Disobbedire per riaffermare diritti e idee. di Franco Corleone

Di fronte alla “emorragia di umanità” che contraddistingue il potere si ha il dovere di reagire.


Don Luigi Ciotti, presidente del Gruppo Abele e di Libera in un’intervista al quotidiano Avvenire del 22 ottobre indica la necessità di una svolta epocale: «Sciopero della fame per i diritti dei più deboli. È l’ora dell’obiezione di coscienza».

Le sue parole costituiscono un Manifesto per l’alternativa alla «emorragia di umanità» che contraddistingue il potere, ma che contagia tutti, producendo indifferenza e assuefazione alle tragedie umanitarie in corso. Occorre reagire – è la proposta di don Ciotti – con un grande sciopero della fame o digiuno di massa come quelli di Gandhi e di Aldo Capitini, per solidarietà con le vittime della violenza e dell’ingiustizia (in primo luogo migranti, morti sul lavoro, morti per mafia) ma ancor più per dare corpo e programma alle idee di (nuova) resistenza e cambiamento, per riaffermare i valori della Dichiarazione universale dei diritti umani e della Costituzione.

Assieme, don Ciotti propone l’obiezione di coscienza contro le leggi ingiuste, con un cambio di passo e finalmente una lettura diversa dalla retorica della legalità in voga da decenni. Ricorda infatti il don Milani del «disobbedire è una virtù», di quella lettera ai cappellani militari sul diritto all’obiezione di coscienza, ancora decisamente attuale in questi tempi di guerra e di morte. Dopo il caso dei migranti deportati in Albania e gli attacchi pretestuosi e sguaiati del governo ai giudici, rei di avere ap- plicato la legge, ho recuperato un saggio

di Alessandro Margara altrettanto attua- le. Uscito nel 2009 su Questione giustizia l’ho ripubblicato nell’antologia dei suoi scritti La giustizia e il senso di umanità, che ho curato con passione, che aveva il titolo impegnativo: “A proposito delle leggi razziste e ingiuste”.

Margara affermava preliminarmente il principio deontologico che le leggi ingiuste vanno contestate: l’esempio illuminante è quello dell’apartheid negli Stati Uniti e in Sudafrica e, ancor prima, delle leggi tedesche e italiane, fasciste e naziste, basate sul concetto di purità della razza. Margara sottolineava l’ottundimento dei giudici che non si ribellarono e il rischio che lo stesso atteggiamento si verifichi in un regime di democrazia maggioritaria in violazione della Costituzione. A supporto, citava Gustavo Zagrebelsky: «Di legalità si vive quando corrisponde alla legittimità. Ma altrimenti si può anche morire. Alla fine è pur sempre la legittimità a prevalere su una legalità ridotta a fantasma senz’anima». Di conseguenza il confronto si rivelava tra l’incostituzionalità delle leggi e l’anticostituzionalità: un dissidio insuperabile.

Al riguardo veniva richiamato anche Stefano Rodotà: «Il principio di eguaglianza è stato violato eclatantemente e tutto il quadro dei diritti è in discussione (…) Mi riferisco al razzismo delle impronte prese ai bambini rom, alla xenofobia discriminatoria dell’aggravante per i clandestini». Correva l’anno 2008. Oggi su quella scia con l’ennesimo pacchetto sicurezza del governo Meloni ci troviamo di fronte alle proposte di incarcerare le donne in gravi- danza perché rom, alla resistenza passiva e alla nonviolenza trasformate in reato e punite con anni di carcere.

Occorre reagire con la non collaborazione e la disobbedienza. La proposta di don Ciotti va raccolta e rilanciata dai sindacati, dalle associazioni e dai partiti. Non si può rimanere inerti.

Fonte: L’Espresso

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