Corte di Cassazione e TSO. Una lezione di democrazia nel centenario di Franco Basaglia. di Mario Novello

Premessa

            La Corte Suprema di Cassazione, Prima Sezione Civile, Presidente dott. Antonio Valitutti, in data 14 giugno 2024 ha pronunciato una Ordinanza Interlocutoria, pubblicata il 9 settembre 2024 con n. 24124 ,  in cui:

ritenutane  la rilevanza e la non manifesta infondatezza, propone la questione di legittimità costituzionale degli artt. 33, 34 e 35 della legge 23 dicembre 1978 n. 833 con riferimento agli artt. 2, 3, 13, 24, 32 e 111 della Costituzione, nonché all’articolo 117 della Costituzione in relazione agli artt. 6 e 13 CEDU:

– nella parte in cui non prevedono che il provvedimento motivato con il quale il Sindaco dispone il trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ospedaliera sia tempestivamente notificato all’interessato, o al suo eventuale legale rappresentante, con l’avviso che il provvedimento sarà sottoposto a convalida del Giudice Tutelare entro le 48 ore successive e con l’avviso che l’interessato ha diritto di comunicare con chiunque ritenga opportuno e di chiedere la revoca del suddetto provvedimento, nonché di essere sentito personalmente dal Giudice Tutelare prima della convalida;

– nonché nella parte in cui non prevedono che la ordinanza motivata di convalida del Giudice Tutelare sia tempestivamente notificata all’interessato, o al suo eventuale legale rappresentante, con l’avviso che può presentare ricorso ai sensi dell’art. 35 della legge 833/1978;

dispone la sospensione del presente giudizio;

– ordina che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti del giudizio in Cassazione, al pubblico ministero presso questa Corte e al Presidente del Consiglio dei Ministri; ordina, altresì che l’ordinanza venga comunicata dal cancelliere ai Presidenti delle due Camere del Parlamento;

dispone l’immediata trasmissione degli atti… alla Corte Costituzionale.

Introduzione

Porto all’attenzione questa recente Ordinanza Interlocutoria  della Corte di Cassazione perché, a mio parere, merita di essere conosciuta e diffusa come cittadini che ritengono la nostra Costituzione un baluardo irrinunciabile per la democrazia in Italia.

L’Ordinanza costituisce inoltre un riferimento e uno strumento  aggiornato e di alto livello ai fini di percorsi di formazione  per gli psichiatri e per tutti coloro che lavorano nell’ambito della salute mentale e dei servizi, auspicando che ne nasca anche una discussione e qualche riflessione sulla contraddittoria situazione attuale.

Viviamo tempi  difficili. Valori,  principi, diritti, saperi, organizzazioni, pratiche, esperienze, consapevolezze, memorie, culture e quanto altro di comune e condiviso che hanno costituito la linfa vitale della rivoluzione psichiatrica in Italia, basagliana  in primis, e che hanno portato alla L. 180/78 e all’abolizione dei manicomi, sono messi in discussione nella concretezza della realtà quotidiana, nel praticamente vero di cui parlava Basaglia, e sembrano dissolversi nell’indifferenza.

Conquiste, conoscenze, esperienze sembrano  diventare evanescenti e invisibili, indicibili e insignificanti, svuotate di valore e di peso, in un mondo che è molto cambiato e sotto le spinte di una politica impoverita e aggressiva su ogni fronte, in primis su quello dei diritti e della democrazia.

L’Ordinanza della Corte di Cassazione, nonostante alcuni  tecnicismi, merita il tempo e l’impegno  di una sua paziente e attenta lettura perché rappresenta una lucida e precisa analisi dell’evoluzione dei diritti nel tempo attuale, “nel diritto vivente” e perfino oltre la L. 180/78, delle persone con sofferenza psichica anche nel momento più critico quale è quello  della prima fase del TSO.

Una lezione approfondita e lucida di democrazia, da studiare e diffondere traguardando l’attuale situazione molto critica dei Servizi di Salute Mentale e di altri Servizi,  attraverso il profilo del “diritto vivente”, di cui Costituzione, diritti, libertà, dignità, rispetto della persona, dialogo, cura, costituiscono i termini di riferimento.

In Appendice vengono riportati ampi stralci dell’Ordinanza, selezionati in modo da renderne più agevole la lettura e la comprensione, mettendone in nota altri, rilevanti e di raccordo, ma tralasciandone altri ancora.

Il ricorso

parole chiave: trattameno sanitario obbligatorio, ricorso

La signora N.E., assistita dall’avv. Italo Attardo, aveva presentato ricorso ai sensi dell’art. 35 della L. 833/78 contro il trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ospedaliera (TSO), disposto nei suoi confronti dal sindaco di Caltanissetta in data 16/1/2021; l’opposizione veniva presentata al Tribunale di Caltanissetta in data 19/2/2021, dopo le dimissioni (più di un mese dopo la disposizione del TSO), anche contro il decreto di convalida reso dal Giudice Tutelare in data 18/1/2021.

Il motivo del ricorso nell’Ordinanza:

parole chiave:violazione, falsa applicazione, effettività-tempestività ricorso-pregiudizio, mancanza presupposti

“…1. – Il motivo di ricorso

Con l’unico motivo del ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 70, 101, 115, 116 e 167 c.p.c., dell’art. 2697 cod. civ. e degli artt. 33 e 34 della legge n. 833/1978 in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. Il motivo, nelle sue plurime articolazioni, espone essenzialmente tre ragioni di censura, che di seguito saranno esposte in ordine logico…”.

