Il 18 maggio 2024, durante la loro assemblea annuale, i membri dell’associazione irlandese dei medici di famiglia (ICGP, Irish College of General Practitioners, con oltre 5000 iscritti) hanno votato a favore della decisione di non accettare più finanziamenti dall’industria farmaceutica.
Hristio Boytchev è un giornalista investigativo freelance, con base a Berlino, che collabora con il British Medical Journal su temi riguardanti l’integrità della ricerca, le conseguenze dei conflitti di interessi e altri problemi sistemici in sanità, come finanziamenti e corruzione. Da Boytchev ho ripreso tempo fa su questo blog un articolo sui finanziamenti di Big Pharma ai Royal Colleges britannici.[1] Usando dati prelevati da Disclosure UK, un database volontario della federazione britannica delle industrie farmaceutiche, Boytchev ha calcolato pagamenti per oltre 9 milioni di sterline tra il 2015 e il 2022. Quasi sicuramente si trattava di una sottostima, visto che non tutte le ditte che operano nel settore dei farmaci e dei dispositivi medici in Gran Bretagna sono iscritte alla federazione, e visto che la registrazione dei pagamenti effettuati non è obbligatoria.
Usando lo stesso database, Boytchev ha ora scoperto che, nello stesso periodo, Big Pharma ha anche versato oltre 156 milioni di sterline a istituzioni e autorità sanitarie del National Health Service (NHS).[2] Il problema è che non è chiaro a cosa siano serviti tutti quei soldi. Disclosure UK non obbliga le ditte a fornire dettagli. Le categorie più usate sono generiche: donazione, borsa di studio, contributo per un evento, spese per servizi, progetto comune di lavoro, consulenza. Nessun altro dettaglio, meno che meno su prodotti ai quali i versamenti potrebbero essere legati. Ci sono i nomi delle istituzioni che hanno ricevuto le somme maggiori, il Guy’s and St Thomas’ Foundation Trust, l’Imperial College Healthcare Trust, lo University College London Hospitals Foundation Trust, l’Oxford University Hospitals Foundation Trust, il Manchester University Foundation Trust e il Barts Health Trust. Interrogati dai ricercatori, confermano di aver ricevuto il denaro, dicono che le cifre riportate sono accurate, ma non rivelano altri dettagli. Sostengono, però, di essere istituzioni di grandi dimensioni, di fare molta ricerca per migliorare le cure ai pazienti, e di dover perciò collaborare con l’industria. Altre istituzioni, come University Hospitals Birmingham, University Hospitals of Leicester, King’s College Hospital e Royal Free London Trust non si sono nemmeno degnate di rispondere agli autori dell’articolo.
Le 10 istituzioni appena citate hanno ricevuto quasi 50 milioni di sterline, il 30% del totale. I 10 singoli pagamenti più elevati hanno totalizzato oltre 6 milioni, ma il 94% dei versamenti era per cifre inferiori alle 10mila sterline. Delle 220 istituzioni sanitarie presenti in Gran Bretagna tra il 2015 e il 2022, solo tre non hanno ricevuto fondi, compresi due servizi di ambulanze. Notare che questi soldi sono in più rispetto a quelli pagati da Big Pharma per la ricerca, per esempio per condurre un trial clinico randomizzato o un trial di fase IV per verificare efficacia e sicurezza di un farmaco immesso sul mercato. Costituiscono, inoltre, solo il 20% circa del totale pagato a vario titolo a Scuole di Medicina, Royal Colleges (vedi sopra), associazioni professionali, organi e commissioni di gestione, e medici di famiglia.
C’è da chiedersi se un tale massiccio versamento di denaro da Big Pharma al NHS sia nell’interesse di pazienti e cittadini, o se vada piuttosto a beneficio delle imprese private. È per lo meno improbabile che si tratti di versamenti a fondo perduto. Nessun alto responsabile di una multinazionale del farmaco elargirebbe tali somme se non fosse sicuro di ottenerne un adeguato ritorno. Risulta comunque evidente che vi è una mancanza di trasparenza su questi versamenti. Il sistema non può essere affidato a Big Pharma, che ha tutto l’interesse a nascondere i suoi secondi fini. Dovrebbe essere regolato dal settore pubblico e dovrebbe permettere a qualsiasi cittadino, oltre che a un giornalista investigativo, di sapere esattamente chi riceve quanto da chi, e per quali dettagliate attività.
Non succede in Gran Bretagna, come non succede in Italia. C’è un po’ di trasparenza in più negli USA, in Francia e in qualche altro paese europeo, dove i governi hanno adottato leggi, dette Sunshine Act, che obbligano a registrare su database pubblici tutti i passaggi di denaro tra industria della salute e istituzioni od operatori sanitari, singoli o associati.[3] Anche il nostro parlamento ha votato nel 2022 un Sunshine Act; peccato che, pur essendo entrato ufficialmente in vigore, non sia ancora operativo e che non si sappia quando lo sarà. La trasparenza, però, è necessaria, ma non sufficiente. Sapere che la ditta tale ha dato dei soldi a tale istituzione o a tale ricercatore per questo o quel motivo non impedisce a questa transazione finanziaria di avere l’effetto desiderato, generalmente a favore della ditta. Dieci anni di Sunshine Act negli USA non hanno diminuito l’influenza di Big Pharma sui medici, con le relative conseguenze.[4]
Come scrivevo un anno fa, in attesa che i governi promulghino e mettano in pratica leggi e regolamenti più restrittivi sui versamenti di Big Pharma allo scopo di ridurne gli effetti negativi, “non resta che fare appello agli operatori sanitari affinché prendano coscienza dei danni alla salute e al sistema sanitario, oltre che alla loro reputazione, causati dalle attuali regole sulle sponsorizzazioni e, più in generale, dal marketing farmaceutico”.[5] Qualcuno mi ha dato retta, ma non in Italia.
