Nel Paese in cui il sovraffollamento e il degrado delle carceri sta diventando questione umanitaria, la destra sente l’urgenza di introdurre con il decreto “sicurezza” leggi liberticide e criminogene, che riempiranno ulteriormente gli istituti penitenziari.
Già il Governo aveva introdotto 48 nuovi reati e numerosi aumenti di pena, per un totale di 417 anni in più di carcere. Mentre cresce il sovraffollamento endemico del 132,7% (62.165 persone detenute per una capienza regolamentare di 51.323 unità, ma reale di 46.836 posti), si tenta di chiudere la bocca a chi è già separato dal mondo: i detenuti, privati di tutto e ora anche del diritto di ribellarsi.
Sul sistema minorile vediamo già gli effetti della stretta securitaria: dopo il decreto Caivano si è passati da 392 minori detenuti ai 623, che significa – in concreto- materassi in terra negli Ipm di Torino, Milano e Bari. A Roma – racconta il rapporto di Antigone – ragazzi e ragazze hanno trascorso tutto l’inverno senza riscaldamento. Settanta giovani adulti sono già stati trasferiti in una sezione ad hoc del carcere ordinario di Bologna, quando il diritto internazionale prescrive che minori e adulti siano rigorosamente separati. Li abbiamo visti, i primi arrivati, in un sopralluogo alla Dozza il 7 aprile: ragazzini appena diciottenni, provenienti da istituti minorili di tutto il paese, allontanati dagli avvocati e dalle famiglie, sottratti a percorsi riabilitativi già iniziati con successo, costretti a interrompere ogni attività, compreso il percorso scolastico.
Le carceri sono sempre più “mattatoi umani”, in cui ogni quattro giorni un detenuto si toglie la vita; luoghi che versano in condizioni igienico-sanitarie estreme, infestati di muffe, infiltrazioni, insetti; luoghi gelidi in inverno e bollenti in estate; luoghi in cui si sta in celle invivibili fino a 20 ore al giorno, in cui non si può telefonare ai propri cari se non 10 minuti a settimana, in cui dilagano le dipendenze ma scarseggiano gli operatori sanitari, il supporto psicologico, le opportunità di formazione e lavoro.
Eppure, di fronte a questa condizione degradante, le persone detenute devono tacere, incassare e subire. Di fronte a comandi impartiti “per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza”, la ribellione (compresa la resistenza passiva) diventa punibile con un aumento di pena da uno a cinque anni.
Accanto alla repressione del dissenso, il decreto ha una missione che è in sostanza il rovescio di tutto ciò che contiene di punitivo: “Assicurare ai nostri uomini e alle nostre donne in divisa le tutele che meritano” (nelle parole di Meloni). E così arriva la tutela legale a carico dello Stato per gli agenti, una tappa nella progressiva trasformazione del rappresentante delle forze dell’ordine in una figura legibus soluta. Il povero, il disgraziato, quasi sempre autori di un reato minore, dovranno sostenere interamente le spese legali, o accontentarsi di un avvocato d’ufficio. Invece, l’uomo e la donna in divisa, che dello Stato dovrebbero essere i primi servitori, saranno tutelati, agevolati nella propria difesa a prescindere dalla gravità del reato commesso. Quindi, all’”orribile mattanza” acclarata nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, ai pestaggi di detenuti nelle carceri di Milano (Beccaria), Ivrea, Torino (Lo Russo e Cutugno), Foggia, Bari, San Gimignano si risponde dando più poteri alla polizia penitenziaria e togliendo anche la libertà di dissenso a chi già di libertà non ne ha alcuna.
Agli abusi ai danni delle attiviste trattenute nella questura di Brescia, alla morte di Igor Squeo e tanti altri come lui durante un fermo di polizia, si risponde garantendo agli agenti tutela legale a spese della collettività. Ma dobbiamo farlo – si dice – perché sono “i nostri ragazzi”. Come se invece non fossero nostri quei ragazzi dietro le sbarre, che desiderano disperatamente reintegrarsi.
Ha scritto Sandro Bonvissuto in un bellissimo romanzo sull’esperienza carceraria: “Nel giardino davanti a casa mia c’è un albero di arance amare. Mi ero sempre chiesto a cosa servissero, perché non sono buone da mangiare. Queste arance stanno lì sull’albero, poi cadono per terra. Non servono a niente. Eppure esistono”. Eppure esistono. E nessuna legge dovrebbe essere scritta per negarlo, per rendere la loro condizione di persone recluse ancora più muta, più invisibile e abbandonata ad abusi e violenze arbitrari.