la Carta di Ottawa (12). La partecipazione attiva e diretta della comunità ai programmi di lotta al vettore di malattie come le arbovirosi potrebbe permettere di superare le principali criticità attuali e apportare molteplici benefici. La gestione dei focolai larvali è complessa e costosa. Molti focolai si trovano in proprietà private difficilmente accessibili e richiedono manutenzione costante. Un approccio porta a porta su larga scala è insostenibile per un’unica organizzazione. Inoltre, i cittadini per gestire il disagio provocato dalle zanzare, spesso adottano pratiche non conformi, come interventi adulticidi non necessari, con costi economici e ambientali evitabili.
L’empowerment comunitario potrebbe rappresentare una svolta, consentendo l’accesso ad aree altrimenti inaccessibili per le istituzioni, la cura e la manutenzione degli spazi privati da parte dei proprietari stessi, oltre a benefici collaterali per la comunità come maggiore agency, benessere psicologico, senso di appartenenza, rafforzamento della fiducia reciproca tra istituzioni e comunità, riduzione dei costi economici e ambientali (13).
Programmi partecipativi di successo sono stati effettuati in paesi endemici, come il progetto Patio Limpio (“Cortile Pulito”) in Messico (14). Questo programma mirava a insegnare alla popolazione locale come identificare e gestire i focolai larvali nelle aree domestiche, con l’obiettivo che le famiglie ottenessero, appunto, un cortile pulito, migliorando così l’igiene della propria casa, riducendo i disagi derivanti da possibili infestazioni e il rischio di malattia. L’enfasi del progetto stava nel sottolineare da un lato la responsabilità di ciascuna famiglia e dall’altro la necessità della collaborazione tra tutte le famiglie coinvolte per poter ottenere una comunità dengue-free.
La strategia comprendeva:
- Assemblee locali per sensibilizzare la comunità.
- Formazione di leader locali (block activators) sulle tecniche di lotta al vettore. I block activators avevano poi il compito di trasferire le competenze tecniche apprese ai residenti di una determinata area (ad esempio un isolato o un piccolo quartiere).
- Coinvolgimento diretto delle famiglie nella gestione delle proprie aree di pertinenza, con la supervisione dei block activators.
- Riunioni periodiche per monitorare progressi e criticità.
Nel 2007, nello stato di Guerrero, oltre 1.000 block activators sono stati formati. Ognuno di loro aveva la responsabilità di formare e successivamente supervisionare una media di 15 famiglie. Le attività dei block activators comprendevano, tra le altre cose, effettuare sopralluoghi periodici nella propria area di competenza e partecipare alle riunioni del progetto. Durante le riunioni venivano condivisi con tutti i partecipanti i dati relativi alla sorveglianza entomologica e alla sorveglianza umana sul territorio interessato.
I risultati di questa sperimentazione mostravano che:
- il 54% dei giardini monitorati (su un campione di 5.000 giardini analizzati) risultava privo di focolai e correttamente mantenuto.
- Le famiglie che non avevano ricevuto la formazione risultavano avere un rischio 2,4 volte maggiore di contrarre la dengue rispetto a quelle formate dai block activators.
- L’80% delle famiglie formate manteneva le proprie competenze a un controllo di follow-up dopo 3 mesi, ma la percentuale tendeva a calare a distanza di un anno.
Strategie basate sulla partecipazione comunitaria hanno avuto un buon successo anche nel controllo della malattia di Chagas (15,16). Le esperienze descritte in letteratura mostrano come famiglie adeguatamente formate fossero più competenti nel mantenere la propria casa libera da vettori in maniera stabile ed efficace rispetto a interventi esterni da parte di professionisti. Una revisione sistematica ha confermato che strategie partecipative sono le più efficaci ed economiche (17).
In Italia, strategie partecipative potrebbero rivelarsi particolarmente utili, consentendo alle istituzioni di superare barriere logistiche ed economiche. Coinvolgere le comunità fin dalle prime fasi dei programmi, adottare approcci multidisciplinari e garantire una partecipazione equa di genere rappresentano passaggi fondamentali (18,19). Iniziative di educazione tra pari, come quelle viste in Messico, potrebbero rafforzare ulteriormente l’efficacia degli interventi (20).
Costruire reti tra servizi sanitari, istituzioni pubbliche, associazioni locali, volontariato e cittadini potrebbe rendere queste strategie sostenibili ed efficaci anche nel contesto italiano. Un cambiamento culturale che valorizzi la partecipazione attiva delle comunità potrebbe non solo migliorare il controllo delle arbovirosi, ma anche rafforzare il tessuto sociale, promuovendo un approccio più resiliente e integrato alla gestione delle emergenze sanitarie.
Andrea Ubiali, Medico di sanità pubblica, Bologna.
(1) Le arbovirosi sono zoonosi causate da virus trasmessi da vettori artropodi (arthropod-borne virus, come per esempio zanzare, zecche e flebotomi) tramite morso/puntura. Interessano sia l’uomo che gli animali. Al momento attuale si contano oltre 100 virus classificati come arbovirus, in grado di causare malattia nell’uomo.
Bibliografia
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fonte: https://www.saluteinternazionale.info/2025/04/malattie-da-vettori-e-ruolo-delle-comunita/