             La ricorrente aveva contestato la regolarità della procedura, deducendo che il suo svolgimento  aveva comportato pregiudizio al suo diritto  a un ricorso effettivo e tempestivo per i seguenti motivi:

  1. a) non aveva ricevuto il provvedimento del sindaco (privo della relazione medica)
  2. b) non aveva ricevuto la notifica della ordinanza di convalida, non prevista dalla legge vigente, e non aveva potuto – di conseguenza – opporsi, se non dopo la scadenza del trattamento
  3. c) non era stata sentita dal Giudice Tutelare prima della convalida, decisa solo in base agli atti, peraltro incompleti
  4. d) non aveva avuto neppure accesso agli atti del trattamento sanitario obbligatorio, se non dopo diverso tempo
  5. e) non era stato neanche menzionato nel provvedimento del Sindaco che il TSO sarebbe cessato dopo sette giorni, mentre era stata rilasciata dopo nove giorni
  6. f) non era stata ricercata, prima del TSO, la c.d. alleanza terapeutica (consenso)
  7. g)

 Per tali ragioni la ricorrente:

1) riteneva di essere stata privata ingiustamente della propria libertà personale attraverso un provvedimento abnorme

2) deduceva che la mancata notifica di tutti i vari atti procedimentali del TSO le aveva impedito di venire a conoscenza nell’immediatezza di quanto le stava accadendo, con impossibilità di esercitare il proprio diritto a un ricorso effettivo, ex art. 13 CEDU, entro i primi sette giorni dall’inizio della procedura, idoneo ad impedire la eventuale convalida da parte del giudice tutelare o, in subordine, ad ottenerne la sospensione

3) rilevava la mancanza dei presupposti previsti dalla legge per disporre il trattamento sanitario obbligatorio e lamentava che un’istruttoria avrebbe permesso di appurare la fondatezza delle sue ragioni.

L’Ordinanza, dopo una articolata e approfondita disanima, a cui rimando, così ha concluso:

5.2.- Per queste ragioni, si ritiene che l‘attuale sistema normativo in materia di trattamenti sanitari obbligatori in condizione di degenza ospedaliera, disegnato dagli artt. 33,34 e 35 della legge n. 833/1978 non sia conforme agli artt. 2, 3,13,24, 32 e 111 della Costituzione, nonché all’art. 117 della Costituzione in relazione agli artt. 6 e 13 CEDU, per la mancata previsione, cui non può rimediarsi attraverso la via dell’interpretazione affidata al giudice, della notificazione dei provvedimenti, nonché di passaggi procedimentali a garanzia del diritto al contraddittorio, alla difesa e ad un ricorso tempestivo ed effettivo avverso decisioni che limitano il diritto di autodeterminarsi in materia di trattamenti sanitari e la libertà personale, compresa l’audizione del soggetto interessato.

Alcune considerazioni

L’Ordinanza costituisce, per quanto posso capire da vecchio psichiatra, un testo giuridico di altis valore e significato, forse il più alto dopo l’abolizione della L.36/1904 e la promulgazione della L. 180/78, ben 46 anni fa, e contiene alcuni passaggi di grande bellezza.

In modo lucido e chiaro, con parole e concetti molto netti e talvolta duri, delinea il quadro dell’evoluzione dei diritti anche per le persone che esperiscono sofferenza psichica nel “diritto vivente”, così come la Corte Costituzionale lo ha ridisegnato di volta in volta.

L’alto livello del testo, in un’atmosfera quasi rarefatta, indica a tutti noi quali sono i riferimenti imprescindibili nelle pratiche quotidiane e può sembrare astratto e utopistico, molto lontano dalla realtà.

In effetti lo scarto tra il testo dell’Ordinanza e la realtà attuale dei Servizi e di parte della società sembra assoluto e incolmabile, come se mancassero le categorie e il lessico per stabilire perfino un dialogo minimo.

Sono crescenti ma senza esito le critiche a TSO disposti spesso in modo formalistico e burocratico, superficiale e sbrigativo, senza ricerca di una relazione o quasi né prima né durante l’esecuzione, senza verifiche nè controlli.

Il ricovero in TSO avviene in Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura che per lo più hanno le porte chiuse e praticano la contenzione meccanica e/o farmacologica (  l’art. 13 Cost. che vieta “ogni forma di violenza fisica e morale” sulle persone sottoposte a restrizioni della libertà personale”, citata nell’Ordinanza).

TSO che spesso costituiscono il risultato di mancate prese in carico, più o meno adeguate, se non di abbandoni veri e propri, che Franco Basaglia tanto temeva e che aveva previsto.

E’ noto che nelle diverse Regioni italiane la frequenza dei TSO è in relazione con l’organizzazione dei Servizi e la complessità o meno degli interventi di presa in carico (minima in FVG dove storicamente esistono CSM/h24 e risposte su molteplici piani).

Sono anche note la complessità e contraddittorietà dello strumento TSO che per alcune persone è uno strumento di rigenerazione (e ringraziano per essere state tirate fuori da una situazione che sembrava senza vie di uscita e per essere state restituite alla vita), mentre per altre rimane una ferita insanabile sia sotto il profilo soggettivo che psicosociale, rimane soltanto l’esperienza della violenza sul corpo e nella soggettività. Un fallimento senza ricomposizione in cui si è tutti sconfitti.

