Con l’invecchiamento della popolazione, crescono i pazienti affetti da demenza. Ma rispetto al passato oggi sono emerse importanti evidenze nel campo della prevenzione: il 45% delle demenze sono dovute a una serie di fattori di rischio potenzialmente evitabili che si distribuiscono lungo tutto l’arco della vita come il basso livello educativo e l’abbandono scolastico (nell’infanzia), come la sordità, il diabete o l’inattività fisica (nell’età adulta), come l’isolamento sociale e la perdita della vista (nell’età anziana). L’importanza delle riserve cognitive, una sorta di ruota di scorta del cervello, che riesce a compensare le alterazioni cerebrali legate all’invecchiamento.
Demenza è un termine generico per indicare diverse malattie che comportano un progressivo decadimento delle funzioni cognitive a cominciare dalla memoria. La malattia di Alzheimer (demenza degenerativa) è la più comune forma di demenza. Insorge più frequentemente dopo i 65 anni di età e colpisce più spesso le donne. Seguono le demenze vascolari, che possono essere dovute a micro infarti a livello cerebrale, o a seguito di ictus (trombotico, o emorragico), che colpisce zone strategiche importanti per le funzioni cognitive e per la memoria (in questi casi l’esordio è acuto). Vi sono forme miste, vascolari e degenerative e numerose altre, quella ad esempio che insorge in una fase molto avanzata del Morbo di Parkinson.
Epidemiologia delle demenze
Nel 2019 secondo l’OMS nel mondo si avevano circa 57 milioni di persone affette da demenza (1). Oltre il 60% di queste risiedono nei paesi nei paesi a basso e medio reddito. Questo numero è destinato a salire fino a circa 150 milioni entro il 2050 sia per l’invecchiamento demografico a livello mondiale, sia per l’aumento della frequenza di fattori di rischio potenzialmente modificabili. La crescita più numerosa della popolazione anziana si sta verificando in Cina, India, nei Paesi dell’ Asia meridionale e del Pacifico Occidentale. La demenza è una delle principali cause di disabilità tra gli anziani di tutto il mondo. La malattia è devastante non solo per le persone che ne sono affette, ma anche per chi le assiste e a livello globale sono soprattutto le famiglie che forniscono la maggior parte delle cure e del supporto. In Italia circa 1.100.000 persone soffrono di demenza (circa l’8% della popolazione >65 anni) e circa 900.00 persone manifestano MCI (Mild Cognitive Impairment), decadimento cognitivo lieve (circa il 6% della popolazione >65 anni) (2).
MCI, Decadimento cognitivo lieve
Il Decadimento cognitivo lieve è una condizione clinica caratterizzata da una sfumata difficoltà in uno o più domini cognitivi (quali ad esempio memoria, attenzione, o linguaggio) oggettivata attraverso test neuropsicologici, ma non tale compromettere le normali e quotidiane attività di una persona. Le persone con Decadimento cognitivo lieve di solito incontrano qualche difficoltà ad fare compiti complessi, che prima eseguivano senza problemi. Per esempio occuparsi dei propri affari finanziari, prepararsi un pasto, oppure fare la spesa. Nel compiere le stesse attività potrebbero necessitare di tempi più lunghi, oppure fare più errori rispetto al passato, ma ciò nonostante mantengono la loro autonomia e indipendenza. A volte manifestano essi stessi preoccupazione rispetto a questo cambiamento della qualità delle loro performance. L’ MCI in modo semplificato può essere considerato una fase di transizione tra l’invecchiamento fisiologico e la demenza lieve. Gli studi di letteratura dicono che una percentuale stimata tra il 10-15% di persone con diagnosi di MCI ogni anno sviluppa demenza. Tuttavia è importante sottolineare che questa condizione, opportunamente diagnosticata dallo specialista, non necessariamente avrà una progressione in demenza. In una considerevole percentuale di casi i sintomi possono restare stabili per anni e addirittura regredire, attuando interventi di tipo psico-sociale. Pertanto anche per questa condizione, al pari di altre patologie croniche, sarebbe importante un intervento sociale e sanitario proattivo, di presa in carico della persona.
Prevenzione della demenza
Nel 2024 la Commissione Neurologica del Lancet ha aggiornato un suo precedente rapporto sulla prevenzione della demenza del 2020. (3) La Commissione ha effettuato e analizzato nuove revisioni e metanalisi individuando 14 fattori di rischio per la demenza. Nel rapporto si stima che circa il 45% delle demenze siano dovute a fattori di rischio potenzialmente modificabili. Il documento evidenzia come questi fattori di rischio si distribuiscono nell’ arco della vita. Figura 1.
Figura 1. Demenze. Distribuzione dei fattori di rischio potenzialmente modificabili, nell’arco della vita. Lancet 2024.
