L’Europa e la Salute. di Filippo Curtale

Esiste un consenso unanime sulla necessità di riformare l’Unione Europea. Allora forse, invece di concentrarsi sulla competitività del mercato europeo, sarebbe utile si cominciassero a rivedere le materie oggetto di legislazione concorrente in modo da garantire a tutti i cittadini europei uguali diritti al lavoro, al welfare, e soprattutto alla salute. Una maggiore competitività dell’Europa non necessariamente migliorerà lo stato di salute dei cittadini comunitari, la salute, invece, intesa come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, senza dubbio aiuterebbe la competitività.


Ho letto con grande interesse il commento di Marco Geddes agli articoli recentemente pubblicati su Lancet (SSN. Qualcosa si è rotto), e ho letto in parte anche il Rapporto Draghi.[1] Ad essere sincero, non mi sorprende affatto che la sanità sia citata solo marginalmente tra gli interventi per ridare competitività all’Europa (Health, the missing chapter in the Draghi Report on the Europe’s future). Le politiche sanitarie non sono mai state una priorità per l’Unione Europea (UE), infatti i trattati fondativi della EU escludono dalla legislazione concorrente la sanità (così come anche altre materie di primaria importanza per i cittadini degli stati che costituiscono l’UE, quali il welfare, la fiscalità e la difesa).

Sin dai primi atti fondativi dell’UE, la sanità è stata considerata una questione interna, sotto il controllo degli stati membri, ed esclusa dalla legislazione comunitaria.[2] Nel passaggio dal Trattato di Maastricht (1992) al Trattato di Amsterdam (1997) prima, e di Lisbona (2007) poi, la competenza dell’Unione in materia di tutela della salute pubblica ha subito timide mutazioni in senso espansivo. L’ampliamento di tale competenza non è stato sempre programmato e graduale, dal momento che eventi come la crisi della mucca pazza, i danni da sangue infetto, l’allarme SARS e quello relativo all’influenza A/H1N1 hanno evidenziato i limiti di efficacia degli interventi dei singoli stati, contribuendo così a determinare la necessità di una più incisiva azione europea.

La base giuridica della politica della salute, nell’Unione Europea, è rappresentata dall’articolo 6 e dall’articolo 168 del Trattato sul Funzionamento dell’UE (TFUE)[3]. L’articolo 6 (Titolo I) promuove la cooperazione e il coordinamento tra gli Stati membri per tutto quel che riguarda “tutela e miglioramento della salute umana”. Il successivo articolo 168 (Titolo XIV – SANITÀ PUBBLICA) elenca tra le azioni dell’Unione “la sorveglianza, l’allarme e la lotta contro gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero”, al contempo chiarisce che l’Unione ha solo una “competenza di supporto” per sostenere, coordinare o completare l’azione degli Stati membri in materia di tutela e miglioramento della salute umana, ribadendo che l’azione dell’Unione rispetta le responsabilità degli Stati membri per la definizione della loro politica sanitaria, l’organizzazione e la fornitura di servizi sanitari, l’assistenza medica. I

l campo di azione sui problemi comuni di sicurezza in materia di sanità pubblica è limitato agli aspetti definiti nel trattato (TFUE) e cioè

  • i parametri di qualità e sicurezza degli organi e sostanze di origine umana, del sangue e degli emoderivati;
  • misure nei settori veterinario e fitosanitario il cui obiettivo primario sia la protezione della sanità pubblica;
  • misure che fissino parametri elevati di qualità e sicurezza dei medicinali e dei dispositivi di impiego medico.

Più in generale, l’intera strategia alla base del trattato sembra concepita con l’obiettivo di proteggere la salute pubblica in relazione al controllo del consumo di tabacco e all’abuso di alcool, rivolgendo ben poca attenzione all’organizzazione dei sistemi sanitari, al problema dell’accesso alle cure ed alle strategie di sanità pubblica. L’UE non entra nel merito delle misure sanitarie da adottare, né su come rispondere in maniera coordinata alle presenti sfide sanitarie derivanti dall’invecchiamento della popolazione, dall’aumento delle malattie croniche, dei tumori.

