Trump e il ritorno delle guerre dell’oppio. di Leonardo Fiorentini

Leonardo Fiorentini scrive delle guerre commerciali di Trump nel nome della war on drugs per la rubrica di Fuoriluogo su il manifesto.


Sono bastate poche settimane di amministrazione Trump per rendere, se mai ce ne fosse stato ancora bisogno, una dimostrazione plastica della natura strumentale dell’impianto proibizionista sulle droghe. L’annuncio di aumento dei dazi nei confronti di Cina, Canada e Messico è stato motivato dal Tycoon con la volontà di costringere la Cina a impedire l’esportazione dei precursori del fentanyl, e gli altri due paesi a cessare la sua produzione e traffico oltre i confini degli USA. L’obiettivo reale è il tentativo di riequilibrare con una prova di forza la bilancia commerciale nei confronti di tre dei suoi principali fornitori. Gli Usa contano un disavanzo con la sola Cina di oltre 295 miliardi di dollari nel 2024. Se nell’Ottocento l’occidente impose a Pechino la legalizzazione dell’oppio per controbilanciare le importazioni del rinomato the cinese, oggi la geopolitica usa strumentalmente la crisi degli oppioidi per giustificare una guerra commerciale.

Paradossalmente questa mossa avviene mentre stanno finalmente diminuendo le morti da fentanyl negli Stati Uniti. Effetto sia delle politiche di riduzione del danno che si sono diffuse in questi anni di strage (oltre 100.000 morti l’anno), che probabilmente del progressivo consolidamento del mercato, diminuito in quantità e con maggior costanza di qualità.

La scelta di Trump è funzionale solo a continuare a semplificare il discorso sulle droghe. Elude le cause stesse della crisi di overdose nordamericana, figlia legittima del processo di mercificazione della salute. Nata a partire dagli anni ’90, con l’introduzione nel mercato dell’ossicodone – antidolorifico a base di oppioidi sintetici – sotto la pressione di Big Pharma per favorirne la facile prescrizione. Una volta incrociata la crisi economica del 2007, le persone in cura, spesso per dolore cronico, hanno anche perso il lavoro, ma soprattutto l’assicurazione sanitaria che gli forniva il farmaco.

La crisi sociale e il mercato nero hanno fatto il resto. Potrebbe essere un caso – ma non lo è – che parallelamente ai proclami contro i paesi produttori, e agli annunci di pena di morte per gli spacciatori, con uno dei suoi primi ordini esecutivi – bloccato per ora da un giudice – l’amministrazione Trump abbia tagliato anche i finanziamenti destinati ai servizi di riduzione del danno, al trattamento delle persone che usano droghe, all’accessibilità degli alloggi e all’assistenza sanitaria.

Come non è un caso che Trump se la prenda con il fentanyl, una sostanza usata da vecchi e nuovi emarginati che ricordano, nella loro rappresentazione, i consumatori di crack nei ghetti neri degli anni ’80 e ’90. Questo scopre il volto classista della war on drugs che – almeno per il momento – non interviene sulla cannabis, la cui legalizzazione in Florida Trump aveva addirittura supportato in piena campagna elettorale. Del resto nell’immaginario collettivo statunitense la cannabis non è più la “droga che causa follia, criminalità e morte” degli anni ’30 di Anslinger, il primo zar antidroga. Il successo delle legalizzazioni, e lo stesso business che si è creato, ha normalizzato quell’erba che non è più la droga importata dai clandestini messicani, visto che oggi è prodotta nelle serre a stelle e strisce.

La svolta trumpiana potrebbe provocare ulteriori riflessi nelle politiche globali. L’anno scorso, alla Commissione Droghe dell’Onu a Vienna (CND), per la prima volta gli USA fecero approvare una risoluzione sulla promozione della riduzione del danno, lasciando isolate Russia e Cina. Una conseguenza della marginalizzazione della Russia in sede internazionale a causa della guerra in Ucraina. Il riavvicinamento con Putin potrebbe far tornare in auge la retorica sul “pericolo globale della droga”. Lo scopriremo presto: la prossima CND, a Vienna a metà marzo, sarà il primo banco di prova del nuovo ordine trumpiano sulle droghe.

fonte: https://www.fuoriluogo.it/rubriche/la-rubrica-di-fuoriluogo-sul-manifesto/trump-e-il-ritorno-delle-guerre-oppio/

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