L’Ordinanza fa affiorare indirettamente il problema del diritto alla salute nelle sue diverse componenti e modalità di risposta e interroga tutti e tutte noi, ci obbliga a ridefinirci nelle nostre identità, chi più chi meno, nelle nostre operatività e organizzazioni, nelle nostre posture e nei nostri atteggiamenti, nelle nostre visioni, nelle nostre sensibilità, nel nostro linguaggio.

Vi è nel testo, sotto traccia, un implicito richiamo alla relazione, al rispetto, alla reciprocità, all’ascolto, al rifiuto della violenza.

Franco Rotelli, in un seminario a Udine del 2007, parte di un ciclo “Per la salute o per la malattia?”, aveva detto che una una volta gli psichiatri venivano pagati per escludere secondo la L.36/1904, mentre dopo la L. 180/78 gli psichiatri venivano e vengono pagati per includere.

Si chiedeva se le conoscenze, le operatività, le pratiche, le intenzionalità, le motivazioni erano adeguate e sufficienti o se invece invece erano gravemente inadeguate, in una sorta di limbo composito, fluttuante e confuso in cui vecchie visioni manicomiali, proposte come scientifiche, convivevano con nuove e diverse consapevolezze e pratiche, per altro non molto diffuse e spesso criticate come non scientifiche. Nella perenne conflittualità degli psichiatri.

Recentemente Rotelli aveva detto che troppo spesso gli attuali Servizi assomigliano a piccoli manicomi.

E’ sorprendente che  la Corte di Cassazione rilevi oggi – 9 settembre 2024 – che: “E’ questo però un ultimo residuo di quella logica manicomiale che la legge Basaglia ha avversato, e di quella convinzione, contrastata dal diritto vivente, che la persona affetta da patologia psichiatrica, disabilità, immaturità, non debba partecipare, nella misura in cui le circostanze glielo consentono, alle decisioni che la riguardano”.

Ritengo che nessuno possa dire che si tratta dell’ennesima riproposizione nostalgica dei vecchi psichiatri che hanno vissuto la grande stagione della riforma manicomiale in Italia, dei vecchi dinosauri che non capiscono che il mondo è cambiato e altri sono i problemi da affrontare e gli strumenti di analisi e di intervento (quest’ultima affermazione anche condivisibile ma non sufficiente).

L’Ordinanza sembra costituire “un gesto fenomenologico”, come P.A. Rovatti ci ha indicato in aut aut n. 390, 2021, e offre uno sguardo nuovo da una prospettiva diversa su una realtà dolorosissima, molto difficile e complicata, alla luce del “diritto vivente” oggi, nel tempo attuale e non decine di anni fa.

Per questo ci coglie di sorpresa, e che bella sorpresa, quasi uno scandalo o comunque un forte e autorevole richiamo in un momento in cui sembra di essere di fronte a una situazione imprendibile e ingovernabile e che anche le speranze svaniscano. Non si può escludere che qualcuno, in nome della c.d. autonomia della “clinica”, dica che la Magistratura non può insegnarci come si deve lavorare.

Nell’Ordinanza si leggono parole e frasi che evidenziano la complessità del problema e la cruda e dura realtà, spesso violenta e contraddittoria, di oggi, da riprendere in mano con decisione e lucidità, passione di cura e di democrazia:

“illegittima privazione della sua libertà e facoltà di autodeterminarsi”,

“  il trattamento obbligatorio può considerarsi lecito se vi sia la previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato “ (si pensi alle contenzioni),

“ Il trattamento può essere legittimamente disposto solo dopo aver esperito ogni iniziativa concretamente possibile…per ottenere il consenso del paziente ad un trattamento volontario ”,

“ ll paziente viene ricoverato coattivamente, id est con l’uso della forza pubblica di cui dispone il sindaco se necessario, e gli viene impedito di uscire dal presidio ospedaliero per tutta la durata del trattamento “,

“  costretto con la forza a sottoporvisi, sia pure entro il limite segnato dal rispetto della persona umana”,

“non è previsto alcun controllo specifico sugli adempimenti precedenti e coevi al ricovero, come la ricerca della c.d. alleanza terapeutica, nonostante l’art. 33”,

“  gli accertamenti fatti sulla persona dopo le dimissioni – dopo cioè la cessazione della ragione del ricovero- rischiano di essere poco utili a ricostruire la situazione nella sua effettiva consistenza e gravità al momento del ricovero stesso”,

“La ragione di questo rigore in ordine al rispetto dei termini è palese, ove si consideri che il trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ospedaliera è una misura che incide sulla libertà personale, anche in senso materiale e non solo quanto al diritto di autodeterminarsi sulle scelte sanitarie; comporta infatti una privazione della libertà personale e di movimento”,

“ l’art. 13 Cost., che tutela in via generale la libertà personale, posta in causa in ogni caso di coercizione che abbia ad oggetto il corpo della persona (Corte Cost. n. 22/2022)”,

“ è proprio in questa caratteristica di assoluta compressione della libertà che si individua la necessità di riconoscere, per intero, le garanzie costituzionali”,

“la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”,

“ l’art. 13 Cost. che vieta “ogni forma di violenza fisica e morale” sulle persone sottoposte a restrizioni della libertà personale”,

“ La clausola del rispetto della persona umana richiama e riassume i diritti di libertà riconosciuti al singolo dalla Costituzione ed è tesa a impedire che la legge possa violare tali diritti nell’imposizione di trattamenti sanitari”, “quanto più in generale con riferimento a tutti i diritti esplicitamente riconosciuti nella Carta costituzionale, nonché al fondamento stesso dei diritti umani, la bilancia sulla quale si dispongono i beni della vita: la dignità umana”,

