Ogni anno migliaia di donne abortiscono lontano dal proprio luogo di residenza. Uno studio sui dati del ministero della Salute e sulle singole interruzioni di gravidanza mostra un collegamento con la distribuzione territoriale dei ginecologi obiettori.
Obiezione di coscienza e gli aborti fuori regione
Il 22 maggio 1978 la legge 194 introduceva nel sistema sanitario italiano l’interruzione volontaria di gravidanza, garantendo contestualmente al personale medico e ausiliario la possibilità di essere esonerato dal servizio invocando l’obiezione di coscienza.
L’obiezione di coscienza è consentita, insieme all’aborto, in 21 su 25 paesi europei, ma rimane in Italia un tema molto controverso per la sua diffusione tra le più elevate al mondo: nel 2016 era obiettore il 71 per cento dei ginecologi italiani, con percentuali ben più alte in alcune regioni (figura 1).
Appare legittimo chiedersi se una così larga diffusione del fenomeno, in genere imputabile a motivazioni religiose e professionali degli obiettori, sia tale da limitare l’accesso all’aborto. La questione, tanto spesso dibattuta, raramente è stata analizzata con gli opportuni strumenti di analisi statistica.
Ogni anno in Italia molte donne abortiscono fuori dalla regione dove risiedono. Stando ai dati del ministero della Salute, solo nel 2016 i casi sono stati più di 4 mila, pari al 5 per cento del totale delle interruzioni di gravidanza.
La figura 2 mostra (in verde) quali sono le regioni che ricevono più donne in cerca di un aborto e quali invece (in rosso) quelle da cui ne partono di più. Non è detto che l’obiezione di coscienza sia all’origine di questi movimenti. Potrebbero esservi altri motivi per cui le donne scelgono di recarsi in altre regioni ad abortire, legate allo stigma sociale e alla ricerca di riservatezza, o alla miglior qualità di alcune strutture sanitarie. Inoltre, alcune delle donne che ottengono un’Ivg fuori dalla propria regione potrebbero essere già emigrate, per motivi di studio o di lavoro, senza però aver cambiato formalmente luogo di residenza.
Per valutare l’impatto dell’obiezione di coscienza, abbiamo analizzato dati regionali nel periodo 2002-2016, pubblicati dal ministero della Salute, ponendo in relazione una misura di mobilità territoriale delle donne che abortiscono (la differenza percentuale fra le interruzioni di gravidanza ottenute da donne residenti nella regione e quelle avvenute nella regione) con la percentuale di ginecologi obiettori, ma controllando per altre caratteristiche regionali che possono spiegare la mobilità per Ivg: il livello di fecondità e la religiosità della popolazione, la presenza di donne straniere (con abortività tripla rispetto alle italiane), le condizioni economiche e, per tener conto della mobilità ospedaliera che si osserva in Italia, la mobilità per nascite (T. Autorino, F. Mattioli e L. Mencarini (2018), The Impact of Gynecologists’ Conscientious Objection on Access to Abortion in Italy, WP Dondena n. 119, Università Bocconi).
I risultati dimostrano che, a parità di altre condizioni, le regioni che registrano maggiori flussi in uscita di donne in cerca di un’Ivg sono proprio quelle dove l’obiezione di coscienza è più diffusa. Se si analizza il tempo di attesa medio fra il rilascio del documento che autorizza all’Ivg e la data dell’intervento, osserviamo che nelle regioni con più obiettori i tempi di attesa si allungano.
Abbiamo poi approfondito l’analisi, studiando più di un milione di singoli casi di Ivg fra 2002 e 2016 (dati del laboratorio Adele dell’Istat), mettendo in relazione il luogo dove è avvenuta l’interruzione (dentro o fuori la regione di residenza della donna) non solo con l’obiezione e gli altri fattori regionali, ma anche con le caratteristiche individuali delle donne – quali età, condizione lavorativa, stato civile, cittadinanza, numero di figli, ricorso pregresso all’Ivg e urgenza dell’intervento.
I risultati confermano che l’obiezione di coscienza aumenta significativamente la probabilità che una donna abortisca fuori dalla propria regione di residenza. La relazione permane anche considerando esclusivamente gli aborti che avvengono in province di altre regioni non confinanti con la provincia di residenza: ciò segnala come non si abortisca in un’altra regione solo per mantenere la riservatezza o per una maggiore prossimità agli ospedali di altre regioni. E la distanza percorsa per abortire è spesso non trascurabile.
Margini di azione?
I nostri risultati mostrano che l’obiezione di coscienza complica l’accesso all’Ivg, imponendo tempi, distanze e quindi costi maggiori alle donne in cerca di un aborto sicuro.
Di fronte alle altissime percentuali di obiettori tra gli operatori sanitari in Italia occorre indagarne le ragioni e i possibili rimedi. Il loro numero è addirittura cresciuto negli anni e in alcune regioni si avvicina alla totalità del personale, tanto da far ritenere che dietro il fenomeno vi siano ragioni diverse da quelle legate alla religione e alla coscienza, tra le quali, ad esempio, la percezione che i non obiettori siano penalizzati professionalmente dovendo svolgere prevalentemente Ivg.
Per assicurare un adeguato, ed eguale, accesso all’Ivg in tutto il territorio italiano, potrebbe essere incentivata la non obiezione. Probabilmente basterebbe porre un limite al numero di interventi per operatore. E al contempo prevedere – e incentivare – un rapporto numerico ideale tra obiettori e non obiettori per riuscire a garantire il servizio, in ogni ospedale o almeno in ogni regione.
Figura 1 – Percentuale di ginecologi obiettori
Figura 2 – Differenza fra Ivg effettuate nella regione e Ivg da parte di donne residenti, in percentuale del numero di Ivg effettuate nella regione.
Questo articolo è stato pubblicato in contemporanea su Neodemos.
Fonte: Lavoce.info