Angela Stella (l’Unità) intervista Grazia Zuffa: La presidente della Società della Ragione è tra i promotori dell’appello contro la norma del ddl. «Si punisce la donna per la “doppia colpa” di aver tradito col reato la “missione” materna»
Com’è noto il ddl sicurezza, in discussione ora al Senato, prevede, fra le varie misure repressive, la non obbligatorietà del rinvio della pena per le donne incinte e per le madri di bambini fino a un anno di età. Per questo ieri a Palazzo Madama si è svolta la conferenza stampa “Ogni bambina e ogni bambino ha il diritto di nascere in libertà. No al carcere per le donne incinte”. All’iniziativa sono intervenuti, tra gli altri, la senatrice Cecilia D’Elia, e i deputati Paolo Ciani e Riccardo Magi. Noi ne parliamo con Grazia Zuffa, presidente de “La Società della Ragione”, che rilancia appunto la campagna “Madri Fuori, dallo stigma e dal carcere, insieme ai loro bambini e bambine”.
Come nasce questa iniziativa?
Non è la prima volta che la destra si accanisce contro le madri detenute: nel 2023, nel corso di una discussione alla Camera finalizzata di nuovo ad eliminare il suddetto scandalo dei “bambini dietro le sbarre” e concedere alle detenuti madri misure alternative, esponenti della maggioranza non trovarono di meglio che bloccare l’iniziativa, rilanciando la proposta di togliere la potestà genitoriale, da loro nominata “patria potestà”, con un significativo tuffo nel passato, alle donne condannate con sentenza definitiva. Quella iniziativa parlamentare come quella contenuta nel ddl sicurezza è frutto dell’ideologia patriarcale e dell’intento punitivistico della destra nei confronti delle donne detenute, in genere incarcerate per reati minori. Allora facemmo partire la campagna “Madri Fuori, dallo stigma e dal carcere insieme alle loro bambine e bambini”, lanciando un appello per dedicare la festa della Mamma 2023 alle donne detenute. Eravamo inizialmente un gruppo di donne vicine alla Società della Ragione, poi si aggiunsero molte altre donne e altri uomini e tante associazioni. In diverse parti d’Italia, delegazioni di donne andarono in carcere a incontrare le detenute per la festa della Mamma. Oggi è necessario riproporre quell’appello.
Perché?
Il ddl sicurezza è in continuità con l’iniziativa del 2023. Con quanto previsto, il governo e la maggioranza riescono persino a peggiorare il codice Rocco, nonostante la Costituzione si esprima in maniera estremamente chiara a favore della tutela della maternità e dell’infanzia e nonostante i pronunciamenti nello stesso senso della Corte costituzionale e delle convenzioni internazionali.
Se dovesse usare degli aggettivi per descrivere la norma?
Direi sessista e razzista. Con questa norma, non solo si punisce la donna per la “doppia colpa” di aver tradito col reato la “missione” materna, sulla scia dello stereotipo patriarcale; ma si permette che lo stigma ricada pesantemente sui bambini. Inoltre, è stata ritagliata per punire le donne di etnia rom. In generale il ddl sicurezza vuole colpire le categorie più fragili della collettività. In particolare la detenzione delle donne è parte significativa della cosiddetta “detenzione sociale”: persone che non dovrebbero neppure essere punite con la reclusione.
Si sostiene da destra che non è più tollerabile che le donne rom, borseggiatrici di mestiere, rimangano costantemente incinte per non andare in carcere.
Si risponde che intanto in carcere ci stanno. Come dicevo prima, la stragrande maggioranza delle donne detenute lo sono per reati minori, come può essere il furto o il borseggio. Poi sostenere che le donne rom rimangano appositamente incinte è come dire che rubano i bambini, sono stereotipi frutto di pregiudizi. Può anche darsi che qualcuna che avrebbe dovuto essere incarcerata per furto abbia usufruito del differimento pena perché incinta, ma dubito che al giorno d’oggi ci siano le “incinte seriali”. Scrivere una legge partendo da questo presupposto è davvero ridicolo.
Cosa significa per un bambino nascere o stare in carcere?
Come scriviamo nell’appello nessun bambino e bambina dovrebbe stare in carcere, il carcere non è luogo dove la relazione madre bambino possa essere serena, tantomeno può essere il luogo ove una donna possa portare avanti in condizioni di sicurezza e dignità la propria gravidanza e, infine, partorire.
Secondo lei ci sono margini affinché si modifichi la previsione normativa?
Dovrebbe chiederlo ai parlamentari. Quello che posso dire è che abbiamo un Parlamento in cui non si parla più, in cui non si discute più, in cui sembra esserci un’idea per cui “noi siamo la maggioranza e quindi andiamo avanti senza confronto, con la forza dei numeri e tanto basti”.
A proposito di patriarcato, il ministro Valditara in un messaggio inviato per l’istituzione di una fondazione dedicata a Giulia Cecchettin ha detto che il patriarcato è finito e che l’aumento delle violenze sessuali è da addebitare all’immigrazione clandestina. Che ne pensa?
Il secondo punto è grottesco: la fondazione vuole combattere i femminicidi e proprio la morte di Giulia dimostra che l’immigrazione non c’entra niente. Poi è paradossale che proprio un esponente di questo governo dica che il patriarcato è finito. Lo dimostra quanto dicevo all’inizio: a destra perfino parlano di patria potestà invece che di potestà genitoriale. Certamente il patriarcato non è più dominante, grazie alla presa di coscienza delle donne, però esistono dei nuclei forti di resistenza conservatrice patriarcale proprio all’interno della cultura di destra.
Lei sta dicendo che a destra promuovono la cultura del patriarcato ma contemporaneamente la negano per una questione di immagine?
Esattamente. Sono ben radicati nella cultura del patriarcato. Siccome però le donne hanno smascherato questa cultura, per loro è scomodo essere inquadrati come i rappresentanti ultimi di quella cultura. E dunque negano che esista.