Oggi come nel 1978 la confederazione si schiera a difesa della norma “che ha dato alle donne il diritto di dire la prima e l’ultima parola sul proprio corpo”. Rileggiamo come, all’indomani della sua approvazione, su Rassegna si trattava il tema
Il 22 maggio del 1978 la legge 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza) viene pubblicata sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana, divenendo a tutti gli effetti legge dello Stato. Capitolo conclusivo di una lunga battaglia iniziata qualche anno prima dal Partito radicale, la 194 (confermata da un referendum nel 1981) rende legale l’aborto attraverso l’abrogazione delle norme del titolo X del Libro II del codice penale (gli articoli 545-555 configuravano l’interruzione volontaria di gravidanza come “delitto contro l’integrità della stirpe” punibile con la reclusione, a seconda delle fattispecie di reato, fino anche a 12 anni).
Dopo il prologo, “Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non é mezzo per il controllo delle nascite. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite”, i punti principali della legge delineano tre l’altro l’istituzione dei consultori familiari, il termine di 90 giorni entro cui ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza, l’obiezione di coscienza, le pene non più punitive, ma a tutela della donna (è prevista la reclusione da 3 mesi a 2 anni per chi cagiona a una donna per colpa l’interruzione della gravidanza; reclusione da 4 a 8 anni per chi cagioni l’interruzione della gravidanza senza il consenso della donna).
Già nel 1971 la Corte costituzionale aveva dichiarato illegittimol’articolo 553 del codice penale, che prevedeva come reato la propaganda degli anticoncezionali. Sempre nel 1971 veniva presentato il primo progetto di legge in materia (n. 1762) firmato dai senatori socialisti Banfi, Caleffi, Fenoaltea: la proposta – così come quella presentata nell’ottobre dello stesso anno – non sarà nemmeno discussa. L’11 febbraio di tre anni più tardi, Loris Fortuna (il deputato socialista che aveva dato il suo nome alla legge sul divorzio approvata nel 1970 dal Parlamento e confermata dal referendum del 12 maggio 1974) presenterà un nuovo progetto di legge sulla depenalizzazione e legalizzazione dell’aborto sul quale convergeranno il Partito radicale e il Movimento di liberazione della donna, mentre il 18 febbraio del 1975 la Corte costituzionale dichiarerà parzialmente illegittimo l’articolo 546 del codice penale, riconoscendo la legittimità dell’aborto terapeutico, e il 29 aprile del 1975 il Parlamento approverà la legge 405 per l’istituzione dei consultori familiari.
Tra febbraio e aprile 1975 vengono presentate sei proposte di leggesulla materia. Intanto si cominciano a raccogliere le firme per un referendum abrogativo delle norme del codice penale che vietano l’aborto (l’8 novembre 1975 la Cassazione dichiara valido il numero di firme per il referendum) e inizia la discussione sul testo di legge unificato. “È stata definitivamente approvata dal Parlamento, ora quindi è legge dello Stato, la regolamentazione dell’aborto che garantisce la maternità libera e responsabile – scriverà Maria Lorini, responsabile dell’Ufficio lavoratrici della Cgil, su Rassegna Sindacale il 1° giugno 1978, meno di 10 giorni dopo la promulgazione della legge –. Questo fatto risponde in modo positivo alla più profonda istanza proveniente da gran parte delle forze politiche e sociali, in particolare dai movimenti femminili, e da larghissime zone dell’opinione pubblica di varia ispirazione ideale, nonché dalla stessa richiesta di referendum”.
È una risposta, a giudizio della dirigente Cgil, all’istanza morale, civile e democratica di cancellare le norme fasciste del codice Rocco con tutto il loro carico di crudele e inumana ipocrisia. “La legge come prima cosa – prosegue Lorini – risponde all’esigenza sociale di combattere l’aborto clandestino, vero dramma per le donne dei ceti popolari, che nessuna legislazione primitiva è in grado di contenere. L’interruzione della gravidanza viene ora consentita da norme che, rispettando la libertà e la dignità della donna, rispondono nel contempo al problema umano e civile di non lasciare sola la donna in una circostanza certamente non facile, comunque la si voglia considerare. Come la legge che regola il divorzio, il provvedimento sull’aborto non rappresenta evidentemente un obbligo per alcuno, ed è perciò rispettoso degli orientamenti ideali e morali di ogni cittadino, di ogni donna, in quanto non impone a nessuno soluzioni in contrasto con le proprie concezioni ideologiche”.
