Carbon Brief ha pubblicato la classifica degli articoli scientifici sul cambiamento climatico più diffusi nel 2024. Al primo posto, uno studio che ha previsto il possibile collasso della circolazione atlantica meridionale, seguito da una ricerca sui costi economici del riscaldamento globale e da un’analisi che conferma l’estate 2023 come la più calda degli ultimi due millenni. L’analisi mostra altri elementi interessanti: innanzitutto una minore attenzione mediatica rispetto agli anni precedenti, ma anche disuguaglianze geografiche e di genere tra gli autori e la diffusione di disinformazione sul clima.
Come ogni anno dal 2015, la testata britannica Carbon Brief ha pubblicato la classifica degli articoli scientifici dedicati al cambiamento climatico più diffusi dai media nel 2024. La circolazione di questi studi al di fuori dall’ambiente accademico contribuisce a formare l’opinione pubblica, indirizza i dibattiti nelle campagne elettorali, traduce la scienza del clima in decisioni politiche. Tuttavia, nonostante il 2024 sia stato un anno record per numero di elezioni e temperature, la diffusione online dei paper sul clima è risultata inferiore rispetto al recente passato.
L’articolo scientifico in vetta alla classifica è stato citato molte meno volte dei paper ai primi posti dei precedenti ranking. La graduatoria di Carbon Brief viene elaborata sulla base di un lavoro svolto da Altmetric, organizzazione di raccolta e analisi dati, che assegna un punteggio agli articoli scientifici in base all’attenzione ricevuta online. Per farlo, tiene traccia di quante volte una ricerca pubblicata su una rivista scientifica – e quindi sottoposta a revisione tra scienziati (peer review) – viene menzionata in articoli di giornale online, blog, Wikipedia e piattaforme social (Facebook, Reddit, X e, dal 2024, anche Bluesky).
L’allarme per il collasso dell’Amoc
Lo studio più diffuso nel 2024 ha ottenuto il più basso punteggio tra quelli in vetta alle classifiche degli ultimi anni fino al 2017. Si tratta di un lavoro pubblicato sulla rivista Science che prevede – per la prima volta con un modello climatico avanzato – il collasso (la riduzione fino all’annullamento dell’intensità) della circolazione atlantica meridionale, l’Amoc (Atlantic meridional overturning circulation), il sistema di correnti oceaniche che trasporta acqua calda dai tropici verso l’Europa, influenzando il clima globale. L’autore del paper, René van Westen, ha dichiarato a Carbon Brief che «La popolarità dell’articolo deriva dalla conclusione preoccupante sugli impatti negativi che il collasso dell’Amoc potrebbe avere».
Sul tema hanno scritto approfonditamente su Scienza in rete Katinka Bellomo, Alessio Bellucci e Susanna Corti che, per cercare di mettere un freno al diffondersi dell’allarmismo, hanno spiegato come funzionano i modelli previsionali che stimano il collasso della circolazione atlantica.
I costi del cambiamento climatico
Il secondo articolo sul clima più discusso del 2024 è stato uno studio sui costi economici provocati dal riscaldamento globale. Per l’analisi, pubblicata sulla prestigiosa rivista Nature, gli autori hanno utilizzato quarant’anni di dati riguardanti i danni causati da temperature e precipitazioni estreme in oltre 1.600 regioni del mondo. Il risultato è il prezzo da pagare dal 2050 per non aver fatto nulla contro la crisi climatica: una cifra pari a 38.000 miliardi di euro all’anno. Un costo sei volte superiore alla spesa per limitare il riscaldamento globale a 2°C nel breve periodo. Inoltre, secondo le stime, il reddito mondiale si ridurrà in media del 19% entro il 2050, indipendentemente dalla mitigazione delle emissioni di gas serra.
«Le perdite maggiori si registrano nel sud globale, in regioni con poche emissioni storiche e redditi già bassi», ha spiegato il gruppo di ricerca, sottolineando che la crisi climatica aumenterà le disuguaglianze economiche. Maximilian Kotz, primo firmatario dello studio, ha dichiarato a Carbon Brief che «Il grande interesse mediatico che l’articolo ha suscitato è probabilmente dovuto alla cifra enorme stimata per i costi del riscaldamento globale». Numeri che, come Kotz ha più volte sottolineato, sono confermati anche dai risultati di altri studi che hanno utilizzato approcci diversi.
Caldo record in estate
Al terzo posto, un altro studio pubblicato su Nature. Un’analisi che ha dimostrato come l’estate 2023 nell’emisfero settentrionale sia stata la più calda degli ultimi due millenni. Per tornare così indietro nel tempo, il gruppo di ricerca ha utilizzato dati di temperatura ottenuti dallo studio degli anelli di crescita degli alberi. Analizzarli ha permesso di arrivare alla conclusione che la temperatura media estiva del 2023, nell’area non tropicale dell’emisfero settentrionale, è stata 2,2°C più calda rispetto alla media osservata tra il primo anno dopo Cristo e il 1890.
Il resto della classifica
Medaglia di legno è andata a un articolo dedicato alla scala Saffir-Simpson, il sistema, introdotto negli anni ‘70 che classifica gli uragani in base alla velocità dei venti. Lo studio, pubblicato su Pnas, sostiene che, a causa del riscaldamento globale, ci sia la possibilità di introdurre una nuova categoria della scala, la sesta. Secondo l’analisi, cinque uragani degli ultimi dieci anni sono stati tanto intensi da poter rientrare nella categoria 6.
Al quinto e al sesto posto ci sono, rispettivamente, un lavoro che ha stimato che parte della foresta amazzonica diventerà ecosistema di savana entro il 2050 e un studio sulla scomparsa della Grande Barriera Corallina, causata dal riscaldamento degli oceani.
Scetticismo, gender gap e disuguaglianze geografiche
Infine, dall’analisi di Carbon Brief sono emersi alcuni elementi interessanti. Nel 2024, un paper inizialmente pubblicato su una rivista scientifica e poi ritirato, è stato condiviso su X (Twitter) oltre 6.000 volte. Un numero molto grande, soprattutto se paragonato alle quattro citazioni ricevute da parte dei giornali online. Il motivo è da attribuire al tema dell’articolo, molto popolare tra gli scettici del clima: l’ipotesi della saturazione dell’anidride carbonica in atmosfera. Secondo questa teoria, l’atmosfera ha raggiunto un punto di saturazione della CO2 e, quindi, ulteriori emissioni non causerebbero altro riscaldamento.
Il paper era stato pubblicato su Applications in Engineering Science a marzo, ma è poi stato ritirato dall’editore che in una nota ha dichiarato: «La qualità del processo di revisione era stata inferiore agli standard richiesti».
Altri dati interessanti estrapolati dell’analisi di Carbon Brief riguardano il genere e la provenienza degli autori e delle autrici delle ricerche. Dei 275 firmatari dei primi 25 articoli del 2024, l’85% proviene dal nord globale (Europa, Nord America e Oceania), solo il 15% da altre aree del mondo e solo due scienziati dall’Africa. Inoltre, un terzo degli autori sono donne, ma solo cinque articoli hanno una donna come autrice principale.
Novella Gianfranceschi
Giornalista freelance specializzata in crisi climatica e questioni ambientali con una laurea in Biologia evoluzionistica. Segue, come corrispondente, le Conferenze delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (Cop). È autrice del podcast Aria Stampa, una rassegna stampa dedicata a clima e ambiente.