Il 18 maggio 2024, durante la loro assemblea annuale, i membri dell’associazione irlandese dei medici di famiglia (ICGP, Irish College of General Practitioners, con oltre 5000 iscritti) hanno votato a favore della decisione di non accettare più finanziamenti dall’industria farmaceutica.[6] La decisione non avrà effetto immediato, ma farà progressivamente diminuire i finanziamenti dai 118mila euro del 2023 a zero nel 2034, una riduzione del 10% l’anno. I proponenti della mozione hanno riassunto le ragioni della stessa con la frase “there is no such thing as a free lunch” (non esiste un pranzo gratis), attribuita a un premio Nobel per l’economia, il neoliberista Milton Friedman, fondatore dei famigerati Chicago Boys, economisti dell’Università di Chicago inviati a sistemare l’economia dopo colpi di stato come quello del Cile nel 1973.
Per convincere gli iscritti all’ICGP a votare a favore della mozione, i proponenti avevano dapprima pubblicato i risultati di un loro studio qualitativo con interviste semi-strutturate a 22 medici di medicina generale irlandesi su come gli investimenti per la promozione dei prodotti da parte delle ditte sono percepiti dai medici stessi e su come influiscono nelle loro scelte prescrittive.[7] In linea generale, la maggior parte degli intervistati aveva la sensazione di essere inconsapevolmente influenzato nel loro prescrivere, mentre una minoranza riteneva di essere influenzata in un modo che migliorava le loro prescrizioni. Avevano poi riassunto in un documento di due pagine le risposte alle tre domande seguenti:
- Quali sono i problemi causati dalla sponsorizzazione della formazione medica da parte dell’industria farmaceutica?
- L’ICGP riceve molti dei suoi finanziamenti come sovvenzioni “non vincolate”. Questo significa che non sarà influenzata dalle sponsorizzazioni?
- Qualche altra associazione ha smesso di accettare finanziamenti dall’industria farmaceutica prima d’ora?
Le risposte alle prime due domande sono basate su solide prove scientifiche.[8] Alla terza domanda le risposte si sono limitate all’ambito nazionale: l’ICP (Irish College of Psychiatry) non accetta sponsorizzazioni dal 2010 e numerosi medici di famiglia, gruppi organizzatori di ECM e programmi di formazione post-laurea fanno lo stesso. Durante il dibattito, alcuni membri dell’ICGP hanno espresso preoccupazione per le “conseguenze indesiderate” e per la mancanza di chiarezza sulla possibilità di ricevere finanziamenti da parte di singoli membri o di gruppi ECM affiliati. Nella risposta, è stato sottolineato che la decisione riguarda l’associazione, non i singoli membri che possono continuare a prendere le loro decisioni personali. Un eventuale aumento delle quote di iscrizione a corsi e convegni non è sembrato rappresentare una preoccupazione.
Se una simile decisione fosse presa da altre associazioni (sembrano in procinto di discutere simili mozioni in Gran Bretagna il Royal College of General Practitioners, il Royal College of Obstetricians and Gynaecologists e la British Infection Association), potrebbe esserci un effetto valanga capace di modificare alla radice le relazioni finanziarie tra Big Pharma e le associazioni professionali. Anche in Italia?
Adriano Cattaneo, epidemiologo, Trieste
Riferimenti
[1] https://www.saluteinternazionale.info/2023/09/i-soldi-di-big-pharma-ai-royal-colleges/
[2] Boytchev H et al. Pharma pours millions into the NHS for non-research work—but we don’t know what the money is being spent on. BMJ 2024;387:q2264 http://dx.doi.org/10.1136/bmj.q2264
[3] Fabbri A et al. Sunshine policies and murky shadows in Europe: disclosure of pharmaceutical industry payments to health professionals in nine European countries. Int J Health Policy Manag 2018;7(6):504-9
[4] https://www.wsj.com/articles/ten-years-of-payment-disclosure-does-little-to-curtail-corporate-influence-over-doctors-89a6e226
[5] https://www.saluteinternazionale.info/2023/11/marketing-farmaceutico-immorale/
[6] https://haiweb.org/how-a-gp-group-stopped-accepting-pharma-funding/
[7] Larkin J et al. GPs’ perceptions of their relationship with the pharmaceutical industry: a qualitative study. BJGP Open 2021 Oct 26;5:BJGPO.2021.0057
[8] Fabbri A et al. Industry funding of patient and health consumer organisations: systematic review with meta-analysis. BMJ 2020;368:I6925
fonte: https://www.saluteinternazionale.info/2024/12/bisogna-accettare-soldi-da-big-pharma/