Due anni più tardi, alla vigilia del referendum abrogativo della legge, la stessa Maria Lorini torna a prendere posizione con nettezza: “Le proposte di referendum del Movimento per la vita, che di fatto è movimento contro la legge che regola l’interruzione della gravidanza – scrive sempre su Rassegna (n. 39 del 23 ottobre 1980) – non godono solo come ha dichiarato il segretario della Dc della ‘benevola attenzione a del suo partito’. Esse godono del sostegno espresso dalle gerarchie ecclesiastiche, con pesanti e inammissibili ingerenze nelle vicende del nostra Paese, in sfere che attengono esclusivamente alla sovranità e all’autonomia del nostro Stato”. “Può il sindacato in questa situazione rimanere indifferente – continua la responsabile dell’Ufficio lavoratrici –, essere ‘neutrale’ di fronte a un problema che, è vero, interessa tutti, ma principalmente le famiglie dei lavoratori e la grande massa delle donne dei ceti meno abbienti, per il carico di rischi e di indegne speculazioni che significherebbe l’abrogazione della 194?”.
Un problema che si ripropone e attorno al quale nel passato nel movimento sindacale si era verificata un’articolazione di posizioni. “Per quanto riguarda la Cgil – scrive ancora Lorini –mantengono pienamente il loro valore di attualità le tesi, sostenute sin dal IX Congresso in poi, secondo le quali il sindacato non può rimanere estraneo rispetto alle questioni civili, in particolare a quelle che riguardano più da vicino grandi masse lavoratrici e popolari”. “Quindi – conclude – al di là delle scelte ideologiche e di schieramento, non possiamo essere dalla parte delle forze che vogliono l’abolizione della legge. E non possiamo esserlo anche perché, come grande movimento unitario, dobbiamo essere rispettosi di tutti gli orientamenti ideali che sono presenti tra i lavoratori. La legge oltre a non prefiggersi come obiettivo quello dell’aborto, non impone a nessuno che non lo voglia la interruzione della gravidanza: il suo annullamento al contrario, impone a tutti, anche a chi ha altre convinzioni, scelte di parte le quali più che sulla forza morale puntano sulla imposizione di un divieto legislativo. Non è possibile dunque essere neutrali – ribadisce Lorini – rispetto al tentativo in atto di annullare la legge che condannerebbe nuovamente la gran parte delle donne al pericoli e ai drammi dell’aborto clandestino”.
Oggi come ieri, la Cgil sceglie di non rimanere neutrale e in occasione del quarantesimo anniversario dell’approvazione della legge 194 invia, assieme a una vasta rete di donne e di associazioni, di esponenti della politica, delle istituzioni, della cultura e del mondo accademico, una lettera aperta alle parlamentari della XVIII legislatura dal titolo “Le donne sono qui”. “Vogliamo celebrare con voi, che siate d’accordo o no – si legge nel testo – i 40 anni della legge che ha dato alle donne il diritto di dire la prima e l’ultima parola sul proprio corpo”. Nella lettera le promotrici si pronunciano contro i reiterati attacchi alla legge 194 e alla sua applicazione, sostenendo che “non ci può fare paura l’oscena propaganda che si sta scatenando in questi giorni contro questa legge, che pretende di mostrare le donne come assassine”. “Vi scriviamo – chiariscono le mittenti – per dirvi che, qualunque governo verrà, le donne non faranno un passo indietro, speriamo di avervi al nostro fianco. Continueremo a lavorare per affermare la nostra piena cittadinanza e per rendere migliore questo Paese”.
Ilaria Romeo è responsabile Archivio storico Cgil nazionale.
Fonte: Rassegna Sindacale