Il voto dell’8 e 9 giugno può dare un segnale forte al governo. Per questo serve tenere alta l’attenzione.
Il governo ha deciso la data per i referendum: si voterà l’8 e 9 giugno. Sarà una prova decisiva per capire se l’indignazione per le nostalgiche provocazioni di Giorgia Meloni si tradurrà in una forte partecipazione, necessaria per superare l’iniquo quorum, e fare in modo che il risultato sia valido creando una valanga di democrazia.
Il tema della cittadinanza è fondamentale per rifiutare la discriminazione e i rigurgiti di razzismo, ma l’occasione di questo voto – che è stato conquistato prima con la raccolta straordinaria delle firme occorrenti per promuovere un referendum e poi con il giudizio di ammissibilità della Corte costituzionale – ha un valore che va oltre il merito del quesito. Lo stesso vale anche per i referendum proposti dalla Cgil che, travalicando la lettera delle domande, devono assumere il senso di una risposta alla strage continua delle morti sul lavoro, alla povertà crescente e a un modello di sviluppo parassitario e consumistico. Da qui il contestato richiamo di Landini alla “rivolta”. È una forzatura? È la stessa di chi diceva che i soldati russi nella Prima Guerra mondiale avevano votato con i tacchi.
Impelagarsi nei dettagli impedirebbe di concentrare l’attenzione sul fatto che, finalmente, con il voto di giugno si potrà decidere e incidere in direzione di una società più giusta esercitando una forma di demo- crazia diretta, senza condizionamenti né deleghe a rappresentanti delle segreterie di partito. L’astensione non è una dannazione ineluttabile e lo dimostrano le ultime elezioni in Germania che hanno visto la partecipazione dell’82,5 per cento degli elettori. Qui molte e molti hanno compreso che si trattava di una partita decisiva. In modo diverso, lo sarà anche in Italia.
Ora si tratta di costruire un’efficace campagna di mobilitazione da parte delle associa- zioni promotrici dei referendum, e decisi- vo sarà il ruolo di informazione che devono assicurare tutti i media, pubblici e privati. Il Comitato promotore ha già chiesto ai ver- tici del servizio pubblico non solo di organizzare i confronti tra i rappresentanti del Sì e del No, ma soprattutto uno spazio ade- guato nei programmi di approfondimento e nei Tg. Mentre i giornali possono garantire una spinta alla costruzione di reti nel- le città e nei paesi, utilizzando anche le edizioni online. È stata ottenuta la possibilità del voto per i “fuori sede” per ragioni di studio o di lavoro, e la loro risposta sarà de- terminante per il successo, come lo sarà il voto degli italiani all’estero.
La primavera è finalmente iniziata e il sole deve scaldare i cuori per una stagione di passioni: la prossima Pasqua, il 25 aprile, il 1° maggio, il 2 giugno non possono esse- re vissuti come ponti di vacanze, ma come occasioni di propaganda con strumenti originali per far conoscere la scadenza referendaria (ripetiamolo: l’8 e 9 giugno) e convincere ad andare al seggio, respingendo il luogo comune degli scettici secondo cui «votare è inutile, tanto il quorum non sarà raggiunto», facendo piuttosto leva sul senso di colpa degli assenti che non avranno il diritto poi di lamentarsi della ingiustizia e del malgoverno.
Il referendum, che è pratica di sovranità popolare, può essere una leva capace di valo- rizzare il protagonismo sociale diffuso ma parcellizzato e senza un obiettivo generale. E può contribuire a una società ricca di felice convivialità, senza odio e violenza. È un sogno? Basta un sì per farlo vivere.
fonte: L’Espresso