Le Rems non devono essere miniOPG, il rischio di pericolose scorciatoie. di Pietro Pellegrini

Al Direttore de il Sole 24 ore

Gent.le Direttore,

in relazione all’articolo “Rems, lunghe liste d’attesa e pericoli: il Governo lavora a 300 nuovi posti” di Raffaella Calandra, Il Sole 24 ore del 21 febbraio 2025 mi permetto alcune considerazioni.

L’articolo coglie quanto sia varia l’umanità e complessa la composizione delle persone in REMS e quanto sia necessario migliorare l’appropriatezza dei percorsi giudiziari e di cura. Conoscere le storie permette di comprendere che vi è ben altro oltre il reato e il disturbo. Le persone sono qualcosa in più e di diverso. Molte delle persone in percorsi giudiziari hanno problemi di natura sociale e per violazioni delle norme sulle droghe e delle leggi sull’immigrazione.

I diritti sociali spesso sono in secondo piano, quando non del tutto dimenticati.

Nelle REMS il 35-40% degli ospiti (termine preferibile a quello giuridico di “internati”) ha misure di sicurezza detentive “provvisorie” ed alta è la percentuale di stranieri e senza tetto (10%). La REMS dovrebbe essere residuale e a norma della legge 81/2014 al fine della determinazione della pericolosità sociale non dovrebbero le condizioni di vita, familiari e sociali del reo. In altre parole la legge indica che si debba operare per il superamento di tali condizioni di svantaggio con adeguati sostegni.

Quindi il problema è quello di avere un Piano Terapeutico Riabilitativo Individualizzato e al contempo affrontare i determinanti sociali della salute. Le persone sono spesso senza documenti, residenza, reddito, lavoro, casa. Frequentemente soli o con famiglie a loro volta in difficoltà. Abbandonati da tutti, a volte anche dai servizi. Erano questi gli “ergastoli bianchi” negli OPG e se non si rimuovono le cause rischiano di ripresentarsi.

Come ha ben rilevato nell’articolo l’entità dei reati commessi è molto varia e diverse persone non dovrebbero essere in REMS. Per questo, come detto, oltre ad interventi territoriali lavorativi, abitativi, sul reddito che in assenza di risorse non possono essere attuati, servirebbe una riforma del codice penale che abolisca la non imputabilità. Vi è in tal senso la Pdl n.1119 a firma dell’on. Magi.

Le REMS hanno ereditato diversi aspetti in essere negli OPG in particolare per quanto attiene la sorveglianza e molte aziende sanitarie hanno fatto ricorso ad agenzie di vigilanza privata visto che le Forze dell’Ordine hanno competenza solo per la sorveglianza perimetrale. Un punto sul quale si può aprire una riflessione e capire come strutturare meglio i percorsi e la sicurezza.

Resta il fatto di fondo: la REMS è una “residenza” e non deve diventare un “miniOPG”, né un Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura “restraint”. L’interpretazione e la realizzazione delle REMS ha visto diversi modelli regionali alcuni dei quali altamente custodiali quando una delle caratteristiche delle Residenze psichiatriche è la non autosufficienza, la necessità di essere connessa ad un territorio, agli altri servizi. Un ripensamento delle REMS in funzione della cura dovrebbe essere attuato.

Ancora la lista di attesa e dotazione dei posti Rems andrebbe vista per ogni Regione e ciò consentirebbe di rilevare situazioni molto diverse. Oltre l’83% delle persone in lista sono residenti in 4 Regioni.

Ad esempio la Regione Lazio pur con un numero di posti REMS ben superiore (18,9 per 100 mila abitanti con età superiore ai 18 anni) alla media nazionale (di 13) vede una lista di attesa significativamente lunga. Il che fa riflettere, anche alla luce del fatto che le misure di sicurezza non detentive, libertà vigilata, sono ben al di sotto rispetto alla media nazionale. Infatti, nella Regione Lazio vi è un rapporto persone detenute/persone con misure di comunità di 1,36 contro una media nazionale di 0,7.

In Italia il numero di persone in libertà vigilata è passata da 2.031 del 2011 a 4.839 del 2023 e a fronte di una media nazionale di misure di sicurezza di 6,8 per 100 mila ab/anno nella Regione Lazio è a 4,3.  Nonostante il grande impegno dei servizi e degli operatori, cui dovrebbe andare un unanime ringraziamento, sembra che ad essere rilevante, non sia tanto la carenza di posti REMS quanto, almeno in ipotesi, uno stile operativo della magistratura associato a difficoltà dell’assistenza territoriale e di comunità.

Prima di agire aumentando i posti REMS sarebbe necessaria una dettagliata e approfondita analisi delle prassi e di contesto in ogni Regione.

L’aumento dell’appropriatezza negli accessi è assolutamente condivisibile ma non richiede strutture dedicate le c.d. UVAP (Unità di valutazione Assessment e Prognosi) con 80 posti. L’obiettivo può essere raggiunto mediante un lavoro di collaborazione interistituzionale e il pieno funzionamento dei Punti Unici Regionali, previsti dall’accordo Stato Regioni del 30 novembre 2022. Per evitare l’invio in REMS di criminali e psicopatici, la diagnosi e la profilazione possono essere effettuati con gli attuali assetti, le Unità Forensi nei Dipartimenti di Salute Mentale senza ricorrere a nuove grandi strutture.

Si tenga per altro conto che a fronte di circa 600 pazienti in REMS ve ne sono circa 7.000 seguiti sul territorio di cui 4800 in residenze a totale carico dei servizi sanitari regionali. Questi andrebbero sostenuti e potenziati per migliorare il turnover e affrontare meglio i problemi di salute e i determinanti sociali.

Quanto ai reati commessi dalle persone in lista di attesa (14 omicidi in 10 anni) credo che il dato andrebbe meglio verificato sul piano metodologico precisando la condizione giuridica e la situazione clinica. Quindi servirebbe un Osservatorio nazionale che monitori i percorsi e mi pare serva cautela altrimenti si alimenta un pregiudizio di pericolosità e l’idea che servano misure coercitive e custodiali. Un pensiero magico che allude al fatto che se gli autori dei reati fossero stati in REMS o in carcere i fatti antigiuridici non ci sarebbero stati.

Pietro Pellegrini

Psichiatra DSM di Parma

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