La riflessione sul nostro welfare tende a giustificare le crescenti difficoltà che rendono disuguale la tutela dei diritti alla salute (art. 32 della Costituzione) e all’assistenza sociale (art. 38 della Costituzione). È triste ammetterlo, dopo una pandemia che ci ha insegnato quanto la salute e l’inclusione sociale siano determinanti nello sviluppo umano ed economico, soprattutto per il futuro delle nuove generazioni.
Mentre c’è poco spazio per discutere di questi problemi, alcuni seminari di ricerca della fondazione Zancan nel 2024 sono stati dedicati a una costituente di welfare, non per cambiare la Costituzione ma per interpretarla a vantaggio delle nuove generazioni. Sono nati dall’idea di privilegiare questa ricerca, mentre altri temi dominano l’agenda politica e culturale, e tra questi l’autonomia differenziata. Le ragioni per ripartire dalla Costituzione riguardano soprattutto il diritto alla speranza delle nuove generazioni, costrette a cercare futuro in altri paesi. Sperimentano cosa significa non essere accolti, riconosciuti, accettati come cittadini. Ogni tanto torneranno a casa chiedendosi perché la terra dove sono nati non sia stata ospitale nei loro confronti.
Queste domande possono essere interpretate assumendo il punto di vista di chi esce, cioè dei «nostri giovani», e il punto di vista degli altri giovani che, entrando, subiscono i modi proprietari della cittadinanza indisposta ad accoglierli. Ogni bambino, infatti, si chiede «In che mondo sono nato? Da chi vengo accolto?» e molti sono costretti a rifarsi queste domande mentre crescono. Le riforme del nostro sistema sanitario e del nostro sistema di protezione sociale non hanno arginato la crescita delle disuguaglianze regionali e tra generazioni.
Nelle famiglie, ad una certa età, i figli chiedono le chiavi di casa per andare e venire. I loro genitori si domandano se con le chiavi si assumeranno anche responsabilità nel gestire la casa e gli spazi del vivere insieme. Quanti figli riescono a superare questo esame di maturità? E quante regioni lo supererebbero? Difficile dirlo. È un facile «Sì», considerando le intenzioni, diventa un imbarazzante «No», considerando le reali capacità di tutelare e promuovere i diritti e i doveri di tutti gli abitanti.
Le difficoltà regionali che stiamo vivendo hanno a che fare con l’onda lunga delle consuetudini e delle ideologie del Novecento, quando bastava far sognare le masse per conquistarle e dominarle. Anche nella realtà attuale è possibile sedurle con promesse salvifiche. Abbiamo già visto i risultati degli esami delle regioni «commissariate», perché incapaci di gestire le risorse fiscali destinate alla tutela del diritto alla salute. Oggi, nella socialità delle autonomie differenziabili, dovrebbe prevalere la prova delle capacità e dei risultati, per capire a chi e a che condizioni dare le chiavi di casa, in un paese in cronica difficoltà nel tutelare il diritto alla cittadinanza sanitaria e sociale.
Mentre le criticità sanitarie vengono attribuite all’inadeguato finanziamento, l’assistenza sociale dal 2012 ha visto incrementare la spesa assistenziale da 51 miliardi di euro a circa 84 miliardi di euro. Durante questo aumento è rimasta dominante la spesa per trasferimenti, circa il 90% della spesa complessiva, e non quella per servizi alle persone e alle famiglie. Non è di conseguenza cresciuta l’occupazione di welfare necessaria per trasformare l’assistenzialismo di stato in servizi che promuovono «l’aiutare ad aiutarsi», moltiplicando i talenti della solidarietà fiscale a vantaggio di tutti.
Uno dei fattori di maggiore crisi riguarda la tutela dei diritti considerati dagli articoli 32 e 38 della Costituzione. È sintetizzabile nella progressiva rinuncia alla tutela pubblica, per ricorrere all’offerta del mercato, comprando prestazioni e servizi, e di fatto accettando che venga ridimensionata la cittadinanza «dai diritti dei cittadini ai diritti dei consumatori», quelli che possono comprare risposte sanitarie e sociali non garantite dai servizi pubblici. Circa 25 anni fa il ricorso ad assicurazioni e fondi privati interessava il 5% della popolazione, oggi ha raggiunto il 30% ed è in costante crescita.
Può essere interpretata come spontanea privatizzazione dei diritti fondamentali, per «crisi di fiducia nelle capacità istituzionali di tutelarli». Le analisi sulle difformi capacità regionali, nel garantire i livelli essenziali di assistenza sanitaria e sociale, sono la voce della verità. Mettono in dubbio la terra promessa delle tutele differenziate, senza definire preventivamente le «soglie di capacità necessaria» di quanti chiedono di gestirle. È un passaggio costituzionalmente obbligato, in un paese dove il sistema di fiducia nell’interesse generale si sta progressivamente deteriorando.
I seminari di ricerca 2024 della fondazione Zancan hanno considerato questi dubbi e queste domande, insieme con le possibili risposte. Molte attenzioni si sono concentrate su come riconfigurare i rapporti di potere tra pubblico e privato, tra istituzioni e cittadini, tra potere centrale e territoriale, tra presente e futuro, rileggendo la Costituzione. Utile la rilettura dell’articolo 118 c. 4 (sussidiarietà) insieme con l’art. 4 c. 2 «Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società». Può essere letto al singolare, ogni cittadino, e al plurale, tutti i cittadini.
fonte: Fondazione Zancan