La pandemia ha ulteriormente evidenziato tutti i limiti dell’azione della UE in campo sanitario. L’articolo 168 del TFUE, sembrava concepito per proteggere l’Europa da una minaccia epidemica (fu approvato nel 2012 ai tempi del rischio influenza aviaria) ed invece, sin dalle prime fasi della diffusione della pandemia in Europa, è emerso chiaramente come la risposta dell’UE a questa minaccia non sia stata all’altezza della sfida.[4] La risposta tardiva e poco coordinata del sistema europeo è stata causata da una serie di debolezze organizzative, ma soprattutto dalla mancanza di un mandato legale su una politica sanitaria comune.

Gli strumenti di coordinamento e sorveglianza predisposti in passato dalla EU[5] sono stati concepiti come strumenti per affrontare le emergenze sanitarie, più che definire una strategia comune per la sanità pubblica.

La sorveglianza delle malattie infettive affidata all’European Centre for Diseases Prevention and Control (ECDC)[6], il Sistema di Allarme Rapido e Reazione (SARR)[i],[7] il Comitato della Sicurezza Sanitaria (CSS) (European Commission Health Security Committee-HSC)[8] di fronte all’emergenza reale del COVID, si sono rivelati lenti e farraginosi, quindi poco efficaci. Anche il consiglio dei ministri della sanità dell’UE (Council of the European Union), che dovrebbe essere uno strumento più efficace in quanto dotato del mandato specifico di adottare leggi e coordinare le politiche del settore, necessita di tempi lunghi per la sua convocazione e si riunisce poche volte nel corso dell’anno. In conclusione, le strutture decisionali e gli strumenti di coordinamento delle politiche sanitarie a disposizione dell’UE sono ampiamente inadeguati, anche a svolgere il semplice ruolo di “competenza di supporto” per sostenere, coordinare o completare l’azione degli Stati membri in materia di tutela e miglioramento della salute umana.

È comprensibile che nella fase costitutiva dell’Unione Europa siano stati esclusi dalle materie di legislazione concorrente ambiti che avrebbero potuto creare contrasti e difficoltà tra gli stati membri. Forse un po’ meno compressibile è che negli ultimi 25 anni l’Europa abbia concentrato le sue energie, dedicato così tanto tempo, diplomazia e risorse, all’allargamento del numero degli stati membri piuttosto che a renderla più unita e vicina agli interessi dei cittadini. Ritengo che uno degli elementi della presente crisi di identità e di consenso dell’UE sia proprio l’escludere dal proprio mandato la legislazione su argomenti che sono di grande rilevanza per la vita della popolazione e che in molti casi rappresentano la storia e la specificità del nostro continente, occupandosi invece di materie che vengono considerate marginali. A tutt’oggi, viene considerato più importante per il futuro degli europei regolamentare la classificazione delle zucchine[9] o la commercializzazione delle banane[10], piuttosto che l’accesso alle cure della popolazione. Esiste un consenso unanime sulla necessità di riformare l’Unione Europea. Allora forse, invece di concentrarsi sulla competitività del mercato europeo, sarebbe utile si cominciassero a rivedere le materie oggetto di legislazione concorrente in modo da garantire a tutti i cittadini europei uguali diritti al lavoro, al welfare, e soprattutto alla salute. Una maggiore competitività dell’Europa non necessariamente migliorerà lo stato di salute dei cittadini comunitari, la salute, invece, intesa come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, senza dubbio aiuterebbe la competitività.

