La Germania dopo il voto. di Francesco Lenzi

Sarà un governo di coalizione tra Cdu e Spd a cercare di rilanciare la stagnante economia tedesca, un obiettivo cruciale anche per l’Europa. Ma il probabile allentamento del vincolo di bilancio non comporterà un cambiamento di posizioni sulle regole europee.


Il verdetto delle urne

I risultati delle elezioni politiche tedesche non hanno riservato grosse sorprese. Friedrich Merz, sessantanovenne, leader della Cdu, con una brillante carriera da avvocato, cariche di prestigio in BlackRock, Bosh, Ernst&Young, Hsbc, tornato alla politica dopo averla abbandonata nel 2009 in aperto contrasto con Angela Merkel, sarà il nuovo cancelliere. Al termine di una campagna elettorale che ha visto anche la rottura del Brandmauer, cioè l’impegno dei partiti politici a tagliar fuori AfD da qualsiasi tipo di accordo, in occasione della votazione sulla nuova legge sull’immigrazione voluta dalla Cdu, il centro democratico guidato da Merz è risultato il primo partito, nonostante il 28,52 per cento ottenuto rappresenti il secondo peggior risultato post riunificazione della Germania. Al governo andranno con la formula della Große Koalition, in un’alleanza con i socialdemocratici di Spd dell’attuale cancelliere Olaf Scholz: i 328 seggi ottenuti dai due partiti sui 630 disponibili permettono di governare senza i voti di altre formazioni. L’ultradestra di AfD, che ha raddoppiato i consensi rispetto al 2021 con il migliore risultato della sua storia, non è riuscita a proseguire nel trend di crescita degli ultimi mesi e si è fermata intorno il 20 per cento, che comunque la porta a essere il secondo partito. I liberali di Christian Lindner, che con le contestazioni sulla finanziaria 2025 ha provocato la crisi politica e portato alle elezioni anticipate, non hanno superato lo sbarramento del 5 per cento e restano fuori dal Bundestag. I colloqui tra Cdu e Spd per il nuovo governo erano già iniziati prima del voto e, secondo le ultime dichiarazioni di Merz, la Germania avrà un nuovo governo prima di Pasqua.

Un programma impegnativo

Le sfide che attendono il futuro governo sono decisamente impegnative: invecchiamento della popolazione, differenze economiche e reddituali tra Est e Ovest, crisi energetica e perdita di competitività dell’industria manifatturiera, ritardo nell’innovazione tecnologica, sistema finanziario frammentato e poco efficiente, eccessiva dipendenza dalle esportazioni e scarsa domanda interna, tutti elementi che hanno portato a due anni consecutivi di recessione economica. AfD ha abilmente cavalcato queste difficoltà, particolarmente accentuate nei lander orientali dove, a differenze significative di reddito nei confronti delle regioni dell’Ovest, si è andato sovrapponendo un crescente sentimento di abbandono, soprattutto tra le fasce più deboli della popolazione. C’è poi il rischio che la politica protezionista di Donald Trump colpisca entro poco tempo anche la Germania, che è il quarto partner commerciale degli Usa, dopo Messico, Canada e Cina (già interessate dalla minaccia di dazi della nuova amministrazione americana). Per l’anno in corso le ultime previsioni del governo uscente indicano una crescita di poco superiore allo zero, +0,3 per cento per la precisione, molto sotto l’1,1 per cento ipotizzato solo a ottobre 2024, allungando quindi la striscia di trimestri in stagnazione. Il nuovo governo è chiamato a invertire questa tendenza.

Per farlo Merz ha delineato in campagna elettorale i punti essenziali della sua “agenda 2030” per la Germania: taglio delle imposte alle imprese per portarle al 25 per cento, abbassamento dei costi dell’energia attraverso una diminuzione della tassa sull’energia e una revisione delle politiche climatiche, riduzione dei sussidi per i rifugiati e i disoccupati di lungo corso, semplificazione dell’amministrazione pubblica, deregolamentazione del mercato del lavoro, incentivi per le imprese innovative e start-up.

Si punterà molto anche sulla difesa e sull’incremento delle spese militari, che nel 2024 hanno superato il 2 per cento arrivando a superare i 70 miliardi di euro, con l’obiettivo di portarle fino al 3 per cento, oltre i 100 miliardi. Nelle stime del leader della Cdu, il complesso di questi interventi dovrebbe permettere all’economia tedesca di giungere a una crescita annua superiore al 2 per cento fino al 2030. Una crescita che è essenziale non solo per la Germania ma anche per l’Europa tutta, che non può pensare di svilupparsi, innovare e competere a livello internazionale senza che la sua economia principale sia uscita dal pantano in cui si trova.

Il vincolo di troppo

Per realizzare l’agenda 2030 Merz si è anche detto disponibile a lavorare per modificare la regola dello Schuldenbremse (freno all’indebitamento) per specifiche categorie di intervento, per esempio le spese militari. Si tratta però di una regola di rango costituzionale e la sua modifica necessita del consenso dei due terzi del parlamento. In altre parole, è necessario un accordo politico anche con Verdi e Linke, dato che AfD è da sempre contraria a qualsiasi cambiamento della regola.

Per evitare di perdersi nelle pieghe di un bilancio da mantenere in pareggio, il rispetto delle promesse elettorali passa così da un’intesa più ampia rispetto a quella di governo che verrà trovata con la Spd. Nel frattempo, però, si potrà tornare a valutare l’utilizzo della dichiarazione dello stato di emergenza, con il quale viene meno il rispetto dello Schuldenbremse, ma che espone al rischio di ricorsi alla Corte costituzionale. Oppure si potrebbe rispolverare l’escamotage contabile pensato lo scorso autunno, che prevedeva il taglio dei trasferimenti alle ferrovie tedesche (Deutsche Bahn) e contestualmente un prestito pubblico e una ricapitalizzazione, che dal punto di vista contabile sono esclusi dal calcolo del deficit. Soluzioni di breve termine, che avevano l’opposizione dei liberali, ma che possono dare al nuovo governo, almeno agli inizi, lo spazio fiscale sufficiente per le misure ritenute più urgenti. Lasciando poi al medio termine la ricerca di un accordo per il superamento di un vincolo auto-imposto e che, anche all’interno del paese, è ormai ritenuto una delle cause dell’immobilismo tedesco.

La maggiore apertura verso forme di flessibilità all’interno potrebbe portare anche a un atteggiamento più morbido all’esterno, per rilassare i parametri del Patto di stabilità e crescita da poco in vigore, escludendo determinate categorie di spesa dal calcolo dei parametri. Difficile però aspettarsi un cambio di atteggiamento generalizzato, che vada cioè al di là di quanto sia funzionale al disegno di rilancio tedesco. L’impostazione politica del prossimo cancelliere è – e resterà – conservatrice, orientata a considerare la disciplina fiscale come essenziale strumento di coordinamento tra le economie della zona euro.

fonte: https://lavoce.info/archives/107135/la-germania-dopo-il-voto/

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