L’universalismo è ancora una virtù del SSN? di Carlo Zochhetti

Parafrasando il famoso libretto del 1965 di don Lorenzo Milani “L’obbedienza non è più una virtù” sarei tentato di cominciare questo contributo dal fondo e cioè dalla conclusione che l’universalismo non è più una virtù del SSN, ma per non mettere il carro davanti ai buoi mi sembra più opportuno porre invece la domanda: possiamo dire che l’universalismo è ancora una virtù del nostro servizio sanitario nazionale?

Come noto ed anche ribadito in questo blog (Bene valutare il SSN, ma innanzitutto cosa?) tre sono i principi attorno ai quali è stato costruito e modellato il nostro SSN: universalismo, uguaglianza, equità. Al di là del fatto che questi principi siano o meno stati realizzati in questi 45 anni di vita del servizio sanitario, pensando al SSN del futuro possiamo ancora contare su questi principi come base della architettura istituzionale del sistema sanitario o dobbiamo introdurre qualche aggiustamento e qualche variazione?

Non vuole essere questo contributo il luogo per una analisi estesa e critica di quello che va bene e di quello che va male nel SSN che stiamo vivendo oggi, di quello che eventualmente si è perso per strada e di quello che invece si è guadagnato, perché è tutto il contenuto del blog che ragiona su questi temi, ma credo che una riflessione sui principi ci possa aiutare a cominciare a tracciare il perimetro entro il quale muoversi per non subire passivamente i cambiamenti che il passare del tempo inevitabilmente introduce e per indirizzare le trasformazioni verso dove riteniamo che debbano andare.

Equità: “a tutti i cittadini deve essere garantita parità di accesso in rapporto a uguali bisogni di salute”. Molti sono i segnali che dicono che oggi il nostro SSN soffre sul tema della equità, ma un conto è dire che l’equità non si è realizzata (o è disattesa) a causa di tante ragioni (che non dipendono solo dal SSN e da ciò che lo circonda) sulle quali si può (e si deve) intervenire, ed altro conto è pensare ad un SSN dove l’equità non sia più un principio guida. Anche l’ospedalità privata (AIOP), spesso chiamata in causa come all’origine di fenomeni di iniquità, nel suo ultimo volume preparato in collaborazione con il CENSIS (Ospedali&Salute Ventunesimo rapporto annuale 2023, Franco Angeli) ha dichiarato la propria contrarietà, ad esempio, ad un SSN caratterizzato dal censo. Tanti comportamenti e scelte, a tutti i livelli (di singoli, di gruppi, di governi, …), possono portare a soluzioni non eque, a risultati iniqui nei confronti dei cittadini più deboli, ma queste sofferenze pratiche non devono indurre a pensare che dell’equità si possa fare a meno e che abbia senso progettare un SSN dove l’equità non sia più un principio fondativo.

Nonostante alcune sirene (non ultimo l’appello di alcuni mesi fa di 14 scienziati) evochino la preoccupazione di una deriva del nostro SSN verso il sistema sanitario degli USA, considerato per principio non equo, ritengo da una parte assai poco probabile questa prospettiva e dall’altra che la insoddisfacente equità del SSN di oggi non deve indurre a rinunciare ad essa come principio, ma semmai a metterla maggiormente al centro delle scelte che caratterizzano il SSN.

Uniformità, uguaglianza: “i cittadini devono accedere alle prestazioni del SSN senza nessuna distinzione di condizioni individuali, sociali ed economiche”. Anche questo principio è spesso disatteso. Solo per venire ad uno degli ultimi documenti di alto livello amministrativo che ne hanno parlato, e cioè la relazione svolta dalla Corte dei Conti alla inaugurazione dell’anno giudiziario 2024 (Roma, 13.2.24), vi si dice: “La tendenza, ormai già da diversi anni, appare lenta ma costante: da un servizio sanitario nazionale incentrato sulla tutela del diritto costituzionalmente garantito, a tanti diversi sistemi sanitari regionali, sempre più basati sulle regole del libero mercato”. Sono notizia di tutti i giorni le tante difformità che caratterizzano “le” sanità dei nostri territori, e non solo per le differenze tra regioni ma anche per quelle intraregionali (soprattutto nelle regioni geograficamente più estese), così come non si può evitare di pensare alle tante ragioni che da tempo sono all’origine dei rilevanti fenomeni di mobilità sanitaria. Ma come per l’equità, la mancata realizzazione del principio di uniformità e di uguaglianza non implica la rinuncia all’uso di questo principio per fondare il SSN di domani.

E non considero adeguate anche le preoccupazioni di coloro che pensano che il principio di uniformità ed uguaglianza sarà disatteso dalle proposte di autonomia differenziata in discussione: ho già espresso in altra parte di questo blog come sia possibile pensare alla autonomia differenziata senza mettere in discussione equità ed uguaglianza.

Certo le attuali disuniformità vanno affrontate e superate ma non voterei per un SSN che rinunci all’uguaglianza come principio fondativo.

