SSN. Qualcosa si è rotto. di Marco Geddes da Filicaia

I sistemi informatici sono, in molti casi, obsoleti e incompatibili non solo fra una regione e l’altra, ma anche all’interno della stessa regione fra Aziende ospedaliere e territoriali, oltre che rispetto alla rete ospedaliera privata convenzionata. L’assenza di una adeguata pianificazione e standardizzazione rende spesso impossibile il trasferimento delle cartelle cliniche dei pazienti e delle immagini diagnostiche, con danni per i pazienti e un onere economico per il Servizio sanitario, come anche la pandemia ha evidenziato


he Lancet ha pubblicato, ai primi dell’anno, un interessante Rapporto[1] che si compone di alcuni contributi su temi di politica sanitaria nazionale e internazionale e di esemplificative ricerche effettuate nei vari paesi europei. Fra i trentaquattro capitoli (editoriali, commenti, articoli originali) che costituiscono questo numero del Lancet ve ne sono in particolare due che riguardano direttamente o indirettamente il nostro paese. Il primo è un commento al Rapporto Draghi, dal titolo significativo: “Health, the missing chapter in the Draghi Report on the Europe’s future”. L’altro, un editoriale, a cui la stampa  e i mezzi di informazione  hanno dedicato una qualche attenzione[2],  tratta della situazione italiana ed il titolo, oltre che significativo, è allarmistico: “The italian health data system is broken”.

Il Rapporto dell’ex presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, sulla futura competitività dell’Europa, afferma che  “…l’Europa si trova di fronte a una scelta tra paralisi, uscita o integrazione. L’uscita è stata tentata e non ha prodotto ciò che i suoi sostenitori speravano. La paralisi sta diventando insostenibile mentre scivoliamo verso una maggiore ansia e insicurezza. Quindi l’integrazione è la nostra unica speranza rimasta”.  The Lancet evidenzia che “…il Rapporto segnala inoltre la necessità che l’UE si posizioni nei confronti delle altre potenze economiche e politiche, tracciando la tabella di marcia politica per l’Europa per i prossimi cinque anni… Eppure, nonostante sia composto da più di 400 pagine, [il Rapporto] presenta una grave omissione: la salute dei cittadini europei. La salute viene menzionata, ma solo in termini di contributo dell’industria farmaceutica e di opportunità derivanti dall’estrazione di dati sanitari nello spazio europeo e dalla condivisione di dati genomici a livello transfrontaliero…”.

The Lancet evidenzia come in un Rapporto che mette al centro il tema della bassa produttività economica dell’Europa e la crisi della forza lavoro, l’assenza di una tematica sulla salute appare sorprendente.

Infatti, scrive la rivista: “…la malattia è una delle ragioni principali per cui le persone  abbandonano il lavoro. Nei settori che comportano lavoro manuale le menomazioni fisiche possono rendere il lavoro impossibile. Ma ciò vale anche per il lavoro non manuale; infatti la cattiva salute mentale è un problema crescente in molti paesi e influisce sulla partecipazione della forza lavoro durante tutto il corso della vita. L’uscita dalla forza lavoro associata a malattia è più frequente nelle aree in cui ci sono poche opportunità lavorative e coloro che sono già svantaggiati nel mercato del lavoro, comprese le donne, ne sono maggiormente colpiti. Un problema di salute rilevante, come ad esempio un infarto nella mezza età, aumenta notevolmente la probabilità di abbandonare il lavoro, soprattutto per gli uomini, quelli con un’istruzione superiore e quelli che ricoprono posizioni manageriali. Anche se le persone rimangono nel mondo del lavoro, coloro che soffrono di malattie probabilmente saranno meno produttivi.” The Lancet sottolinea inoltre che l’investimento nei sistemi sanitari, oltre a benefici sui pazienti, incrementa la produttività e inoltre è così possibile trattenere, specie nell’ambito della ricerca biomedicale, talenti che invece migrano al di fuori dell’Europa.Tali affermazioni sono tutte – a mio parere – condivisibili. Mancano tuttavia, al Commento della rivista, alcune considerazioni.

In primo luogo, dopo l’esperienza Covid che i vari paesi europei hanno avuto negli anni passati, il tema del finanziamento della sanità pubblica dovrebbe essere un elemento centrale, anche sotto il profilo della “sicurezza” nel senso più ampio del termine (individuale, economica, strategica, sociale), come giustamente indicava la Commissione istituita ad hoc dalla UE, presieduta da Mario Monti: «… la pandemia ha rivelato che investimenti sanitari inadeguata, soprattutto nei sistemi sanitari pubblici, possono costituire di per sé una fonte di rischio macro-critico, non solo per il Paese in questione, ma per il mondo»[3].