“ si determina nel caso del trattenimento… “quella mortificazione della dignità dell’uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggettamento fisico all’altrui potere e che è indice sicuro dell’attinenza della misura alla sfera della libertà personale” (Corte Cost. n. 105/2001; Corte Cost. n. 127/2022 e n. 12/2023)”,

“  nonostante anche in questo caso ricorra quell’assoggettamento fisico all’altrui potere e che è indice sicuro dell’attinenza della misura alla sfera della libertà personale, che intacca il nucleo irriducibile dell’habeas corpus”,

“  è da chiedersi come una persona che si trovi da un lato in stato di alterazione psichica, dall’altro in stato di soggezione fisica all’altrui potere, possa reagire ad una misura privativa della libertà personale…ex abrupto, le si parano dinnanzi i vigli urbani per prenderla e portarla in ospedale, in esecuzione di una ordinanza sindacale di cui la persona…non ha contezza”,

“ “comitato per la prevenzione della tortura (in acronimo CPT) operante in seno al Consiglio di Europa” e “  Corte Europea dei diritti dell’Uomo”,

“  E’ questo però un ultimo residuo di quella logica manicomiale che la legge Basaglia ha avversato, e di quella convinzione, contrastata dal diritto vivente, che la persona affetta da patologia psichiatrica, disabilità, immaturità, non debba partecipare, nella misura in cui le circostanze glielo consentono, alle decisioni che la riguardano”,

“  E’ questo un profilo di dignità della persona che attiene alla titolarità del diritto a partecipare, debitamente informato, ai processi in cui si discute del suo interesse e il diritto ad un ricorso effettivo avverso le decisioni della autorità, diritto che ogni qualvolta la persona sconti una posizione di debolezza o di asimmetria, deve essere assicurato anche tramite una adeguata informativa “,

“ un eventuale stato di incapacità della persona non potrebbe mai incidere sulla titolarità dei diritti, eliminandoli o ponendoli in stato di temporanea quiescenza, ma solo sulle modalità del loro esercizio”.

Una piccola antologia, un vademecum, che ci ricorda dall’alto del magistero della Corte di Cassazione, quindi al di fuori dei contrapposti schieramenti degli psichiatri, che esiste il problema del “potere psichiatrico” e dei possibili “abusi”. E’ un problema che non si può rimuovere e dimenticare e che richiede una costante consapevolezza della sua natura e del suo controllo all’interno del quadro dei diritti fondamentali previsti dalla Costituzione.

Un “potere psichiatrico” che non è un insignificante residuo di tempi, linguaggi e pratiche ormai lontani, come se la chiusura dei Manicomi avesse cancellato il problema e il tema.

Il “potere psichiatrico” è oggi e riguarda gli psichiatri prima ancora che gli storici e i filosofi che ce ne ricordano la sussistenza (Foucaul e Rovatti in primis, ma senza dimenticare lo psichiatra Franco Basaglia).

Di fronte al tema del “potere psichiatrico” nulla ci esime dall’obbligo di un confronto rispetto alla nostra identità e operatività giorno per giorno e di una rivalutazione complessiva dello stato dei Servizi.

Qualcuno obietterà che aumenteranno le difficoltà nella gestione dei TSO, che chi ha più denaro potrà organizzare meglio il proprio ricorso, evidenziandosi che i poveri e gli emarginati – culturalmente ed economicamente – saranno più facilmente vittime di eventuali abusi o malpratiche e altro ancora.

Nuove sfide, ma certamente problemi affrontabili in una dinamica di avanzamento dell’operatività nel quadro di diritti.

Una frase come questa  “E’ questo un profilo di dignità della persona che attiene alla titolarità del diritto a partecipare, debitamente informato, ai processi in cui si discute del suo interesse “ richiama il lavoro di decenni con la Magistratura, a Trieste e altrove, sulla capacità di partecipare coscientemente al processo ex art. 70 C.P.P., e sembra sollecitare una non semplice riforma dell’art. 88 C.P. che prevede l’incapacità totale di intendere e di volere.

Il centenario della sua nascita ha posto e continua a porre la domanda, spesso con scetticismo o ironia, se e cosa è rimasto del lavoro di Franco Basaglia.

L’Ordinanza della Corte di Cassazione ne evidenzia, in modo altissimo e concreto nello stesso tempo, la penetrazione  al massimo livello istituzionale e la lungimiranza del suo pensiero e delle sue pratiche.

Primi commenti

– “Trattamento sanitario obbligatorio, alla Consulta la mancata informazione al “paziente”: violato il diritto di difesa”, di Francesco Machina Grifeo, Il Sole 24 Ore, 9 settembre 2024

– “ Trattamento sanitario obbligatorio, ora la parola passa alla Corte Costituzionale”, di Andrea Angelozzi, Quotidiano Sanità.it, 11 settembre 2024

APPENDICE

Nell’Ordinanza:

parole chiave: incompatibilità costituzionale, legittimità procedura, diritto vivente, art. 32 Cost,

“…La censura sulla regolarità della procedura pone, in effetti, in evidenza l’emersione, nel sistema normativo in esame, di taluni profili di incompatibilità della procedura medesima con i principi costituzionali, condivisibilmente esposti nella requisitoria del P.G. […]

Nel caso di specie, non è possibile decidere la controversia senza fare applicazione degli artt. 33, 34, 35 della legge n. 833/1978 e segnatamente di quella parte di dette norme che disciplinano la procedura del TSO […]

La questione della legittimità della procedura è quindi al tempo stesso preliminare e centrale, al fine di decidere se la ricorrente sia stata sottoposta legalmente al trattamento sanitario ovvero abbia subito una illegittima privazione della sua libertà e facoltà di autodeterminarsi, e non può essere definita se non sciogliendo il dubbio di costituzionalità sopra riportato. Al fine di illustrarne la rilevanza per il giudizio in corso è necessario premettere una breve disamina del quadro normativo, come interpretato allo stato del diritto vivente[1]…”.