Universalismo: “estensione delle prestazioni sanitarie a tutta la popolazione”. Siamo sicuri che si stia applicando questo principio? La distribuzione molto eterogenea della rete di offerta di servizi sanitari e socio-sanitari, ed in particolare il deficit (per non parlare della mancanza) soprattutto (ad esempio) di servizi socio-sanitari e di attività di prevenzione in molte regioni, la incapacità manifesta di alcune di esse di erogare le prestazioni considerate essenziali, la fuga (migrazione) da alcuni territori alla ricerca di prestazioni che non si ritiene di ricevere a ragionevole distanza da casa, e così via, sono tutti segnali indice della difficoltà ad erogare le prestazioni sanitarie a tutta la popolazione.

La Ragioneria Generale dello Stato (Rapporto n. 10 del 2023 sul monitoraggio della spesa sanitaria) ci avverte che in un anno i cittadini italiani hanno speso di tasca propria circa 40 miliardi per prestazioni sanitarie (25% della spesa sanitaria complessiva), quota molto rilevante (e probabilmente sottostimata) ed in notevole crescita negli ultimi 10-15 anni, per altro con notevoli variabilità regionali visto che si va dai 351 euro pro-capite della Basilicata e 382 della Calabria agli 852 dell’Emilia Romagna e 937 della Lombardia. Anche i confronti europei (per quanto da prendere sempre con le molle) confermano la maggiore propensione dei nostri cittadini (rispetto alle altre nazioni) a pagare di tasca propria prestazioni sanitarie acquistate sia dentro che fuori il SSN. Pure l’ultimo rapporto OASI (Università Bocconi) tratta l’argomento e raggiunge le stesse conclusioni. In altre parole: si superano le ristrettezze (e gli impedimenti) poste alla applicazione del principio universalista uscendo dal SSN.

Queste constatazioni non indicano il motivo per cui molti cittadini non riescono a (o sono costretti a non ) ricevere prestazioni essenziali ma rivelano un elemento importante: la disponibilità (più o meno forzata) di molti cittadini a mettere in secondo piano il principio universalista o comunque la necessità di rivalutare e ripensare il suo significato ed il suo ruolo come virtù e pilastro del SSN.

Qualcuno, sempre OASI, parla già di un universalismo selettivo, cioè di un universalismo indirizzato verso una parte dei LEA di oggi o verso gruppi identificati di popolazione, ed in questo contesto sarebbe importante che le soluzioni proposte siano conseguenza di scelte esplicite di priorità identificate, e non conseguano invece, come è la situazione attuale, a fenomeni di iniquità (chi ha i soldi) o siano frutto di un razionamento implicito o dettato dal caso (esempio: indisponibilità di servizi, lunghi tempi di attesa, …) o dalla capacità di taluni di destreggiarsi nel mare magnum della nostra burocrazia o facendo ricorso al proprio giro di conoscenze.

Sempre sul tema dell’universalismo mi è sembrata interessante la lettura del recentissimo volume curato da L. Pesenti e G. Rovati e pubblicato da Il Mulino (“Tra le crepe dell’universalismo. Disuguaglianze di salute, povertà sanitaria e Terzo settore in Italia”, 2024), che parla anche di equità e disuguaglianze ma che, evidenziando soprattutto il ruolo del Terzo settore, particolarmente presente in campo socio-sanitario ma con contributi rilevanti anche in campo sanitario ad esempio nella raccolta e distribuzione di farmaci a cittadini che per ragioni economiche non se li possono permettere, mostra alcune crepe che l’universalismo presenta e che necessitano di essere (almeno) aggiustate se non eliminate.

Per semplificare la discussione ed evidenziarne gli aspetti di maggiore rilevanza ho trattato i tre principi (universalismo, uguaglianza ed equità) come se fossero tre entità separate: in realtà il loro collegamento è del tutto evidente, così come non è sempre semplice distinguere, di fronte ad un determinato problema (esempio: liste di attesa, acquisto di farmaci e prestazioni essenziali socio-sanitarie, …), quale dei tre singoli principi stia (o non stia) agendo o se vi sia invece un concorso di azione.

Non solo, ma per una discussione completa occorrerebbe mettere sul tavolo anche la questione della essenzialità, perché da una parte non vi è dubbio che molte delle attività e delle prestazioni oggi considerate non essenziali (e quindi fuori dai LEA) non sono servizi superflui rispetto al diritto alla tutela della salute richiamato dalla Costituzione e per alcune categorie di soggetti (ad esempio quelli in povertà assoluta o relativa) potrebbero diventare essenziali, e dall’altra alcune condizioni poste alla erogazione di servizi e prestazioni essenziali (ticket farmaceutici, compartecipazione all’utilizzo di servizi socio-sanitari, …) rendono difficile l’esercizio dei tre principi.

In sintesi, e non entrando qui nel merito di una necessaria riflessione sul tema della essenzialità che è alla base di molti dei problemi di mancata attuazione dei tre principi in discussione. Equità? Sì. Uguaglianza? Sì. Universalismo? Ci si può lavorare con scelte di priorità esplicite e governate. Servono anche altri principi? Pensiamoci.

fonte: E&P –  Questo di Zocchetti è il primo di Tre articoli della serie “Quali principi del SSN oggi non sono più rispettati?

Carlo Zocchetti, ReSiSS Ricerche e Studi in Sanità e Salute

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