Cecconi (Spi-Cgil): “Bisogna passare dalla cultura del posto letto a quella del posto di vita”. Servono controlli di qualità: vanno fissate regole e standard per svolgere l’attività. E devono essere alti. (Intervista di Alessandro D’Amato)
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Cecconi, tre anziani sono morti, forse per un errore nella catena di produzione dei pasti della mensa.
“In questi casi i controlli sono delle aziende sanitarie locali perché sono titolari delle convenzioni con le strutture. In questo caso mi sembra che si sia attivato anche il dipartimento di prevenzione della Regione. Non possiamo nulla prima delle indagini: andranno individuate le responsabilità, anche quelle personali come le omissioni di controllo. Si tratta di fattori che non possono essere accettati in un sistema che si deve prendere cura delle persone”.
Dopo le ispezioni dei Nas nelle strutture per anziani il suo sindacato ha lanciato un allarme sulla qualità dell’assistenza in questi centri.
“Il problema sono le grandi dimensioni oppure le piccole dimensioni ma non sottoposte a controlli di qualità. Un ruolo importante lo hanno le aziende sanitarie e i Comuni, che devono vigilare sulla qualità delle condizioni degli ospiti. Il sindacato sta svolgendo una ricerca sulla qualità delle condizioni di vita nelle Rsa che presenteremo il 28 febbraio. Questa vicenda illumina negativamente una situazione che non è generalizzata, perché ci sono ottime condizioni di vita in queste strutture. Poi ci sono gli episodi estremi: la violenza sugli ospiti, la contenzione, spesso dovute a carenze di personale“.
Quali sono gli interventi legislativi più urgenti?
“Il primo è stabilire regole e standard per svolgere questa attività. Standard di qualità e di quantità che abbiano livelli alti sia in termini di numeri che di professionalità per queste strutture: questi non sono parcheggi per vecchi. Sono luoghi di cura. Bisogna passare dalla cultura del posto letto a quella del posto di vita (ndr citando Benedetto Saraceno). Non basta ricoverare un anziano: è necessario garantirgli condizioni di vita dignitose. Invece a volte diventano contenitori per persone. C’è bisogno di un radicale rinnovamento dell’idea di ricovero”.
Durante la pandemia le residenze sono finite spesso nelle cronache. Poi forse sono state dimenticate?
“Eh direi di sì. C’è stata un’attenzione immediata quando è stata licenziata la riforma della non-autosufficienza, che aveva aperto tante speranze al diritto di una persona di vivere ed essere curata a casa propria. Parlo di sostegno alle famiglie, sgravi contributivi e fiscali, riqualificazione del lavoro di cura delle badanti e dei caregiver. Anche perché bisogna ricordare che la maggior parte degli anziani oggi non vive in una Rsa, ma a casa sua. Ma in quali condizioni? E con quanta fatica e costi a carico delle famiglie? E poi bisogna riqualificare la natura stessa delle strutture residenziali per anziani, che per quanto ci si impegni e si lavori bene scivolano inevitabilmente verso una logica istituzionalizzante, quella che Basaglia aveva teorizzato all’epoca dei manicomi. Le Rsa non sono manicomi, sia chiaro. Però l’istituzione totale tende a ridurre la persona non più un soggetto ma un oggetto. E questo è un problema aperto”.
Quanto impatta la retta di una Rsa per una famiglia?
“In Toscana sopra i duemila euro al mese solo per i costi sociali. In caso di indigenza interviene il Comune. Poi c’è una quota a carico del Ssn per le cure. Bisogna cambiare, senza criminalizzare nessuno. Ma bisogna cambiare”.
Fonte: https://www.sossanita.org/wp-content/uploads/2025/02/2025-02-RSA-QUTOIDIANO-N-CECCON.pdf