Nell’Ordinanza è riportata una approfondita e articolata disanima del quadro normativo nella situazione attuale alla luce dell’art. 32 della Costituzione che, al comma secondo, dispone che “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

 L’Ordinanza prosegue con temi di grande rilevanza e intensità:

parole chiave: disciplina salute, salute individuale, salute sociale, fondamentale diritto, TSO, danno salute, autodeterminazione, lucidità, difesa sociale, pericolosità, pregiudizio, insrimento sociale, presa in carico, consenso, acquisizione consenso, trattamento volontario, forza pubblica, coazione, notifica, difetto notifica, audizione, controllo giurisdizionale, diritto a ricorso, assenza controllo, alleanza terapeutica

“ La norma è intrepretata dalla Corte Costituzionale nel senso che la disciplina costituzionale della salute comprende due lati, individuale e soggettivo l’uno (la salute come “fondamentale diritto dell’individuo”, come lo definisce il comma 1 dell’art. 32 Cost.), sociale e oggettivo l’altro (la salute come “interesse della collettività”), e che il trattamento sanitario obbligatorio può considerarsi lecito ove sia diretto, non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale. Ed inoltre, il trattamento obbligatorio può considerarsi lecito se vi sia la previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario e, pertanto, tollerabili (Corte Cost. n. 307/1990; Corte Cost. nn. 258/1994 e 118/1996; Corte Cost. n. 15/2023).

Soltanto per queste ragioni ed in questi limiti è consentito, dunque, al legislatore imporre limitazioni al diritto del singolo ad autodeterminarsi in tema di salute;[2] […]

Costituisce ormai un principio acquisito nel nostro ordinamento, invero, che il diritto all’autodeterminazione individuale, previsto dall’art. 32 Cost. con riguardo ai trattamenti terapeutici, comporta il diritto al rifiuto dei trattamenti sanitari, ancorché necessario per la propria sopravvivenza (Corte Cost. n. 242/2019).

3.3.- In tema di salute mentale, tuttavia, questi principi si scontrano con lo spinoso problema della lucidità del paziente, il quale potrebbe rifiutare le cure non già per una libera scelta, ma in ragione della condizione patologica, anche temporanea, che lo affligge.

A ciò si aggiunge l’altrettanto spinosa questione se la malattia mentale – o l’alterazione psichica temporanea – sia una condizione dell’individuo dalla quale la società debba difendersi, e soprattutto se debba difendersi in via preventiva, prima cioè che la persona compia un atto idoneo ad aggredire o mettere in pericolo beni tutelati.

L’originario pregiudizio di pericolosità del malato mentale, espresso dalla legge 14 febbraio 1904, n. 36…è stato superato a partire dalla legge 13 maggio 1978, n.180 (più nota come legge Basaglia, medico psichiatra che ne fu promotore, pur se l’estensore della legge fu un altro psichiatra, il deputato Orsini), che ha cercato di far fronte al problema dell’assistenza ai malati di mente superando l’antica prassi del ricovero in strutture segreganti, per cui oggi la misura di sicurezza sociale si applica, non già in base a un generico giudizio – o pregiudizio – di pericolosità conseguente alla malattia, ma solo se e in quanto il soggetto abbia commesso un reato (in atto con il ricovero in REMS).[3] .[…]

Di contro, il malato mentale non è isolato dalla società solo in ragione della sua patologia, e le leggi successive alla abrogazione dei manicomi ne favoriscono non solo la “presa in carico” da parte dei servizi territoriali di salute mentale, ma anche l’inserimento nel mondo del lavoro (per es. l’art. 9 della legge 12 marzo 1999, n. 68).[4]

[…]

3.4.- Nessun accenno contiene la normativa alla pericolosità sociale (meno che mai al pubblico scandalo), ma solo alla necessità di interventi terapeutici rifiutati dal paziente, sicché questa Corte, in tema, ha affermato che la misura è finalizzata alla tutela della salute del paziente medesimo, non deve essere considerata di difesa sociale e può essere disposta anche senza il consenso informato del paziente, ove, a fronte di alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, non sia possibile adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extra-ospedaliere e il paziente rifiuti gli interventi terapeutici proposti (Cass. n.509/2023).

Il trattamento può essere legittimamente disposto solo dopo aver esperito ogni iniziativa concretamente possibile – sia pure compatibilmente con le condizioni cliniche di volta in volta accertate e certificate in cui versa il paziente ed ove queste lo consentano – per ottenere il consenso del paziente ad un trattamento volontario.

Nel corso del trattamento sanitario obbligatorio, in ogni caso, l’infermo ha diritto di comunicare con chi ritenga opportuno.