Per ciascun fattore di rischio si stima la frazione attribuibile. Per esempio alla bassa istruzione è attribuibile il 7% del rischio. Tale fattore di rischio è collocato nelle prime fasi della vita (età infantile e giovanile). Può apparire curioso, ma un intervento finalizzato al contrasto dell’abbandono scolastico, è un’azione che rientra nella prevenzione della demenza. Va considerato che in una persona si può avere un’associazione di più fattori di rischio. Tanto per fare un esempio, l’isolamento sociale può coesistere con la depressione, con la scarsa attività fisica, l’obesità, alti livelli di colesterolo LDL e errori alimentari questo naturalmente aumenta la probabilità di andare incontro a demenza. Ricordiamo che la sana alimentazione ha un ruolo preventivo anche per la demenza (4).
Un’ annotazione particolare va fatta sulle riserve cognitive e sull’ attività mentale nella persona anziana.
Le riserve cognitive possono definirsi una specie di “scorta cerebrale”. Il nostro cervello ha la capacità di utilizzare connessioni nervose alternative, o servirsi di quelle esistenti in modo più efficiente, in risposta alla graduale morte dei neuroni e alla perdita delle connessioni tra di essi. Quanto più è elevata la riserva cognitiva, tanto più il cervello riesce a compensare le alterazioni cerebrali legate all’ invecchiamento, In questo modo non si manifestano i sintomi della malattia, o questi esordiscono molto più là nel tempo (Figura 2).
Figura 2. Possibili meccanismi cerebrali per migliorare o mantenere la riserva cognitiva e ridurre i potenziali fattori di rischio di demenza. Lancet 2024.
Anche in età avanzata il nostro cervello è in grado di svilupparsi ulteriormente: intraprendendo stimolanti attività mentali, o imparando qualcosa di nuovo si formano nuove connessioni tra i neuroni e si rafforzano quelle esistenti. Ciò contribuisce a stabilizzare e addirittura aumentare la riserva cognitiva. Se manteniamo attivo il nostro cervello, con compiti e stimoli sempre nuovi, lo rendiamo più resistente. Per evitare che il cervello si atrofizzi dobbiamo usarlo regolarmente, come avviene con i muscoli. Il motto è “use it or lose it”.
Prevenzione secondaria
La prevenzione deve continuare anche dopo la diagnosi di malattia, specie nelle prime fasi. Lo scopo è quello di rallentarne il decorso. Tra gli interventi di prevenzione rientrano, le attività che stimolano le abilità ancora presenti, al fine di mantenerle il più a lungo possibile. Alcuni esempi:
- Terapia occupazionale. Cercare di mantenere le attività consuete es. semplici lavori domestici, il giardinaggio, altre attività manuali.
- Stimolazione cognitiva. Terapia del riorentamento, terapia della reminescenza, farsi raccontare fasi importanti della vita passata della persona.
- Musicoterapia ad esempio ascoltare, o cantare canzoni che la persona conosce bene.
- Ballo.
Nella prevenzione secondaria rientrano anche le attività di informazione e sostegno al caregiver. Gli interventi sopraindicati si definiscono terapie psico-sociali, o interventi non farmacologici. Questi possono essere attuati in strutture assistenziali apposite quali i Centri diurni Alzheimer, gli Atelier Alzheimer e ove proprio necessario in specifici moduli Alzheimer nelle RSA. Maggiori informazioni e soprattutto suggerimenti pratici per gli operatori professionali, per caregiver e familiari che si dedicano all l’ assistenza e alla cura dei soggetti affetti da demenza, possono essere reperiti nel sito dell’ Osservatorio Demenze dell’ Istituto Superiore di Sanità e nei siti delle varie Associazione di patologia.
Terapia farmacologica
Ad oggi sono stati studiati più di 200 farmaci per il trattamento della demenza senza risultati evidenti. Agli inizi degli anni duemila, con il Progetto Cronos, attivato dal Ministero della Salute in collaborazione con l’ISS, si iniziò a utilizzare una classe di farmaci, gli inibitori delle colinesterasi e su questi furono riposte sincere speranze e forti aspettative. Nei fatti si è visto che tali farmaci, a essere generosi, possono rallentare di poco la progressione della malattia, nelle sue fasi iniziali. Oggi la ricerca si indirizza sugli anticorpi monoclonali. Data la rilevanza del problema, il numero di soggetti coinvolti è facile immaginare con quale frenesia proceda la ricerca, quali siano gli investimenti e gli appetiti in campo. A volte ci si illude di aver trovato il farmaco efficace, ma poi, con ulteriori verifiche, si va incontro a delusioni. Nell’ attesa è il caso di ricordare una frase attribuita a Luis Pasteur “quando penso a una malattia, non è per trovarvi rimedio, ma per prevenirla”.
L’Autore: Giuseppe Vannucchi, Medico di Sanità Pubblica
Bibliografia
1 Feigin, VL ∙ Vos, T ∙ Nichols, E ∙ et al. The global burden of neurological disorders: translating evidence into policy Lancet Neurol. 2020; 19:255-265
2 Osservatorio Demenze. Istituto Superiore di Sanità.
3 . Livingston et al 2024 Dementia prevention, intervention and care. 2024 report of Lancet Commission.
4. Oliver M Shannon et al. Mediterranean diet adherence is associated with lower dementia risk, independent of genetic predisposition: funding from the UK Biobank prospective cohort study. BMC Med 2023 Mar. 14
fonte: https://www.saluteinternazionale.info/2024/11/prevenire-la-demenza-e-possibile/