Alla seconda Conferenza nazionale per la Salute Mentale del 6 e 7 dicembre scorso uno degli interventi a mio avviso più lucidi è stato quello di Alessandro Saullo, medico psichiatra del DSM di Gorizia, che ha indicato come di importanza fondamentale la ricerca e la discussione sui rapporti fra psichiatria e salute mentale, due dimensioni diverse e complementari di saperi, culture, organizzazioni e relazioni nel lavoro fra gli operatori e con le persone pazienti e utenti.
Nel corso del dibattito è emersa una condizione generale di grande sofferenza nei pazienti e nelle loro famiglie, in particolare la loro fatica a rapportarsi con i DSM senza vedersi riconosciuti attenzione, ascolto, rispetto. Questo è dovuto certamente al sovraccarico di accessi e urgenze e a gravi carenze di organici (Imputabili alla responsabilità di Università e di politiche che non hanno saputo programmare accessi ai corsi adeguati ai bisogni del Servizio sanitario nazionale), ma anche, e pesantemente, ad altrettanto gravi limiti nella formazione dei professionisti. Ma l’Università, l’istituzione titolare esclusiva della formazione di medici psichiatri, psicologi, infermieri professionali, terapisti della riabilitazione, educatori professionali, assistenti sociali, vale a dire della preparazione di tutti i titolari delle professioni sanitarie operanti nei Dipartimenti per la salute mentale del Servizio sanitario nazionale, è stata assente alla nostra Conferenza.
Credo che, proprio per le drammatiche difficoltà in cui versa da tempo il lavoro per la salute mentale, sia importante e urgente riprendere e sviluppare una interlocuzione seria con l’Università,
Si tratta di una questione che ha accompagnato tutto il percorso della riforma italiana: cito Franco Basaglia che, concludendo i lavori del convegno “Le nuove istituzioni della psichiatria – dalla 180 alla 833 amministratori e operatori socio-sanitari a confronto” promosso dall’Amministrazione Provinciale di Mantova nel dicembre 1979, affermava:
“Il problema della formazione per me è uno dei problemi fondamenti per l’applicazione della legge, perché se avremo dei tecnici che sanno quello che fanno, potremo applicare la legge; se avremo dei tecnici che difendono la corporazione medica, la legge non potrà essere applicata, perché ai tecnici non importa nulla della sua applicazione (…)
Abbiamo dovuto supplire alle mancanze dell’Università; eppure non siamo dei missionari, non siamo dei santi, siamo soltanto delle persone che vogliono cambiare la situazione di una società che sta già mutando e, siccome siamo tecnici, vogliamo come tecnici essere al servizio di chi ci chiede una risposta pratica, una risposta reale. Da questo punto di vista uno dei difetti maggiori della legge è che non abbiamo i medici, non abbiamo gli infermieri, non abbiamo le assistenti sociali che vogliono applicare la legge. (…) Creiamo una situazione nella quale la formazione cambi radicalmente, altrimenti non può essere applicata né la riforma sanitaria né la riforma psichiatrica”[1].
Fra le successive iniziative di confronto fra movimento riformatore e i titolari della formazione cito il seminario su “Salute mentale e diritti- problemi e percorsi di tutela” organizzato dalla Società Italiana di Psichiatria (SIP), presidente Carmine Munizza, nei giorni del 31 gennaio e del 1 febbraio 2003 a Torino[2]. Gli atti, cui rimando, contengono, oltre ai documenti nazionali e internazionali più significativi rispetto ai temi affrontati nel seminario, i documenti preparatori centrati sui temi dei diritti del paziente, nonché i contributi dei partecipanti, molti dei quali psichiatri cattedratici.
Per dire che, come è stato possibile allora, va ripreso il confronto, ovviando alle assenze alla Seconda Conferenza Nazionale, alimentando il dibattito per il riconoscimento dell’autonomia dei saperi della “salute mentale” rispetto a quelli della psichiatria, tutti saperi che vanno trasmessi alle generazioni di operatori in formazione. Senza timore, anche mettendo in conto polemiche aspre.
Per ancorare la discussione alla concreta situazione italiana attuale, penso sarebbe utile promuovere una ricerca sui programmi di studi, su cosa e come si insegna e si ricerca nei Corsi di laurea e nelle Scuole di Specializzazione che preparano i professionisti che opereranno nei Dipartimenti di Salute Mentale in materia non solo di psichiatria, ma anche di salute mentale. E senza dimenticare l’urgenza di ovviare, a partire dalla formazione specialistica di base, alle grandi difficoltà in cui si dibatte l’assistenza alla sofferenza mentale nelle persone migranti che appartengono e fanno riferimento a culture altre rispetto a quelle europee, che vivono con noi da decenni ed oggi raggiungono il 10% della popolazione della Repubblica.
Buon anno a tutte e tutti. E che cessino le guerre nel mondo.
Luigi Benevelli
Mantova, 26 dicembre 2024
[1] in Atti, 1981, pagina 261
[2]Salute mentale e diritti, a cura di Carmine Munizza, Bra (CN), 2003