Si può quindi intervenire con un trattamento sanitario obbligatorio anche a prescindere dal consenso del paziente se sono contemporaneamente presenti tre condizioni: a) l’esistenza di alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici; b) la mancata accettazione da parte dell’infermo degli interventi terapeutici proposti; c) l’esistenza di condizioni e circostanze che non consentano di adottare tempestive e idonee misure sanitarie extra-ospedaliere.[5]

[…]

              3.5.- Deve qui, peraltro, evidenziarsi che non si tratta di un ordine della autorità sanitaria rimesso alla spontanea esecuzione dell’interessato, a pena di eventuali sanzioni (come avviene ad es. per le vaccinazioni). Il paziente viene ricoverato coattivamente, id est con l’uso della forza pubblica di cui dispone il sindaco se necessario, e gli viene impedito di uscire dal presidio ospedaliero per tutta la durata del trattamento. [6]

[…]

L’art. 35 della legge n. 833/1978 prevede che chi è sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio, e chiunque vi abbia interesse, può proporre al tribunale competente per territorio ricorso contro il provvedimento convalidato dal giudice tutelare… Nel processo davanti al tribunale le parti possono stare in giudizio senza ministero di difensore e il presidente del tribunale, acquisito il provvedimento che ha disposto il trattamento sanitario obbligatorio, e sentito il P.M., può sospendere il trattamento medesimo anche prima che sia tenuta l’udienza di comparizione; il tribunale decide “dopo avere assunto le informazioni e raccolto le prove disposte di ufficio o richieste dalle parti”.

3.6.- Nonostante sia previsto un controllo giurisdizionale e il diritto al ricorso avverso il provvedimento, la parte ha evidenziato un vulnus nel diritto ad un ricorso effettivo, invocando gli artt. 6 e 13 CEDU. La legislazione italiana non prevede che il provvedimento del sindaco e l’ordinanza che lo convalida siano notificati alla parte personalmente (e di fatto non lo sono stati), e non prevede come obbligatoria la audizione personale dell’interessato da parte del giudice tutelare prima della convalida della misura, o comunque in un momento successivo, ma anteriore alla scadenza del trattamento[7].

[…]

E’ rimesso quindi alla discrezionalità del giudice tutelare se procedere o meno alla audizione dell’interessato e se compiere accertamenti, e quali informazioni assumere; in particolare non è previsto alcun controllo specifico sugli adempimenti precedenti e coevi al ricovero, come la ricerca della c.d. alleanza terapeutica, nonostante l’art. 33 della legge n. 833/1978 disponga che i trattamenti sanitari obbligatori “devono essere accompagnati da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è obbligato”.

…manca nella previsione normativa qualsivoglia comunicazione giuridicamente qualificata diretta al paziente, finalizzata ad informare il soggetto interessato, non solo in ordine ai trattamenti sanitari ai quali è necessario che si sottoponga, bensì anche della sua condizione giuridica e della possibilità di opporsi al trattamento.

              Il sindaco e il giudice tutelare comunicano – obbligatoriamente – tra di loro, ma nessuno di due comunica con il paziente, il quale può solo impugnare il provvedimento finale di convalida del TribunaleMa è evidentemente una impugnazione “al buio”, non essendo il paziente reso partecipe degli atti a monte della convalida giurisdizionale

[…]

Né può dirsi che la ricorrente abbia omesso di prospettare il concreto pregiudizio che le è derivato dalla mancata tempestiva conoscenza dei provvedimenti restrittivi;[8]

[…]

Sono mancati quindi nel giudizio di opposizione elementi non più recuperabili, quali ad esempio una audizione da parte del giudice tutelare nella immediatezza dei fatti, la possibilità di contestare nella immediatezza il giudizio medico e di chiederne la verifica mentre la paziente era ancora sottoposta al ricovero, nonché le informazioni che, sempre nella immediatezza dei fatti, avrebbero potuto essere assunte su sollecitazione della parte. Si deve considerare, infatti, che il trattamento sanitario obbligatorio non è disposto solo perché il soggetto ha una patologia psichica… Il ricovero è disposto perché il soggetto è in stato di “alterazione psichica”, che richiede “interventi urgenti”, e in una temporanea condizione – attestata da sanitari e convalidata dall’autorità amministrativa e giurisdizionale – di non poter provvedere ai propri interessi in materia di salute (rifiuto delle cure). Ne consegue che gli accertamenti fatti sulla persona dopo le dimissioni – dopo cioè la cessazione della ragione del ricovero- rischiano di essere poco utili a ricostruire la situazione nella sua effettiva consistenza e gravità al momento del ricovero stesso.

Attualmente la ricorrente insiste nell’annullamento del provvedimento, in quanto “ha interesse a non essere etichettata come una insana di mente (per avere subito il trattamento in questione)”;[9]

[…]

 La Corte d’appello ha invero verificato se la procedura è stata rispettata e, in conformità con il quadro normativo quale oggi disegnato dai citati artt. 33,34,35,

I vizi denunciati… riguardano passaggi che la attuale normativa non impone.

Tuttavia, questa Corte non dubita che il difetto di notifica costituisca un deficit costituzionalmente             rilevante, con conseguente violazione del diritto al contraddittorio, alla informazione e alla difesa, viziante la regolarità della procedura.[10] […]

4.- La non manifesta infondatezza della questione.

Parole chiave: rigore, rispetto dei termini, libertà personale, trattamenti sanitari obbligatori , trattementi sanitari coercitivi, art. 32 Cost, art 13 Cost, art. 24 Cost, art 111 Cost, dignità

La normativa in esame impone un controllo giurisdizionale sulla ordinanza sindacale e termini da rispettare a pena di perdita di efficacia della misura, termini che, nella loro rigorosa scansione richiamano direttamente quelli previsti dall’art. 13 Cost.