Ed è proprio in tale contesto post Covid, dopo aver sperimentato le conseguenze della  interruzione (o della  competitività fra Stati)  di lunghe catene produttive per farmaci, presidi e tecnologie (apparecchi per la ventilazione polmonare), dell’abbandono di politiche industriali in tale settore (e non solo) e delle diffuse delocalizzazioni, che suscita perplessità la mancanza, nel rapporto Draghi, di un  riferimento esplicito al tema della ricerca,  produzione e distribuzione di farmaci, vaccini e altri beni biomedicali. Il Rapporto si limita infatti ad affronta tale tematica con una affermazione quantomeno ottimistica e certo non lungimirante: “La capacità di sviluppare, produrre e somministrare vaccini è stata fondamentale per consentire la ripresa economica dell’UE” [4]. Seppure la campagna vaccinale nei vari paesi europei è stata un successo e ha ridotto l’ospedalizzazione e la mortalità dovuta al Covid, la capacità di sviluppare e produrre vaccini si è tradotta, di fatto, in una non trasparente trattativa con le industrie farmaceutiche prevalentemente statunitensi e con una dipendenza dell’Unione europea dalla loro tempistica e dai loro interessi economici. Manca nel Rapporto Draghi, e anche nel commento del Lancet, un qualche riferimento alla dettagliata proposta della creazione di un “CERN della salute” (bilancio ipotizzato con un bilancio di 7 miliardi di euro l’anno); proposta fatta propria dal Parlamento Europeo nelle Raccomandazioni post-Covid e poi discussa e votata da una robusta minoranza di membri del Parlamento Europeo nell’iter di approvazione del Rapporto sulla revisione della legislazione farmaceutica[5].

L’altro elemento che rimane sostanzialmente in ombra è il problema demografico europeo, che viene valutato, dal Rapporto Draghi, solo in riferimento al dato comparativo con Usa e Cina in termini di popolazione lavorativa (14 – 65 anni) e, conseguentemente, di capacità produttiva[6]. Nessuna valutazione  viene rivolta alla fascia di età over 65; nel 2001 per 1 anziano in Europa vi erano 4 residenti in età lavorativa; fra soli 25 anni (2050) per 1 anziano vi saranno solo due persone in età lavorativa. In questo quadro demografico un serio investimento nei servizi di cura si tradurrebbe in un elemento di stabilità sociale, di incremento di occupazione qualificata, di sostegno al lavoro delle donne favorendone l’impiego sia nei servizi sanitari e sociali che in altri settori produttivi, sollevandole da impegni assistenziali familiari. In realtà il Piano Draghi non offre alcuna riflessione e proposta sulla importanza del contributo del welfare alla crescita e  all’uguaglianza di opportunità[7].

L’altro contributo che qui esaminiamo, l’editoriale del Lancet sulla situazione del Servizio sanitario italiano, prende le mosse dalle previsioni demografiche che caratterizzano il nostro paese, con una riduzione della popolazione da qui al 2050, quando gli italiani saranno 54,4 milioni (rispetto ai 60,4 milioni del 2014!)  e che si caratterizzerà in particolare per l’elevato numero di persone con più di 65 anni (il 35%) rispetti ai bambini sotto i 14 anni (11,7%). Senza riforme, questo cambiamento demografico metterà a dura prova il nostro sistema sanitario e sociale. L’editoriale si focalizza principalmente sulla frammentata infrastruttura dei dati, che rappresenta una delle principali debolezze del nostro servizio sanitario, in assenza di un cogente indirizzo centrale che abbia prodotto un sistema unificato e centralizzato per la documentazione e la condivisione delle cartelle cliniche elettroniche, dei dati ospedalieri e delle cartelle cliniche dei medici di base.

Questo elemento critico è la conseguenza della autonomia regionale (e, a mio parere, anche della debolezza dei livelli di governo nazionale in ambito sanitario) con una conseguente frammentazione dei sistemi informatici e delle tecnologie che li supportano. “La scarsa interoperabilità tra regioni e ospedali, oltre alla mancanza di sistemi di caricamento automatico dei dati nelle cliniche private – afferma l’Editoriale – mina l’efficacia del Fascicolo Sanitario Elettronico… rendendolo in gran parte inefficace a causa di questi problemi strutturali.  A ciò si aggiunge l’assenza di una politica nazionale per allocare equamente le risorse a tutte le regioni o stabilire protocolli standardizzati per la raccolta e il trasferimento dei dati”.

