Le difficoltà evidenti del SSN non derivano certo solo da questioni di carenza di finanziamento anche se le risorse pubbliche per la sanità sono certamente carenti e l’aumento in termini assoluti del fondo sanitario da parte del Governo Meloni nasconde una diminuzione della quota della ricchezza del paese (il PIL) destinata alla sanità pubblica.
Questi tagli in termini “reali” della spesa sanitaria non sono solo di oggi ma almeno durano da una quindicina di anni in cui si è ritenuta fosse la soluzione più semplice per recuperare dei fondi per altri settori. Ma non è tutto qui, vi è stata anche l’aggressività del mercato che ha ritenuto conveniente puntare sulla sanità privata ed ancora una crescente sfiducia della popolazione nel pubblico meno attento alle problematiche degli utenti.
Però, al di là del significato dei termini, se per universalità si intende l’allargamento della copertura dell’assistenza all’intera popolazione, si deve riconoscere che nessun italiano viene escluso dal SSN, mentre però lo sono i molti migranti irregolari.
Distinguerei però l’universalità di diritto dall’universalità di fatto in quanto i ritardi nelle erogazioni escludono da alcune prestazioni i soggetti meno abbienti e costringono gli altri a trovare altre forme di assistenza rivolgendosi alla sanità privata pagandone il prezzo o stipulando delle assicurazioni. Spesso anche i costi di alcune compartecipazioni, come quella dei ricoveri nelle RSA, di fatto escludono i meno abbienti.
Ma nella mia terminologia questa non è mancanza di universalità, bensì mancanza di equità. Le regole di accesso alle prestazioni sono uguali per tutti ma non è così per tutti l’uguale possibilità di curarsi. Il Ministero definisce l’equità come un pari accesso per uguali bisogni, ma aggiungerei anche a parità di possibilità economiche di accesso.
La questione allora ricade sulla definizione dei LEA e sulla garanzia delle possibilità di usufruirne nei tempi e nei modi opportuni. Dei LEA di fatto non esigibili da parte di molti non sono certo dei LEA garantiti, e se questo riguarda soprattutto i meno abbienti la questione diventa una grave iniquità.
Trump pretenderebbe un aumento delle spese militari al 5% del PIL, cioè due volte e mezzo le attuali, non vorremmo che a perderci fosse ancora una volta la sanità. Purtroppo, chi decide sono per lo più una popolazione sana che vorrebbe che, come per altri settori del mercato, i consumi sanitari se li pagassero i malati. Ci sono due settori in cui la spesa non deve e non può essere a carico di chi ne usufruisce ma deve essere a carico dell’intera comunità: l’istruzione e la sanità.
Ma se la scarsità delle risorse del nostro paese dovessero invece in futuro realmente impedire sempre più la erogazione adeguata dei LEA, ovvero se i LEA stessi dovessero essere razionati, allora dovremmo pensare che si dovrebbe fare per garantire l’equità delle cure a tutta la popolazione. E credo che la via percorribile dovrebbe prevedere da una parte una reale revisione dell’appropriatezza delle cure e dall’altra una maggiore compartecipazione proporzionale alle capacità di ciascuno. o addirittura ad una forma di assicurazione sanitaria pubblica integrativa anch’essa proporzionale al reddito famigliare.
Ma ancor prima dovremmo rivedere dopo 46 anni di vita del SSN, se l’impostazione del sistema sanitario è ancora quella adeguata alla situazione attuale. La medicina generale, la sanità territoriale specialistica, i pronto soccorso, la prevenzione, ecc. devono essere ripensate e riorganizzate per aumentarne sia l’efficienza che l’efficacia.
E ancor prima si deve dotare gli operatori di una mentalità manageriale che non consideri solo le capacità tecnico professionali di ciascuno, ma anche le esigenze di funzionamento del sistema nel suo complesso. E questo a partire dalle facoltà di medicina che non affrontano purtroppo mai nei temi di insegnamento i problemi di gestione e di governo del sistema sanitario.
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Cesare Cislaghi, epieconomista