La ragione di questo rigore in ordine al rispetto dei termini è palese, ove si consideri che il trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ospedaliera è una misura che incide sulla libertà personale, anche in senso materiale e non solo quanto al diritto di autodeterminarsi sulle scelte sanitarie; comporta infatti una privazione della libertà personale e di movimento poiché – come sopra si è detto- il paziente viene ricoverato coattivamente in un reparto ospedaliero e ivi trattenuto.

4.1.- Da tempo la dottrina distingue tra i trattamenti sanitari obbligatori e i trattamenti sanitari coercitivi, e ritiene, almeno una parte di essa, che per i trattamenti sanitari coercitivi debbano applicarsi non solo le garanzie di cui all’art. 32 ma anche quelle dell’art 13 della Costituzione.

              La Corte Costituzionale, di recente, nel rimarcare la differenza tra trattamenti sanitari obbligatori e trattamenti sanitari coercitivi, ha osservato che allorchè un dato trattamento sia configurato dalla legge non soltanto come “obbligatorio” – con eventuale previsione di sanzioni a carico di chi non si sottoponga spontaneamente ad esso – ma anche come “coattivo” – potendo il suo destinatario essere costretto con la forza a sottoporvisi, sia pure entro il limite segnato dal rispetto della persona umana le garanzie dell’art. 32, secondo comma, Cost. debbono sommarsi a quelle dell’art. 13 Cost., che tutela in via generale la libertà personale, posta in causa in ogni caso di coercizione che abbia ad oggetto il corpo della persona (Corte Cost. n. 22/2022).[11]   […]

Ma, nel caso del trattamento sanitario coercitivo, quale è appunto quello di cui si tratta, simile scelta non è rimessa all’individuo ed è proprio in questa caratteristica di assoluta compressione della libertà che si individua la necessità di riconoscere, per intero, le garanzie costituzionali.

Pertanto, si devono rispettare le condizioni date dall’art. 32 della Costituzione, che impone la riserva di legge, ma anche quelle date dall’art. 13 Cost., e in particolare che la restrizione della libertà personale se adottata dall’autorità di pubblica sicurezza in casi di eccezionale necessità ed urgenza, venga convalidata nel termine complessivo di 96 ore ( 48 per la trasmissione e 48 per l’emissione del provvedimento) dalla autorità giudiziaria.

4.2.- Fin qui il quadro normativo di cui si discute è compatibile con le disposizioni costituzionali, ma deve osservarsi che l‘art. 13, inevitabilmente, si pone in connessione con altre norme di garanzia, e cioè con l’art. 24 Cost., che riconosce a tutti il diritto di poter agire in difesa dei propri diritti ed interessi affermando che “la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento” e con l’art. 111 Cost. che considera giusto processo solo quello che si svolge nel contraddittorio. Ed è appunto su questo necessario collegamento che il quadro normativo in materia di trattamenti sanitari obbligatori mostra le sue carenze.[12] […]

 In sostanza, un caso di limitazione parziale e temporanea della capacità di agire, cui si accompagna la coazione fisica e che pertanto richiede un giudizio, assistito dalle relative garanzie e non soltanto una valutazione medica sottoposta ad un controllo giurisdizionale esterno.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 18 del 1992, ha sottolineato come il diritto alla tutela giurisdizionale vada considerato tra “i principi supremi del nostro ordinamento costituzionale, in cui è intrinsecamente connesso – con lo stesso principio democratico – l’assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi controversia, un giudice e un giudizio”.

Ciò a maggior ragione vale per quei casi in cui sono in gioco diritti fondamentali, quali il diritto di rifiutare le cure e la libertà personale, diritti che possono subire limitazioni, nel necessario bilanciamento tra interessi diversi, ma in nessun caso si possono violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana, come recita lo stesso art 32 Cost., ed in conformità a quanto dispone l’art. 13 Cost. che vieta “ogni forma di violenza fisica e morale” sulle persone sottoposte a restrizioni della libertà personale.

La clausola del rispetto della persona umana richiama e riassume i diritti di libertà riconosciuti al singolo dalla Costituzione ed è tesa a impedire che la legge possa violare tali diritti nell’imposizione di trattamenti sanitari; non dovrebbe quindi essere intesa solo con riferimento a quegli elementi che compongono la relazione tra paziente e medico, e alle modalità di attuazione del trattamento sanitario, quanto più in generale con riferimento a tutti i diritti esplicitamente riconosciuti nella Carta costituzionale, nonché al fondamento stesso dei diritti umani, la bilancia sulla quale si dispongono i beni della vita: la dignità umana.[13] […]

Dignità significa, tuttavia, anche il diritto di potersi difendere quando sono adottate, o meglio si discute se debbano essere adottate, misure che comprimono la libertà personale.

Dopo alcune considerazioni sull’internamento in manicomio e sulla riforma con la L. 180/78, l’Ordinanza prosegue:

parole chiave: L. 180/78 , L 833/78, dignità, mortificazione della dignità, informazione, assoggettamento fisico all’altrui potere, compressione della libertà, pericolosità, cura, informazione

“…Sia pure con certo ritardo, questa legge ha attuato l’art. 32 Cost. nella parte in cui impone “il rispetto della persona umana”, per tutti, anche per i malati di mente. Il sistema normativo disegnato dalla legge Basaglia e dalla legge n. 833/1978 si occupa invero della dignità e del rispetto del paziente, ma prevalentemente sotto il profilo medico (non a caso è scritta da uno psichiatra), stabilendo che il trattamento sanitario obbligatorio sia una extrema ratio, da applicare quando non è possibile l’alleanza terapeutica; e se prevede la garanzia del controllo giurisdizionale, non si occupa però di quell’aspetto della dignità umana che si sostanzia nel diritto a essere informati e a contraddire nel procedimento che conduce ad una decisione restrittiva al tempo stesso della libertà personale e del diritto di autodeterminarsi, e nel diritto di difendersi tempestivamente, prima cioè che venga adottato il provvedimento di convalida e comunque nella sua immediatezza, prima della scadenza del termine del trattamento […][14]

