Elena Paparella ritiene che la procedura adottata dalla Presidente von der Leyen per il piano ReArm-EU confermi la debolezza istituzionale del Parlamento europeo che è al centro del suo libro “Il Parlamento europeo dalla sovranazionalità al costituzionalismo. Rappresentanza, responsabilità politica e lobbying”. Traendo spunto dalle distorsioni generate dal lobbying, il libro fa emergere, spiegandone le ragioni, le disconnessioni di un Parlamento non ancorato ad un percorso aderente al costituzionalismo democratico. Paparella avanza anche una proposta per riparare a tale debolezza.
“Abbiamo bisogno di velocità e di scala. È per questo che abbiamo scelto la procedura d’emergenza di cui all’articolo 122, che è pensata proprio per i momenti in cui sorgono gravi difficoltà nell’approvvigionamento di determinati prodotti (…) l’articolo 122 ci permette di raccogliere denaro, di prestarlo agli Stati membri perché lo investano nella difesa. Questo è l’unico modo possibile per l’assistenza finanziaria di emergenza ed è ciò di cui abbiamo bisogno ora. Terremo il Parlamento costantemente aggiornato”. Queste le parole della Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, pronunciate l’11 marzo 2025 dinanzi alla sessione plenaria del Parlamento europeo, in sede di informativa all’assemblea europea ex art. 122.2, TFUE. Più chiara di così la Presidente von der Leyen non avrebbe potuto essere. Peraltro, la chiarezza dei suoi intenti è apparsa già ampiamente nella lettera/proposta di riarmo per l’Ue inviata il 4 marzo 2025 e accolta nelle Conclusioni del Consiglio europeo straordinario del 6 marzo 2025 (EUCO 6/25, Bruxelles, 6 marzo 2025).
Ma non è sul merito della volontà di procedere al riarmo dell’Unione europea, che si intende focalizzare l’attenzione, bensì sulla procedura adottata.
L’ «assistenza finanziaria di emergenza» si ripresenta infatti nuovamente come motivazione per il ricorso all’art. 122.2, TFUE,che esclude un eventuale voto vincolante del Parlamento europeo.Ancora una volta, in occasione di decisioni gravi e importanti, e che hanno ricadute profonde sulle economie degli Stati membri e/o sui diritti dei cittadini europei – nel 2010 per l’istituzione del MESF, nel 2020 per la creazione di SURE, nel 2022 per l’emergenza energetica – il sistema di governo dell’Ue sembra rispondere ad un riflesso condizionato volto a serrare i ranghi dell’intergovernativismo. La Commissione e il Consiglio europeo non solo espandono le loro funzioni di indirizzo, ma ricorrono anche ad un’applicazione disinvolta di disposizioni di emergenza, a detrimento del Parlamento europeo, la cui funzione è essenzialmente derubricata a quella di destinatario di un’azione informativa, poiché il voto espresso il 12 marzo 2025 in realtà verte su due Risoluzioni non vincolanti dello stesso Parlamento, una delle quali proveniente dal PPE, il gruppo di riferimento di Ursula von der Leyen.
Mettendo per un attimo da parte le riflessioni sulla evidente forzatura del ricorso all’art. 122 TFUE che riguarda la possibilità che ci sia uno Stato membro in difficoltà, mentre il ReArm-Eu riguarda tutti gli Stati membri, la domanda che preme è la seguente: se il Parlamento europeo avesse avuto una funzione più incisiva nell’assetto istituzionale dell’Unione europea, si sarebbe giunti ad esiti differenti? A risultati maggiormente rispondenti alle posizioni e ai sentimenti dei cittadini europei in questa “ora così buia” della nostra Unione? Formulare una risposta certa non è possibile, ma sicuramente la parzialità dei poteri del Parlamento europeo di fatto rende “friabile” la rappresentanza dei cittadini elettori, privandola del connotato della “politicità”, che pure dovrebbe caratterizzare la responsabilità degli eletti.
La procedura decisionale adottata per il ReArm-Eu rappresenta un’ulteriore dimostrazione di come il Parlamento europeo sia ancora un’istituzione debole, sia nel quadro del sistema di governo dell’Unione europea, che sul piano della relazione rappresentativa con i cittadini elettori. Nel libro “Il Parlamento europeo dalla sovranazionalità al costituzionalismo. Rappresentanza, responsabilità politica e lobbying” (Editoriale Scientifica, 2024, collana “Critica operativa. Studi di diritto costituzionale”) ho preso spunto da una pratica debordata da legittima attività di lobbying a vera e propria azione corruttiva (c.d. Qatargate), per analizzare i molteplici motivi – molti dei quali risalgono alle origini e alle caratteristiche delle prime assemblee comuni europee della CECA e della CEE, che avevano esclusive funzioni di legittimazione e non funzioni rappresentative dei cittadini, né tantomeno legislative – di quella che definisco una “originaria” debolezza dell’assemblea europea, nonostante il progressivo accrescimento delle sue funzioni con le riforme dei Trattati europei che si sono susseguite nei decenni, a cominciare dalla prima ibridazione dei suoi poteri posta in essere con l’Atto Unico europeo nel 1987. Tale deficit congenito si manifesta sia nei termini di una problematica riconduzione al Parlamento europeo di categorie quali la rappresentatività, la rappresentanza e la responsabilità politica, che del mancato esercizio della funzione legislativa, anch’essa “originariamente”disgiunta dalla rappresentanza.Ne consegue che l’incessante empowermentha certamente contribuito a costituirlo come uno dei motori dell’Unione, ma ha lasciato ancora aperte molte delle questioni che attengono alle sue funzioni e alla sua collocazione nel sistema di governo europeo come «Parlamento oltre gli Stati» (N. Lupo, A. Manzella, 2024). Partendo dalle gravi distorsioni delle attività di lobbying e di alcune pratiche decisionali poco trasparenti, ho tentato di far emergere molte delle debolezze e delle mancanze di un Parlamento non ancorato, e non centrato, in un percorso aderente al costituzionalismo democratico, in altre parole un Parlamento i cui poteri sono sempre stati oggetto di revisioni scollegate da qualsiasi disegno e/o progetto volto ad una compiuta forma di governo per l’Unione europea, che tenesse effettivamente conto della «materialità dei rapporti tra i soggetti reali» (G. Azzariti, 2013).