Detto questo, permettetemi di aggiungere qualche commento personale al rapporto Draghi sul futuro della competitività europea, in particolare sul capitolo “Rafforzare la capacità industriale per la difesa e lo spazio” che appare come una delle soluzioni principali per ridare competitività all’Europa. Proporre un aumento delle spese militari come soluzione alla corrente crisi di competitività equivale ad ammettere che la crescita infinita del PIL non sia più realizzabile nel contesto attuale. In un mondo in cui capitalismo e neoliberismo hanno ormai perso la capacità di espandere la forza lavoro, e con la tendenza consolidata ad utilizzare le scoperte scientifiche per ridurre stipendi e salari, una parte (piccola) della popolazione, ha soddisfatto i suoi bisogni essenziali, ed è sempre meno propensa a consumare il superfluo, mentre un’altra parte (grande) della popolazione difficilmente riuscirà ad emanciparsi, passando dalla condizione di poveri a quella di consumatori. Con PIL nazionali sempre più bassi, e nessuna eccezione a livello globale, il mito della crescita infinita appare sempre più per quello che effettivamente è, un mito irrealizzabile che nel frattempo sta distruggendo il mondo in cui viviamo. Qualcosa non quadra, continuiamo a produrre beni e servizi, ma la popolazione non ha più stipendi adeguati ad acquistare beni e servizi e anche facilitare l’indebitamento delle persone non ha funzionato. Tutti sappiamo che i banchieri non nutrono grande entusiasmo per l’economia circolare,[11] di conseguenza, se chiediamo ad un banchiere quale sia nel contesto attuale l’unica possibilità di mantenere in vita la crescita infinita del PIL la risposta sarà cominciare a produrre beni e servizi che abbiano la capacità di distruggere i beni e servizi già prodotti, e di autodistruggersi. Cosa, del resto, già in essere con due guerre che si trascinano da mesi e che, a parte l’inevitabile danno collaterale della perdita di vite umane, continuano a bruciare risorse e a produrre ricchezza.

Di fronte “all’urgente necessità di aumentare gli investimenti complessivi nel settore della difesa” anche i falchi dell’EU si sono dichiarati disposti a superare un vecchio tabù ed accettare l’emissione di debito comune (Fornire finanziamenti a livello europeo per lo sviluppo delle capacità industriali di difesa dell’UE).[12]  Dal rapporto emerge chiara la preoccupazione che l’UE non riesca ad agganciarsi al convoglio che marcia spedito verso questa nuova frontiera del neoliberismo.

Filippo Curtale, Medico – Referente salute Calabria. MEDICI DEL MONDO ITALIA ETS

 

Riferimenti

[1] Rapporto Draghi: Il futuro della competitività Europea, Parte A, capitolo 4. Settembre 2024

[2] Note sintetiche sull’Unione Europea – 2020. www.europarl.europa.eu/factsheets/it.

[3] Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, Brussel, 20/10/2012.

[4] Stockton B, Shoen C, Margottini L. Crisis at the commission: inside Europe’s response to the coronavirus outbreak. The bureau of investigative journalism. https://www.thebureauinvestigates.com/stories/2020-07-15/crisis-at-the-commission-inside-europes-response-to-the-coronavirus-outbreak

[5] Decisione n° 1082/2013/UE[5] del Parlamento Europeo e del Consiglio” (2013) Azioni di sorveglianza, allarme e lotta contro gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero, in particolari minacce di origine biologica che consistono in malattie trasmissibili, resistenza antimicrobica e infezioni nosocomiali connesse alle malattie trasmissibili.

[6] https://www.ecdc.europa.eu/en.

[7] https://ec.europa.eu/health/communicable_diseases/overview_it.

[8] https://ec.europa.eu/health/preparedness_response/risk_management/hsc_en.

[9] REGOLAMENTO (CE) N. 1757/2003 DELLA COMMISSIONE del 3 ottobre 2003 che stabilisce la norma di commercializzazione applicabile alle zucchine e che modifica il regolamento (CEE) n. 1292/81

[10] REGOLAMENTO DI ESECUZIONE (UE) N. 1333/2011 DELLA COMMISSIONE del 19 dicembre 2011 che stabilisce norme di commercializzazione per le banane, norme per il controllo del rispetto di tali norme di commercializzazione e requisiti relativi alle notificazioni nel settore della banana (codificazione)

[11] Kate Raworth, Doughnut economic. Seven ways to think like a 21st century economist. Chelsea Green Publishing, Vermont (USA)

[12] Rapporto Draghi: Il futuro della competitività Europea, Parte B- Sezione 1, capitolo 7 Difesa. Settembre 2024

fonte: https://www.saluteinternazionale.info/2025/01/leuropa-e-la-salute/

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