Il Servizio Sanitario Nazionale è malato? di Giuseppe Costa

Da un po’ di anni autorevoli Cassandre annunciano l’arrivo della “tempesta perfetta”, fatta di invecchiamento della popolazione, innovazione tecnologica sempre più costosa e crescente attitudine al consumo. Passata la bolla pandemica che aveva sospeso ogni margine alla spesa sanitaria, il cappio del debito pubblico è tornato a stringersi intorno alla spesa pubblica, impedendo alla spesa sanitaria di crescere al suo ritmo “naturale” in proporzione al PIL.

 La reazione del sistema è stato il razionamento dei livelli di assistenza più comprimibili, quelli della assistenza specialistica e strumentale, attraverso la leva del controllo dell’offerta e delle liste di attesa. La conseguenza principale consiste sia nell’aumento della spesa privata sia nella rinuncia alle cure per questi livelli di assistenza, effetti che si sommano a quelli già causati dal razionamento dei livelli di assistenza non essenziali, quelli appropriati come la salute orale o la non autosufficienza, e quelli meno appropriati. Si tratta di effetti che sono molto disuguali e potenzialmente iniqui, oltre che particolarmente invisi al pubblico.

Per queste ragioni da un lato si è mobilitata l’opposizione politica che ne ha fatto il principale obiettivo di mobilitazione politica insieme al salario minimo, in entrambi i casi senza un particolare successo; la CGIL poi propone un disegno di riforma del SSN; mentre scienziati e esperti di management sanitario tornano a riflettere sui principi fondativi del SSN per suggerirne un aggiornamento al contesto di oggi.   Dall’altro lato la maggioranza governativa ha ritagliato piccoli investimenti per tamponare le principali lacune nelle liste di attesa; mentre allo stesso tempo la sanità privata e le assicurazioni stanno approfittando di questa congiuntura per accreditarsi come la soluzione più efficiente.

Nel contesto di queste riflessioni sulla sanità pubblica malata e sui rimedi l’intervento di Zocchetti sostiene che equità e uguaglianza non sarebbero in discussione, semmai migliorabili, ma che l’universalismo sarebbe invece il principio più minacciato a causa della selettività implicita e disuguale nell’offerta sanitaria. Se proprio l’offerta sanitaria dovesse essere razionata per ragioni di sostenibilità, questa selezione dovrebbe essere esplicita e ispirata a principi di equità e uguaglianza. Concordo con Zocchetti sul fatto che questa potrebbe essere una delle responsabilità di maggiore attualità per l’epidemiologia: informare i decisori e i portatori di interesse sulle implicazioni per la salute delle scelte di razionamento e dei possibili rimedi.

Il Servizio Sanitario Nazionale non dovrebbe lasciarsi dettare l’agenda della sostenibilità e degli eventuali razionamenti dei livelli di assistenza dalle circostanze delle ricorrenti crisi e meno che mai dai non disinteressati suggeritori del mercato. Per questo scopo il SSN dovrebbe saper tradurre i livelli (essenziali) di assistenza (LEA) in una metrica comune di impatto sulla salute che possa diventare la moneta corrente con cui governare l’offerta e l’eventuale razionamento di LEA. Solo disponendo di questa informazione i decisori e i portatori di interesse potrebbero fare scelte fondate su una comprensione condivisa del loro impatto sulla salute nella popolazione e nei vari gruppi e territori, in modo che ognuno possa valutare cosa perde o guadagna da una decisione.

Tra l’altro il tema è particolarmente attuale nel contesto della regolazione dell’autonomia differenziata, dove l’uguale accessibilità ai LEA e financo anche ai livelli (essenziali) di tutela (LEP) sarebbe precondizione per aprire spazio a forme di differenziazione sui livelli non essenziali. Il problema è se sia possibile stimare quanto vale in salute un LEA o un LEP. Bisogna risalire alla discussione sugli algoritmi di allocazione delle risorse per i livelli di assistenza nello stato dell’Oregon per trovare un interesse simile. Riaprire un laboratorio dedicato a questo compito sarebbe la migliore risposta epidemiologica ed economico-sanitaria al lavoro della Commissione del CNEL sui LEP e LEA. Gli indicatori di Benessere Equo e Sostenibile (BES) dell’Istat sono stati appunto introdotti come base informativa della relazione di accompagnamento alla Legge di Bilancio, proprio sulla base del principio che le scelte allocative dello Stato (per finanziare LEP e LEA) dovessero misurarsi su una valutazione comparativa dell’andamento dei livelli di tutela del benessere misurati dal BES. Se si misura l’andamento temporale, geografico e sociale di questi indicatori si può già imparare molto sugli effetti sul benessere delle crisi e dei rimedi introdotti dalla programmazione.

Il dibattito sulla sanità malata trascura poi di considerare e dare valore alle importanti trasformazioni in corso nella assistenza territoriale, che più di ogni altra circostanza potrebbe cambiare le competenze con cui i vari attori partecipano a rendere sostenibile la sanità pubblica con le proprie scelte. La missione 6 del PNRR e il conseguente DM77 investono una quantità inedita di finanziamenti e di impegni di riforma nella trasformazione dell’offerta della sanità territoriale: COT, Case della Comunità, Ospedali di Comunità sono i luoghi chiamati a rendere la sanità territoriale visibile e innovativa nella promozione della salute e nella prevenzione, nella sanità di iniziativa, nella continuità assistenziale, nella domiciliarità.

Si tratta di investimenti strutturali, tecnologici, soprattutto nella digitalizzazione, organizzativi, di procedure, di formazione e di governance, di una entità e ambiziosità mai viste nel nostro SSN. Anche questo sforzo ha bisogno di essere accompagnato dall’epidemiologia per assicurare un’adeguata metrica di monitoraggio degli indicatori di salute che guidi gli attori della programmazione locale verso i rischi e bisogni a maggiore impatto applicando i rimedi più efficaci, costruendo così una comunità locale che sappia dare valore alle conseguenze delle scelte, eventualmente anche quelle di un razionamento che si rendesse necessario.

Una metrica buona per misurare impatto su salute di LEA e LEP con una particolare attenzione ai livelli di assistenza e tutela governabili a livello locale potrebbe essere il mandato per un nuovo laboratorio interdisciplinare che l’epidemiologia potrebbe proporre alle altre discipline, in particolare l’economia sanitaria, magari nella sede del lavoro istruttorio sui LEP del CNEL.

fonte: E&P –  Questo di Costa è il secondo di Tre articoli della serie “Quali principi del SSN oggi non sono più rispettati?

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Giuseppe Costa, Università di Torino

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