Ciò detto, occuparsi dell’organo parlamentare europeo comporta ancora inevitabilmente confrontarsi con due domande: il Parlamento europeo può essere considerato un vero Parlamento? E quindi: può essere collocato nel quadro del parlamentarismo democratico? Per quanto riguarda la prima domanda, la risposta è netta e inequivocabilmente negativa: allo stato attualedell’integrazione europea, in considerazione della genesi storica e istituzionale dell’organo parlamentare europeo, oltre che dell’Unione nel suo complesso, appare fondato il convincimento per il quale il Parlamento europeo non può considerarsi un “vero” Parlamento (A. Barbera, 1999). Diversamente, alla seconda domanda non corrisponde una risposta altrettanto netta, perché essa attiene, piuttosto, al valore che si intende attribuire ai vari tentativi di democratizzazione del sistema di governo europeo attraverso la parlamentarizzazione, quindi sostanzialmente riguarda la dinamica dell’incessante tensione tra funzionalismo e federalizzazione.
Oltre a questo, è necessario sottolineare che non è solo a causa della sua peculiare genesi e della sua specifica evoluzione storico-istituzionale, che al Parlamento europeo non possono riconoscersi né la “ragione essenziale”, né la “funzione fondamentale” generalmente ricondotta alle assemblee sin dalle loro embrionali manifestazioni. Più specificamente, occorre considerare due fattori che operano una frattura importante nello schema del parlamentarismo. In primo luogo, la sua inidoneità a svolgere una funzione unificatrice delle varie componenti del variegato corpo sociale cui fa riferimento, che tradizionalmente si vorrebbe attribuita all’organo parlamentare. Si tratta di un compito già arduo quando è attribuito ai Parlamenti nella dimensione statuale, lo è ancora di più, evidentemente, per il Parlamento sovranazionale. Tutto ciò si verifica anche in connessione con un secondo fattore di frattura, ovvero l’impossibilità di ricondurre le funzioni del Parlamento europeo ad una qualsiasi forma di effettiva partecipazione politica da parte di quella stessa cittadinanza variegata.
Sono peraltro sempre più frequenti le dichiarazioni sul tema del depotenziamento generalizzato dei Parlamenti, in ragione del quale non vi sarebbe alcun motivo utile per rivolgere un particolare sguardo critico verso le distorsioni istituzionali del Parlamento europeo. Tali affermazioni rispecchiano una tendenza a valutare i meccanismi istituzionali dell’Unione in modo da relegarli esclusivamente ad un funzionalismo rivolto al mercato, o vittima di questo. Tuttavia, proprio in ragione del fatto che i Parlamenti nazionali perdono continuamente terreno al cospetto degli esecutivi, appare doveroso riflettere, in modo scevro da pregiudizi, su un possibile nuovo ruolo del Parlamento europeo, nel contesto di un’Unione europea anch’essa da rinnovare a partire sia dal sistema di governo, che dalla cittadinanza.
L’analisi condotta nel libro si conclude con una proposta, certamente non realizzabile nell’immediato futuro, ma da considerarsi per lo meno futuribile. Affinché i canali della rappresentanza e della responsabilità politica possano funzionare, sarebbe necessario attivare strumenti di partecipazione politica per i cittadini europei, attraverso tutte le forme possibili di esercizio dei diritti politici, ovvero procedere progressivamente all’istituzione di un sistema di “soggetti politici popolari”, siano essi partiti o movimenti, che possano convogliare la volontà popolare e, al tempo stesso, promuovere delle politiche che siano europee in senso unitario (C. De Fiores. 2011). Perché questo avvenga è necessario che questi soggetti abbiano un carattere transnazionale. Soltanto dopo aver avviato la transnazionalità della partecipazione politica da parte della cittadinanza europea, cominceranno probabilmente a prodursi gli aggiustamenti, e soprattutto il consenso, in virtù del quale le eventuali modifiche dei Trattati raggiungeranno il risultato di sanare le disconnessioni democratiche e di conferire all’intero sistema di governo europeo quel grado di politicità che gli è necessario e di cui ancora difetta (J.H.H. Weiler, 1993), come dimostrano le azioni della Commissione europea e del Parlamento europeo di questi ultimi giorni.
Pertanto, considerata la difficoltà di una riforma dei Trattati nell’attuale congiuntura politica, economica e geopolitica, e pur nella piena consapevolezza dei progetti “ideali” della federazione e del costituzionalismo europeo, la strada che appare attualmente come concretamente percorribile, è quella volta a predisporre un nuovo gradualismo riformatore, con l’intento di cimentarsi, anche a Trattati fermi (E. Granaglia, G. Riva, 2024), in una nuova “invenzione comunitaria”. Si potrebbe, infatti, provare ancora una volta a “trovare la pace attraverso l’economia” (E.W. Bockenforde, 1999), ma bisognerebbe avere ben chiaro cosa si intende per “pace”, e per “economia”.