Ho denunciato da tempo il rischio che la nostalgia del manicomio si materializzasse in proposte concrete e non mi ha sorpreso la lettera inviata dal capo di gabinetto del ministero della salute ai presidenti delle Regioni il 23 dicembre scorso, sulla tutela della salute mentale e sul destino delle «residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza» (Rems).
Davvero un regalo avvelenato sotto l’albero di Natale. Infatti, il dottor Marco Mattei affronta con spericolata leggerezza nodi delicati come il giudizio sulla sentenza numero 22 del gennaio 2022 della Corte Costituzionale e sulle indicazioni da questa offerte al parlamento per superare alcune criticità della legge 81 del 2014. Soprattutto, nella lettera è assunto come assodato un numero alto e insostenibile di persone in lista d’attesa per l’ingresso in Rems, ma non vengono forniti dati puntuali sulle presenze attuali nelle singole strutture (in alcune Rems vi sono posti vuoti) e sulla situazione nelle diverse regioni; non viene detto se queste persone sono abbandonate a se stesse o sono accolte in altre strutture assistenziali o terapeutiche (poiché in tal caso è superata la necessità di internamento in Rems).
Erroneamente è citato un ricorso inappropriato alla detenzione in carcere, quando invece il problema nasce per il cambiamento della condizione di un soggetto che per decisione del magistrato si trasforma da detenuto a internato e si pone quindi il problema della individuazione di un posto in Rems: le quali, per funzionare correttamente, devono rispondere ad alcuni requisiti, come la territorialità e il numero chiuso. Nessun accenno alla bulimia delle perizie per stabilire la incapacità totale o parziale a intendere e volere degli imputati, che i magistrati sollecitano e fanno proprie (tranne nei casi mediatici in cui l’eventuale giudizio di vizio di mente provocherebbe la sollevazione dell’opinione pubblica, vedi il recente processo Turetta).
Addirittura, viene censurata la misura di sicurezza non detentiva, della libertà vigilata, disposta dal magistrato di sorveglianza che in molti casi è opportuna e meno invasiva.
Un vero pasticcio concettuale. Per non parlare della strumentalizzazione del contenzioso presso la Corte europea dei diritti dell’uomo.
La minacciosa conclusione annuncia la predisposizione di una riforma del sistema, più per stravolgerlo che per risolvere criticità che inevitabilmente esistono quando si compie una rivoluzione come la chiusura degli Opg, la più complessa delle istituzioni totali.
La pretesa soluzione consisterebbe nel costituire quattro diverse strutture per l’esecuzione delle misure di sicurezza; l’unica chiara ed esplicita è la creazione di una Rems di primo livello caratterizzata dalla «massima intensità di cura e dalla alta sicurezza» (sic!): insomma un piccolo manicomio.
Le Regioni daranno una risposta adeguata a questa provocazione? Appare sempre più evidente l’opportunità di una soluzione radicale, superando il doppio binario del Codice Rocco con l’eliminazione del proscioglimento «per incapacità di intendere e volere al momento del fatto criminoso».
Sul tappeto vi è la proposta elaborata dalla «società della Ragione» con il sostegno di tanti psichiatri, giuristi e esponenti del movimento dei diritti, depositata alla camera dei deputati da Riccardo Magi con il numero 1119. Di questo tema si è discusso nella Conferenza nazionale autogestita sulla salute mentale che si è svolta a Roma il 6 e 7 dicembre con la partecipazione di centinaia di operatori. In quella sede è stata contestata anche la proposta di legge (numero 1179) di Fratelli d’Italia, partito a cui fa riferimento il ministro della salute, che stravolge requisiti e durata del Trattamento sanitario obbligatorio (Tso), prevede di effettuare il Tso in ambito detentivo, e crea piccoli manicomi nelle prigioni. C’è del metodo in questa follia, occorre una risposta adeguata.