I sistemi informatici sono, in molti casi, obsoleti e incompatibili non solo fra una regione e l’altra, ma anche all’interno della stessa regione fra Aziende ospedaliere e territoriali, oltre che rispetto alla rete ospedaliera privata convenzionata.

L’assenza di una adeguata pianificazione e standardizzazione rende spesso impossibile il trasferimento delle cartelle cliniche dei pazienti e delle immagini diagnostiche, con danni per i pazienti e un onere economico per il Servizio sanitario, come la pandemia ha evidenziato con ritardi nella  “…l’identificazione dei collegamenti tra comorbidità e gravità dell’infezione, esacerbando le disparità regionali nella capacità e nei risultati dell’assistenza sanitaria”. The Lancet evidenzia inoltre che il nostro paese si caratterizza per una rilevante migrazione sanitaria  dal Sud al Nord Italia (prevalentemente in Lombardia e Emilia Romagna); nel 2023 i valori di spesa hanno raggiunto i 3,3 Mld €[8] ma, a causa della mancanza di interoperabilità dei sistemi, gli ospedali del nord spesso non possono accedere alle cartelle cliniche dei pazienti, con il risultato di ripetuti test diagnostici e ritardi nelle cure.

L’editoriale si sofferma poi sulla ricaduta sulla attività di ricerca di questa frammentazione tecnologica e normativa fra le 20 regioni, cosicché, in assenza di una piattaforma nazionale dei dati, i ricercatori devono rivolgersi ai comitati etici e sulla privacy delle singole istituzioni, che possono respingere le richieste senza una sostanziale giustificazione scientifica. Di conseguenza si riduce la partecipazione a studi multicentrici nazionali e internazionali; l’editoriale denuncia una continua riduzione, a partire dal 2009, degli studi autorizzati, con un totale di autorizzazioni che è sceso al 15%! Faccio tuttavia presente che la ricerca in Italia è stata penalizzata anche dal famigerato art. 110 del Codice Privacy, riguardante la ricerca medica, biomedica ed epidemiologica; la recente normativa europea e italiana (legge n. 56 del 2024) e le modifiche del Codice Privacy, pur migliorative, lasciano ancora aperte varie questioni, in particolare in termini applicativi[9].

Mentre l’armonizzazione legislativa a livello nazionale è essenziale per realizzare una rete unificata di dati sanitari in Italia l’Editoriale si chiude con una previsione di ulteriori difficoltà per la sanità italiana: “Una nuova riforma proposta minaccia di peggiorare ulteriormente la situazione. La legge sull’autonomia differenziata, se approvata, decentralizzerebbe ulteriormente la governance sanitaria, approfondendo la frammentazione e le disparità tra le regioni invece di favorire la raccolta e la condivisione armonizzata dei dati”.

Bibliografia

[1] The Lancet Regional Health – Europa 2025;48: 101206 https://doi.org/10. 1016/j.lanepe.2024. 101206.

[2] Elena Drusi “Feudale e discriminatoria” l’accusa di Lancet alla sanità, la Repubblica, 5/1/2025.

[3] Pan-European Commission on Health and Sustainable Development: Report: Drawing light from the pandemic. A new strategy for health and sustainable development.

[4] Rapporto Draghi: Il futuro della competitività Europea, Parte B- Analisi approfondita e raccomandazioni, Sezione 1 capitolo 9.Settembre 2024

[5] Cfr. https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/imprese-pubbliche-europee/ vedi inoltre: M. Florio, “Salute. Bene pubblico europeo”, in Elena Granaglia, Gloria Riva (a cura di), Quale Europa. Capire, discutere, scegliere, Donzelli Editore, 2024.

[6] Rapporto Draghi: Il futuro della competitività Europea, Parte A, capitolo 2, Box 1. Settembre 2024

[7] Forum disuguaglianze e diversità, “Piano Draghi”: non ci siamo. Diagnosi, obiettivo e rimedi ai raggi X, Ottobre 2024.

[8] I dati Agenas indicano 2,88 Mld € (superando i livelli pre Covid 2018 e 2019). Maria Pia Randazzo, La Mobilità sanitaria interregionale. Le dinamiche nel 2023. Presentazione Agenas, 12 Dicembre 2024.

[9] Francesco Barone-Adesi, Lucia Bisceglia, Francesco Venturelli, Giovanni Maglio,  Protezione dati personali e uso dei dati epidemiologici: novità legislative e questioni aperte, Quotidiano Sanità, 12 giugno 2024.

fonte: https://www.saluteinternazionale.info/2025/01/ssn-qualcosa-si-e-rotto/

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