La sanità pubblica non è una priorità. di Nerina Dirindin, Enza Caruso

Il fondo sanitario raggiunge nel 2025 i 136,5 miliardi di euro: una crescita dell’1,9% rispetto all’anno precedente, a fronte di una crescita nominale del Pil stimata al 3,3%. La promessa di una maggiore disponibilità di risorse, forzata verso l’alto dall’esigenza di coprire i rinnovi contrattuali, si traduce in realtà in un’incidenza percentuale sul Pil del Fondo Sanitario Nazionale che continuerà a diminuire non solo nel 2025, ma anche in tutti gli anni successivi, cioè fino al 2030, raggiungendo percentuali record – in negativo – mai viste prima.


Il disegno di legge di bilancio per il 2025-2027, ora all’esame del Parlamento, definisce come il Governo intende affrontare le gravi difficoltà che incontrano le persone che hanno bisogno di assistenza. La legge di bilancio si muove entro il percorso di aggiustamento del livello di spesa primaria netta[1] fissato nel Piano strutturale di bilancio di medio termine 2025-2029 (PSB) (https://www.mef.gov.it/export/sites/MEF/inevidenza/2024/Piano-strutturale-di-bilancio-e-di-medio-termine-Italia-2025-2029.pdf), in coerenza con la traiettoria di riferimento predisposta dalla Commissione europea, con il compito di riportare il deficit al disotto del 3 per cento del PIL.

Ma i saldi di bilancio, che guidano la manovra, non definiscono tutto. Nel rispetto dei saldi, molto si può fare: si tratta di una questione di priorità nell’allocazione delle risorse che in linea con le scorse manovre di bilancio continua a privilegiare investimenti in altri settori. Il Governo conferma l’impegno a sostenere la spesa sanitaria, ma l’obiettivo perseguito è lo sviluppo del secondo pilastro (sanità integrativa), come espressamente indicato nel PSB e come le scelte allocative della legge di bilancio confermano.

Ricostruiamo, non senza difficoltà – data la nebulosità di alcuni articoli, il finanziamento destinato al Servizio sanitario nazionale a partire dal quadro programmatico di bilancio e sulla base di quanto previsto nel Titolo VII – Misure in materia di sanità del disegno di legge di Bilancio 2025-2027 (https://documenti.camera.it/leg19/pdl/pdf/leg.19.pdl.camera.2112.19PDL0112500.pdf).

Il fondo sanitario raggiunge nel 2025 i 136,5 miliardi di euro: una crescita dell’1,9% rispetto all’anno precedente, a fronte di una crescita nominale del Pil stimata al 3,3%. La promessa di una maggiore disponibilità di risorse, forzata verso l’alto dall’esigenza di coprire i rinnovi contrattuali, si traduce in realtà in un’incidenza percentuale sul Pil del Fondo Sanitario Nazionale che continuerà a diminuire non solo nel 2025, ma anche in tutti gli anni successivi, cioè fino al 2030, raggiungendo percentuali record – in negativo – mai viste prima. (Figura 1)

Figura 1

Risorse aggiuntive molto limitate dunque, nonostante il Piano strutturale di bilancio (PSB) insista sul miglioramento della qualità del sistema sanitario. Il dato certo resta per ora solo quello espresso dagli italiani che considerano la qualità del SSN il primo problema da affrontare (https://www.demos.it/a02263.php) e 7 persone su 10 ritengono che la salute e la sanità sia il primo settore su cui investire urgentemente (https://dirittoesanita.unipv.it/kdocs/2124983/aspettative_italiani_ssn.pdf).

Rispetto a quanto già disciplinato a legislazione vigente[2], non sono previste nuove risorse per l’assunzione di personale, la risorsa più scarsa oggi nella sanità pubblica. Il tetto sulla spesa per il personale non viene abolito e solo qualora sia rispettato dalle regioni si può procedere ad assunzioni entro l’incremento del Fondo (sempre che ce ne sia la capienza). D’altra parte, l’aumento delle remunerazioni con il rinnovo dei contratti non è in grado di contrastare la demotivazione dei professionisti, tant’è che il governo prima dell’estate con il DL 73/24 ha concertato con i sindacati che le prestazioni aggiuntive in libera professione, ma in realtà richieste dalle aziende sanitarie per ridurre le liste di attesa, siano tassate in regime di flat rate tax incrementale al 15%. Una carota che aggiunge eccezioni alle eccezioni e che continua a stravolgere la natura progressiva dell’imposta sui redditi.

Mentre non si arresta la tendenza già avviata lo scorso anno ad espandere i tetti di spesa per l’acquisto di prestazioni sanitarie da privati accreditati: +0,5% nel 2025 e +1% dal 2026, confermando l’intenzione di rafforzare la privatizzazione di consistenti quote di spesa sanitaria (art.48). In valore assoluto l’incremento per i privati è di 61,5 mln nel 2025 (che si sommano ai 368 mln già autorizzati con la LB 2024), mentre dal 2026 l’aumento complessivo è di 613 mln, un regalo non da poco che dovrebbe far salire il tetto massimo a 13 mld, sostenuto dalle difficoltà nelle strutture pubbliche per il recupero nelle liste di attesa.

