Sono qui in rappresentanza dell’Archivio Basaglia di Venezia presieduto da Alberta Basaglia, figlia di Franco.
La vecchiaia non è una malattia. Fragilità, vulnerabilità, diminuita autosufficienza e disabilità non sono malattie ma, così come avviene per le persone con malattie o disabilità mentali anche i vecchi sono scarto e questo destino innaturale, discriminatorio e stigmatizzato è comunemente accettato. In una recente serie di interviste condotte per la OMS ho constatato che i vecchi sono i soggetti più frequentemente trans istituzionalizzati: “dove lo metto” e non “chi è e di cosa ha bisogno”. È il bisogno di escludere e recludere della collettività che premia sul bisogno del singolo di continuare a essere soggetto produttore di senso.
Il discorso di Basaglia che pone al centro Libertà e Deistituzionalizzazione riguarda tutti e dunque anche gli anziani.
Dobbiamo, e una volta per tutte, chiarire che per Basaglia Deistituzionalizzazione non è sinonimo di chiusura dell’istituzione totale. Questo uso impoverito del termine deistituzionalizzazione genera due equivoci: quale sia (o quale dovrebbe essere) l’oggetto della deistituzionalizzazione e quale sia (o quale dovrebbe essere) il risultato della chiusura dell’istituzione.
Per quanto attiene all’oggetto diciamo che per Basaglia la deistituzionalizzazione è anche la chiusura del manicomio ma è certamente molto più. Sono il modello biomedico e la sua articolazione psichiatrica che vengono sfidati e la chiusura del manicomio costituisce la pratica necessaria ma non sufficiente che fonda teoria e pratica della deistituzionalizzazione della psichiatria e in generale della Medicina. L’istituzione di cui si tratta è il corpus disciplinare della bio psico medicina.
Per quanto invece attiene al risultato della chiusura del manicomio si tratta di capire cosa è che si apre successivamente alla chiusura. Si chiude per aprire cosa?
E su questo Basaglia è implacabile e non fa sconti ai tentativi di riprodurre fuori dal manicomio l’ideologia psichiatrica epurata dallo scandalo manicomiale. Dunque, chiudere ospedali sì, ma per aprire cosa?
Oggi abbiamo servizi di diagnosi e cura ospedalieri miseri e violenti tanto quanto lo erano le accettazioni dei manicomi, oggi abbiamo forme diverse di residenzialità che riproducono istituzioni isolate dal mondo circostante, prive di progettualità, dense di norme istituzionali, non dissimili da istituzioni totali, anche se pretendono essere luoghi di riabilitazione mentre non sono che spazi di misero intrattenimento.
Anche le residenze per anziani riproducono i nodi della istituzione manicomiale. Due, infatti, sono i nodi fondanti della istituzione manicomiale che vengono sistematicamente riprodotti all’infuori di essa, mostrando così come la decostruzione necessaria debba andare ben oltre i muri dell’ospedale:
- la violenza sul corpo (e le morti e le contenzioni sistematiche ne sono testimonianza)
- la pratica dell’intrattenimento spacciata come riabilitazione (e la vita quotidiana senza scopo, senza speranza e senza vita delle strutture residenziali ne è testimonianza)
La psichiatria e il manicomio sono istituzioni fra le molte e fra queste “altre” istituzioni vi è tutto il mondo opaco della tutela e cura degli anziani. La deistituzionalizzazione è dunque un processo che investe luoghi e discipline ben oltre la psichiatria e l’opera compiuta da Basaglia costituisce un paradigma utile a comprendere e a trasformare: un paradigma di lotta. Si tratta di una lotta che non consiste in una rivoluzione violenta ma piuttosto di: (cito dallo stesso Basaglia)
“una rivoluzione silenziosa che si combatte giorno per giorno con l’obiettivo di cambiare la testa alla gente. Vogliamo che la medicina esprima qualcosa che va oltre il corpo, qualcosa che sia espressione del sociale, qualcosa che prenda in considerazione l’organizzazione nella quale viviamo” (Basaglia, 2000, p.149 e 150).
