mi dispiace non essere fisicamente lì con voi. Ma partecipo con il cuore alla vostra discussione e al vostro impegno, che è insieme di denuncia e di proposta.
Dai nostri osservatori sulla strada, vediamo da tempo crescere i problemi di salute mentale, soprattutto fra i giovanissimi e le persone più vulnerabili e marginali. Questi problemi causano sofferenze enormi ai singoli e ai loro cari, ma sono anche il sintomo di un malessere più vasto: un disagio di tipo sociale.
Tutti i parametri di salute, voi lo sapete meglio di chiunque, sono influenzati dalla qualità di vita delle persone: dalla situazione abitativa al livello di istruzione, dalla sicurezza sul lavoro alla condizione economica, dalla solidità delle relazioni alla cura del contesto urbano.
La salute mentale è ancora più strettamente legata a questi fattori, e il suo venir meno spesso discende dal deteriorarsi delle condizioni materiali e culturali in cui la gente vive. Si inizia a stare male anche come reazione alle malattie sociali che abbiamo intorno: povertà, ingiustizia, razzismo, individualismo, conformismo, indifferenza.
Incontriamo tanti adolescenti spaventati da rapporti modellati sulle apparenze e la competizione. Altri sradicati, alla ricerca di un difficile equilibrio fra le culture di origine e un’appartenenza nuova, in un Paese che tende a ghettizzarli e svalorizzarli.
Incontriamo tante donne che hanno vissuto situazioni di violenza domestica, e, nel momento di maggiore fragilità, si trovano ad affrontare anche forme di violenza istituzionale, vedendosi negare sostegno e cura.
Incontriamo nuclei familiari segnati dall’aggressività dei figli, spesso con problemi di dipendenza, nei confronti dei genitori; e altri dove genitori in difficoltà psichica maltrattano i figli.
Incontriamo persone migranti che, dopo i traumi del viaggio in balia dei trafficanti di esseri umani, subiscono qui da noi ogni sorta di umiliazione burocratica, venendo sospinte nell’illegalità che produce sfruttamento, abuso di sostanze e disagio mentale.
Il malessere accresce la conflittualità, nelle famiglie come nei quartieri. E dai conflitti non possono che scaturire nuovi malesseri, nuove paure.
La risposta che oggi purtroppo vediamo dare è di tipo soprattutto restrittivo e repressivo. Si riducono le persone a numeri o etichette, facendole coincidere con la propria malattia. Nel migliore dei casi, ad esempio quando sono molto giovani, per “incasellarle” dentro rassicuranti “diagnosi”. Quando invece si tratta di persone straniere o con dipendenze patologiche, lo scopo è quello di rinchiuderle e punirle.
Si tolgono risorse ai servizi socio-sanitari di prossimità, scaricando sulle famiglie la responsabilità di situazioni materialmente ed emotivamente insostenibili.
Ci si dimentica completamente della prevenzione!
Fate bene allora ad arrabbiarvi e insorgere, voi professionisti della cura, costretti spesso a un ruolo di “guardiani” più che di terapeuti. Fate bene a rivendicare come prima cosa l’umanità dei vostri pazienti e il loro diritto a essere trattati umanamente, come ci ha insegnato il grande Franco Basaglia. Fate bene a contrastare i revisionismi di chi accusa una legge rivoluzionaria come la 180 di aver abbandonato le persone… tacendo delle molte inadeIT)pienze con le quali è da sempre applicata, risultando depotenziata o persino distorta.
Ma oltre al vostro prezioso ruolo di cura nella società, rivendicate, vi prego, con forza, la vostra capacità di cura della società! Perché ogni giorno vi confrontate con coloro che sono i sintomi viventi di un malessere che ci riguarda tutti. Queste persone, attraverso il proprio dolore individuale, raccontano quello collettivo. Ci parlano di tragedie vicine e lontane dalle quali voltiamo lo sguardo, ma che rimangono sullo sfondo a ricordarci quanta strada ancora dobbiamo fare per diventare pienamente… umani.
Il dramma delle morti in mare come quello delle stragi in guerra; il cambiamento climatico e la più generale crisi ambientale; le disuguaglianze sempre più scandalose; i pericoli di un’intelligenza artificiale che si trasforma in intelligenza criminale. Questo dovrebbe farci paura! Non le fragilità, le sofferenze, le richieste di aiuto sussurrate o gridate dei singoli. La speranza ha da sempre il volto degli esclusi, dei disperati, dei “matti”: è essa stessa un atto di “sana follia”. Per questo auguro a voi, a noi, e anche alle persone di cui vi occupate con amore, di riuscire a stare meglio… senza “guarire”