L’Europa che si arma e si dimentica del lavoro: un suicidio politico e morale. di Stefano Milani

Mentre i lavoratori europei affrontano salari stagnanti, licenziamenti e il progressivo smantellamento dello stato sociale, Bruxelles stanzia 800 miliardi per le spese militari. Un fiume di denaro sottratto ai fondi di coesione e, in gran parte, destinato all’acquisto di armi made in Usa. Uno scandalo economico e politico, una resa incondizionata all’industria bellica, mentre la crisi sociale continua a mordere milioni di cittadini.


Non è un mistero che l’Unione, nel pieno di una crisi geopolitica, stia rincorrendo il riarmo con una frenesia che ricorda le pagine più oscure della Guerra Fredda. Ma la domanda è: chi ci guadagna? Sicuramente non i lavoratori europei, che vedono quei fondi sottratti a politiche industriali, sanità pubblica e istruzione. Sicuramente non i cittadini, che subiscono tagli ai servizi essenziali mentre i bilanci della difesa esplodono. A beneficiarne, invece, sono i colossi dell’industria bellica, perlopiù americani, che vedono schizzare alle stelle i loro profitti grazie agli acquisti europei.

Il vecchio (e malconcio) continente si sta trasformando in una caserma armata fino ai denti, ma priva di una visione politica autonoma. Siamo diventati la succursale bellica della Nato, incapaci di immaginare un modello di sicurezza diverso da quello imposto da Washington. E nel frattempo, il sogno europeo di un’Unione basata sulla pace, sul progresso sociale e sulla cooperazione si sgretola sotto il peso di bilanci di guerra.

I numeri parlano chiaro: il 70% di questi 800 miliardi verrà speso per armi, la maggior parte delle quali prodotte da aziende non europee. È una scelta miope e suicida. Perché quei soldi, se investiti in un grande piano industriale, avrebbero potuto creare milioni di posti di lavoro, rilanciare la manifattura europea, sostenere la transizione ecologica e digitale, finanziare scuole e ospedali.

Invece la strada scelta è quella della militarizzazione. E l’assurdità è che questa corsa al riarmo viene giustificata in nome della “difesa della democrazia”, mentre si smantellano diritti sociali e tutele conquistati con decenni di lotte. Che tipo di sicurezza è quella di un’Europa armata fino ai denti, ma incapace di garantire stipendi dignitosi ai suoi cittadini?

La verità è che il riarmo è l’alibi perfetto per nascondere l’assenza di una vera politica industriale e sociale europea. L’Unione è paralizzata da decenni sulla questione fiscale, incapace di varare una tassazione comune sui giganti della finanza e della tecnologia, impotente davanti alla speculazione energetica che ha fatto esplodere il costo della vita. Ma quando si tratta di finanziare le spese militari, la macchina burocratica di Bruxelles si muove con una rapidità sorprendente.

Si tratta di una scelta politica precisa: il denaro c’è, ma viene indirizzato altrove. Ai lavoratori, agli studenti, ai pensionati si dice che bisogna stringere la cinghia, che “non ci sono fondi” per salari e welfare. Ma per le armi, magicamente, i soldi saltano fuori.

Oggi, di fronte a questa deriva, non basta indignarsi. È necessario costruire un’alternativa. L’Europa ha bisogno di sicurezza sì, ma quella di un lavoro stabile, di un welfare pubblico forte, di un’industria sostenibile. Ha bisogno di una politica economica che rafforzi la sua autonomia strategica senza trasformarla in un magazzino di armi.

Il Patto per il dialogo sociale firmato tra sindacati, Commissione Europea e associazioni datoriali può essere un primo passo per rimettere al centro il lavoro e i diritti, ma deve tradursi in scelte concrete. E la prima scelta da fare è chiara: basta con l’Europa del riarmo, è tempo di ricostruire l’Europa sociale che alimenta la pace.

fonte: https://www.collettiva.it/copertine/internazionale/leuropa-che-si-arma-e-si-dimentica-del-lavoro-un-suicidio-politico-e-morale-u0ljx8vu

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