Susanna Ronconi commenta l’ultima sessione della Commission on Narcotic Drugs dell’ONU a Vienna per la rubrica di Fuoriluogo su il manifesto del 26 marzo 2025.
2024: nella riunione annuale della CND (Commission on Narcotic Drugs) dell’ONU, dove si discutono le politiche sulle droghe, gli Usa, per bocca dell’allora segretario Blinken, sbloccano il veto che da decenni impedisce alla Riduzione del danno (RdD) di entrare nella strategia globale: una decisione storica, dopo centinaia di migliaia di morti per fentanyl, anche i paladini della war on drugs si convincono.
2025: la Colombia promuove, e ottiene, una risoluzione quasi sovversiva per l’immobile ordine mondiale proibizionista: due anni di analisi da parte di un panel indipendente su esiti, impatto e efficacia delle tre Convenzioni internazionali. 19 studiosi andranno a vedere cosa funziona e cosa no. E se davvero avranno il modo (e i fondi) per lavorare liberamente, non potranno che approfondire ciò che è da decenni evidente: il pieno fallimento e l’irrazionalità del sistema globale proibizionista.
Non a caso la Colombia: come ha ricordato la battagliera ambasciatrice Laura Gil, “Il mio paese ha sacrificato più vite di qualsiasi altro nella guerra alla droga che ci è stata imposta. Abbiamo rimandato il nostro sviluppo, dedicando i nostri uomini e donne migliori e una buona parte del nostro bilancio nazionale alla lotta al narcotraffico. Ora abbiamo bisogno di altre strategie, più efficaci”. Intanto, la Colombia ha già invertito la sua rotta, avviando non solo politiche di RdD, ma percorsi per sperimentare una regolazione legale di produzione, commercializzazione e consumo, sia della foglia di coca, ma (al contrario di altri paesi come la Bolivia) anche della cocaina e in prospettiva di altre sostanze. Con questo riprendendo in mano il governo del fenomeno, sviluppando diritti e economie locali, a favore della salute pubblica.
La Colombia non è sola: la regolazione legale dei mercati è stato uno dei temi dominanti nelle decine di eventi organizzati da Stati, agenzie Onu e ONG. Se lo scorso anno si parlava di RdD e decriminalizzazione, quest’anno il tema di modelli di legalizzazione si è posto in modo pervasivo e plurale. Dall’America Latina all’Europa, da Bogotà a Amsterdam e Praga, si studia la regolazione legale non solo della cannabis, ma di cocaina, Kratom, MDMA.
Questa è la nuova frontiera nella realtà. Che ha dato anche uno scossone alla palude della CND, dove il famoso ‘consenso di Vienna’ ha per decenni bloccato ogni riforma del sistema. Il 2025 ha portato la pratica del voto sulle risoluzioni, e questo ha favorito le posizioni più progressiste, per anni tacitate dai veti dei potenti paesi della war on drugs.
E gli Usa? Hanno clamorosamente perso su tutte le risoluzioni, in compagnia solo di Russia e Argentina (perfino Cina e Iran si sono astenuti). Ininfluenti, si sono chiusi nel vicolo cieco di un radicalismo guerresco che nemmeno i loro tradizionali alleati hanno sostenuto. “Rifiutiamo gli SDG (Obiettivi ONU dell’Agenda 2030) e non li riaffermeremo. La risoluzione non riconosce inoltre la realtà che ci sono due generi: maschile e femminile”. Ma anche i termini ‘biodiversità’ e ‘sviluppo sostenibile’ non vanno bene agli USA di Trump. Così, restano fuori, e noi non ce ne dispiacciamo.
E l’Italia? Nonostante la crociata morale anni ’80 di Alfredo Mantovano in plenaria (i giovani non hanno valori e non sanno vivere, difendiamoli da e contro loro stessi), in realtà il nostro paese rimane dentro la UE, che mantiene posizioni molto mediate ma aperte.
Tutto bene, dunque? No, c’è da stare all’erta: le ONG saranno decisive nel controllo del processo di valutazione delle Convenzioni, perché non venga vanificato. E poi: la promozione a suon di milioni del progetto globale CHAMP, prevenzione mirata agli adolescenti, all’insegna del consumo zero. L’Italia ha promesso che sarà ‘in prima linea’. Diamoci da fare.
Leggi i documenti della sessione ONU su Fuoriluogo.it e ascolta il podcast su tutte le piattaforme.