Il disegno di legge destina i nuovi finanziamenti a una serie di interventi riassunti nella tabella seguente che, con l’eccezione delle assunzioni in deroga, si collocano in buona parte sulle linee definite nella manovra per 2024. (Figura 2)

Figura 2

A parte le risorse per i rinnovi contrattuali, che pesano in misura consistente e crescente sulle risorse aggiuntive anche in ragione dei futuri accantonamenti per il contratto 2028-2030, si segnalano l’aumento delle indennità di pronto soccorso per dirigenza e comparto (50 mln nel 2025 e 100 mln a regime dal 2026), gli incrementi dell’indennità di specificità per la dirigenza medica, infermieristica e per le altre professioni (per complessivi 105,5 mln nel 2025 e 767,5 mln dal 2026) e la ridefinizione del trattamento economico dei medici specializzandi (120 dal 2026). Ulteriori risorse sono vincolate all’aggiornamento delle tariffe massime delle prestazioni di riabilitazione ospedaliera e lungodegenza erogate in post acuzie (77 mln nel 2025 e 350 mln dal 2026) e delle prestazioni di assistenza ospedaliera per acuti (650 mln dal 2026, art. 50). All’aggiornamento dei LEA, compreso quello delle tariffe, sono destinati 50 mln (art. 51) che si aggiungono ai 200 mln dello scorso anno, aggiornamento rimasto da tempo in sospeso in attesa che dal 2016 la Commissione per l’aggiornamento permanente dei LEA venisse nominata, cosa che è avvenuta lo scorso mese di aprile. Il disegno di legge di bilancio incrementa inoltre in maniera consistente l’ammontare delle risorse che, su proposta del Ministero della Salute, dovrebbero essere destinate al perseguimento degli obiettivi sanitari di carattere prioritario e di rilievo nazionale in coerenza con la programmazione nazionale (art. 47, comma 3).

Le prospettive di rafforzamento della sanità pubblica e universale appaiono dunque pericolosamente compromesse. Il tutto in coerenza con l’obiettivo indicato nel PSB (pag 148) di “sviluppo e riordino degli strumenti di sanità integrativa”, confermato dal Presidente della Commissione Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale del Senato secondo il quale il modello “virtuoso del SSN non è più sostenibile dal punto di vista economico” e la Commissione sta lavorando per il raddoppio (da 15 a 30 milioni) del numero di cittadini coperti da un fondo complementare  (https://www.ansa.it/sito/notizie/economia/pmi/2024/10/23/welfarezaffinia-lavoro-per-secondo-pilastro-sanita-integrativa_23d4a3bb-cd84-48a5-aeab-3433c51c2421.html).

Le iniquità e gli alti costi che il secondo pilastro potrebbe comportare sono totalmente sottovaluti, e gli italiani rischiano di ritrovarsi con un sistema che, contrariamente alla narrazione dei suoi sostenitori, comporta un aumento della spesa complessiva, una crescita dell’inappropriatezza e un aumento delle diseguaglianze, come dimostrato da tutti gli studi internazionali. Dopo decenni di un Servizio sanitario certamente imperfetto, ma pensato per assicurare a tutti l’assistenza, gli italiani stanno riscoprendo (e sempre più sperimenteranno) uno dei timori più disumani che si possano provare: la paura di non potersi curare a causa dell’alto costo delle cure

[1] La spesa primaria netta è la spesa al netto degli interessi passivi, delle componenti cicliche legate all’andamento della disoccupazione, della spesa per programmi dell’Unione interamente finanziati da fondi europei, della spesa nazionale per il co-finanziamento di programmi europei, delle misure di bilancio temporanee o una tantum e delle variazioni discrezionali dal lato delle entrate. È l’indicatore di riferimento definito nella riforma della governance europea del Patto di stabilità e crescita.

[2] Si ricorda che a legislazione vigente in deroga ai tetti di spesa il decreto rilancio 34/20 ha previsto 746 mln di assunzioni di personale a regime sull’assistenza territoriale; il PNRR 1.350 mln di assunzioni di personale ADI a regime dal 2025; la legge di bilancio per il 2022 ha previsto risorse per assunzioni per 591 mln nel 2025 e 1015 dal 2026 a regime; la legge di bilancio per il 2024 ha disposto per assunzioni 250 dal 2025 e 350 dal 2026 a regime. Si tratta complessivamente di circa 3 miliardi per il 2025 e quasi 3,5 mld per il 2026.


Nerina Dirindin, Università di Torino e Enza Caruso, Università di Perugia

fonte: https://www.saluteinternazionale.info/2024/11/la-sanita-pubblica-non-e-una-priorita/

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