Basaglia coniuga le nozioni di potere, di cittadinanza e di democrazia in una visionaria intuizione di quella che Arjun Appadurai definisce la “democrazia dal 3 basso” ed è con ottimismo militante che Basaglia ci insegna che dobbiamo riappropriarci dell’esercizio del conflitto. A fronte della brutalità culturale e politica del presente non possiamo, infatti, pensare di rispondere solo appellandoci a mobilitazioni che invochino soltanto una generica visione di una società migliore. Dobbiamo probabilmente rifiutare il fascino discreto dell’etica come sostituto della politica. Dobbiamo, dunque, mobilitare conflitti sui temi vicini alla vita quotidiana delle persone e delle comunità più deprivate, marginalizzate e private di diritti.
Il coraggio di Basaglia permette di esigere e realizzare l’impossibile che diventa possibile. Esigere e realizzare non una società senza diversi, ma una società diversa. Una società dove le identità si fanno deboli per dare luogo a una cittadinanza diffusa. Una società permeata da un senso forte di cittadinanza. Cittadinanza: ma cosa vuole dire questa parola che usiamo, a volte senza riflettere sulla sua complessità? La cittadinanza è la certezza del diritto, è un corpo di garanzie, di istituzioni riformate e in permanente trasformazione che definiscono, o dovrebbero definire, una nuova etica pubblica, secondo cui tutti i soggetti in quanto tali hanno diritto ad accedere alle risposte appropriate ai loro bisogni. Cittadinanza è accesso alle opportunità lavorative, ai servizi sanitari, alla casa, ma anche all’ascolto, all’accoglienza, allo scambio. Quindi è certezza del diritto, ma anche tenerezza dell’umano.
Il complesso e articolato mondo intellettuale, politico e morale di Basaglia ci offre uno stimolo potente alla trasformazione dell’oggi. Ci permette di liberarci da quella che Aldo Bonomi ha definito la diffusa “comunità del rancore” quella comunità che ha seriamente compromesso la capacità delle persone di aspirare al bene.
Marx nel 1843 scrive a Arnold Ruge: “Apparirà allora che il mondo ha da lunghissimo tempo il sogno di una cosa, di cui esso deve solo possedere la coscienza per possederla veramente” (K. Marx, 1843).
Si tratta del sogno di un luogo che non esiste ma che di cui è necessario avere coscienza per potere camminarvi verso. La eguaglianza economica-giuridica di tutti i cittadini abita nel non luogo di Utopia ma agisce come forza propulsiva della storia reale degli uomini. L’iperrealismo pragmatico ci chiede invece di 4 essere ragionevoli, di pensare solo a quanto è possibile, altrimenti eludiamo i sani limiti della realtà, ci chiede di non autorizzarci a un pensiero utopico come propulsore delle nostre scelte.
Speranza e utopia sono diventate sinonimi di mancanza di realismo, di immaturità psicopolitica, di pericolosa germinazione di radicalità incontrollate.
La speranza, o l’utopia, versione laica della virtù teologale, sono invece uno strumento della politica e non un sintomo di immaturità.
Speranza e utopia sono dei Nord verso cui dirigere la navigazione. Non sono il regno dell’impossibile, ma quello del non ancora. La relazione dinamica fra qui e oggi e là e domani è centrale per cogliere le radicali implicazioni per la ricerca della felicità pubblica come parte fondamentale dell’esercizio della utopia e della speranza.
Se dovessi spiegare a un giovane di oggi perché Basaglia gli è necessario se vuole cambiare il mondo in meglio, gli direi che Franco Basaglia è uno dei pochissimi intellettuali che fonda il proprio impegno politico non su un pragmatismo contingente ma su una visione complessiva del mondo e della società e sulla indispensabile necessità di uno sguardo/azione che sono il “fare politica”.
Il giorno 11 marzo 2024 abbiamo celebrato i cento anni dalla nascita di Basaglia, una buona occasione per assumere l’impegno a che questa celebrazione non sia l’elogio di uno scomparso ma la continuazione consapevole di un pensiero e di una opera vivi e viventi.
Intervento di Benedetto Saraceno, Archivio Basaglia, Venezia nel Seminario Alta Scuola “Luciano Lama – SPI CGIL Roma 25 Settembre 2024 “L’attualità del pensiero e dell’azione di Franco Basaglia”
Fonte: https://spi.cgil.it/blog/i-materiali-video-interventi-diapo-relazioni-del-seminario-l-attualita-del-pensiero-e-dell-azione-di-franco-basaglia-del-25-sett