L’Europa ha sviluppato il suo welfare state grazie alla protezione militare garantita dagli Usa? È una tesi infondata e la Svezia lo dimostra. Il paese è entrato nella Nato nel 2024. Prima ha scelto una spesa di qualità, in campo sociale e nella difesa.
La tesi dell’amministrazione Usa
Da molti anni i think-tank conservatori degli Stati Uniti, quelli cui fa riferimento la nuova amministrazione americana, cercano di argomentare che il welfare europeo sia cresciuto sulle spalle della protezione militare americana. Una tesi ripresa sommariamente dal presidente Trump, dal suo vice e da altri vari componenti del governo Usa.
Già nel 1998 Melvyn Kraus della Hoover Institution sosteneva che l’espansione della Nato si traduceva essenzialmente in welfare per l’Europa. La stessa teoria è stata ripresa dal Cato Institute nel 2010. Dalle ipotesi ventilate alla brutale semplificazione per cui gli europei dovrebbero smettere di vivere alle spalle degli Usa, il passo è stato breve.
In realtà, la tesi è infondata. Sulla base di questi ragionamenti, infatti, un paese europeo che non fa parte della Nato dovrebbe avere un welfare meno importante. Ma non è così, anzi una analisi controfattuale sembrerebbe dire il contrario.
Svezia e Italia: il confronto tra due sistemi
Un sistema compiuto di welfare europeo come quello della Svezia (ma vale per la Scandinavia in generale) si è sviluppato in maniera del tutto indipendente da trasferimenti Nato (ne fa ufficialmente parte solo da marzo 2024), mentre proprio un paese legato all’Alleanza come l’Italia ne ha creato uno molto più imperfetto.
Il confronto Svezia- Italia fornisce spunti interessanti, anche per il futuro. Ambedue i paesi hanno una industria di alta qualità che ha garantito loro, nel corso degli anni, gli avanzi commerciali che tanto infastidiscono l’amministrazione americana, ma che assicurano margini di crescita e di indipendenza.
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Al contrario dell’Italia, la Svezia ha però saputo controllare la spesa pubblica, assicurare alti tassi di partecipazione al mercato del lavoro di giovani e donne, limitare il peso della componente previdenziale.
La spesa pubblica dai “favolosi anni Ottanta” a oggi

Fonte:Ocse, Eurostat, Banche Centrali, Chatgpt.com.
Ne è scaturito un welfare oggi più robusto per la Svezia, in particolare nel campo della salute e della scuola, ma una spesa pensionistica più contenuta. Dal 1950 a oggi, secondo dati Ocse e Oms, la spesa pubblica per la salute è stata, anno dopo anno, superiore in Svezia rispetto all’Italia. Nel 2023 quella di Stoccolma era pari al 10 per cento del Pil, contro il 7,5 per cento circa di Roma.
Ancora più impietoso il confronto nel campo della spesa pubblica per l’istruzione: secondo dati Ocse, Unesco e Banca Mondiale per l’Italia è passata dal 2,5 per cento del Pil nel 1950 al 4 per cento del 2023, per la Svezia dal 4 per cento nel 1950 al 7 per cento nel 2023.
Nel nostro paese è invece la spesa per la previdenza a fare la parte del leone, al 16 per cento del Pil nel 2023. Invece la Svezia, grazie all’elevata partecipazione al mercato del lavoro di donne e giovani e a un sistema di calcolo delle pensioni più equo dal punto di vista intergenerazionale spende nello stesso anno il 10 per cento del Pil.
Senza arrivare agli standard elevati della Svezia, l’Italia avrebbe potuto operare, nel tempo, scelte meno squilibrate in materia di spesa pubblica, di partecipazione al mercato del lavoro delle donne e dei giovani, nonché di maggiore attenzione alle generazioni future, su cui ricade l’onere di un debito, quello sì, tale da spiazzare il welfare.
L’andamento della spesa per la difesa
Torniamo alle spese militari. Ai tempi della guerra fredda per tutti i paesi le spese militari erano rilevanti. Quella per la difesa è rimasta dello stesso ordine di grandezza e relativamente elevata in Svezia, in Italia e nei paesi Nato fino al crollo dell’Unione Sovietica, per poi diminuire significativamente. Ma allora i sistemi di welfare erano ormai in piedi; e la discesa delle spese militari non sembra abbia comunque portato a una sua espansione.
Figura 3

Secondo la Banca Mondiale, la spesa militare degli Stati Uniti si attesta oggi intorno al 3,45 per cento del Pil. Ha avuto picchi del 10 per cento nei periodi delle guerre di Corea e del Vietnam, ha oscillato intorno al 6 negli anni Settanta e Ottanta, per scendere verso il 3 per cento negli anni Novanta. È vero che, in termini assoluti e rispetto ad altri paesi, rimane molto importante, intorno al 40 per cento del totale mondiale secondo alcune stime.
Ma al di là dell’informazione utile per capire gli ordini di grandezza, non ha molto senso confrontare direttamente le spese militari Usa con quelle europee, dato il ruolo globale della presenza militare americana. Ha senso invece riflettere sulla Svezia, esposta ancora negli anni Ottanta a pressioni militari dall’Unione Sovietica e a una dichiarata ostilità degli Usa, in particolare per l’attiva opposizione alla guerra nel Vietnam. Stoccolma puntò allora sulla qualità della spesa, sulla deterrenza, in particolare grazie ai sistemi di difesa aerea, e tenne aperta l’opzione nucleare.
Da dove vengono gli obiettivi di cui si parla oggi di spesa militare al 3 per cento o addirittura al 5 per cento del Pil? Se oggi la spesa della difesa deve riprendere è solo per una rinnovata minaccia russa e se le economie rimangono robuste e l’occupazione elevata, non c’è motivo che ciò vada a scapito del welfare che, al contrario, può continuare a rimanere il volano della stabilità e della crescita.
fonte: https://lavoce.info/archives/107560/il-welfare-europeo-non-dipende-dallombrello-militare-usa/
Daniele Fano è autore del libro: Vite Parallele-Giacomo Matteotti e Olof Palme e il buongoverno dell’economia e delle relazioni internazionali (Pacini, 2024).
Si occupa di conti finanziari macroeconomici, di transizioni studio-lavoro e di tecnologie della didattica. È co-autore del manuale Ocse Understanding Financial Accounts e Co-coordinatore del corso Sapienza-Coursera Macroeconomic Financial Accounts. E’ co-autore del libro Garanzia Giovani, la sfida (Brioschi, 2015). Fondatore di St Skills Together, specializzata nella segnalazione della qualità dell’istruzione tecnica e professionale e nello sviluppo delle competenze traversali.