4.6.- Non è l’unico caso, nel nostro ordinamento, di una misura restrittiva della libertà personale non connessa ad un procedimento penale. Si pensi ad esempio all’accompagnamento alla frontiera e al trattenimento nei centri di permanenza degli stranieri espulsi (artt. 13/14 del D.lgs. 286/1998). La Corte Costituzionale ha rimarcato, in più occasioni, che si determina nel caso del trattenimentoquella mortificazione della dignità dell’uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggettamento fisico all’altrui potere e che è indice sicuro dell’attinenza della misura alla sfera della libertà personale” (Corte Cost. n. 105/2001; Corte Cost. n. 127/2022 e n. 12/2023). Di conseguenza, qualora ricorra questa forma di assoggettamento, devono realizzarsi i principi della tutela giurisdizionale… Ad oggi, infatti, lo straniero destinatario di un provvedimento di accompagnamento alla frontiera o di trattenimento in un centro di permanenza ha gli stessi diritti del soggetto arrestato in flagranza di reato… Diritti che però non sono interamente assicurati anche al soggetto in ricovero coattivo, e ciò appare irragionevole oltre che lesivo del principio di uguaglianza, nonostante anche in questo caso ricorra quell’assoggettamento fisico all’altrui potere e che è indice sicuro dell’attinenza della misura alla sfera della libertà personale, che intacca il nucleo irriducibile dell’habeas corpus. Potrebbe obiettarsi che il diritto di difesa è garantito non solo dalla tempestiva convalida giurisdizionale, ma anche dal diritto del ricoverato di comunicare con chiunque ritenga opportuno e dalla attribuzione della facoltà di opposizione non soltanto al paziente, ma altresì a chiunque vi abbia interesse, ….

Tuttavia, è da chiedersi come una persona che si trovi da un lato in stato di alterazione psichica, dall’altro in stato di soggezione fisica all’altrui potere, possa reagire ad una misura privativa della libertà personale adottata nei suoi confronti, prima della fine del trattamento, …e soprattutto come possa tempestivamente opporsi se non viene informata del suo status giuridico e delle ragioni per le quali, ex abrupto, le si parano dinnanzi i vigli urbani per prenderla e portarla in ospedale, in esecuzione di una ordinanza sindacale di cui la persona, o eventualmente il suo legale rappresentante, non ha contezza. E come possa reagire, prima di avere recuperato la sua libertà e la collocazione nella società, se della esistenza di un giudice che convalida il provvedimento sindacale non ha notizia, posto che neppure l’ordinanza del giudice tutelare le viene notificata. Inoltre, lo stesso modello procedurale semplificato appare non del tutto rispondente alle caratteristiche che deve avere un giudizio ove si discute di diritti fondamentali e della loro compressione.

L’Ordinanza richiama i rilievi del Comitato per la prevenzione della tortura (CTP) del Consiglio di Europa e della Corte Europea dei diritti dell’Uomo:

Parole chiave: prevenzione tortura, diritti dell’uomo, tempestività, audizione diretta, residua logica manicomiale, diritto di partecipare, pregiudizi, asimmetria, controllo giurisdizionale, titolarità dei diritti

4.7.- La procedura in tema di TSO disegnata dalla legge n. 833/1978 è da molti anni oggetto di critica da parte del comitato per la prevenzione della tortura (in acronimo CPT) operante in seno al Consiglio di Europa, il quale anche nell’ultimo Report periodico presentato (2023) ha rilevato come la procedura per l’imposizione di un TSO continua a seguire un formato standardizzato e ripetitivo; il giudice tutelare non incontra mai i pazienti di persona e i pazienti restano disinformati sul loro status legale. Il CPT ha quindi osservato che si pone un problema di compatibilità di questa procedura con l’art. 13 della Costituzione italianaNessuna modifica al sistema è tuttavia ancora stata apportata, […]

Anche la Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha sottolineato l’importanza della audizione diretta, da parte del giudice tutelare, del soggetto sottoposto al trattamento sanitario obbligatorio (Corte EDU 8/10/ 2013 pronunciata sul ricorso n. 25367/11) …“per poter valutare realmente e correttamente la situazione prima di decidere”. La Corte EDU inoltre, quanto al motivo di ricorso relativo alla mancata comunicazione alla ricorrente di copia delle decisioni con le quali è disposto il trattamento osserva come “ detta situazione possa, in linea di principio, ridurre le garanzie procedurali spettanti ai soggetti sottoposti al TSO” …Si deve però qui osservare che, in questa procedura, come in tutte le procedure di urgenza e in particolare quelle che riguardano diritti fondamentali, rileva non solo la possibilità di presentare ricorso, ma anche i tempi: diritti quali la libertà e la salute possono essere irrimediabilmente pregiudicati dall’impedimento alla presentazione di un tempestivo ricorso e non adeguatamente compensati da un risarcimento monetario, o, come desidera la ricorrente, dalla rimozione della “etichetta” di inferma mentale.

4.8.- Si potrebbe obiettare, come in sostanza obietta l’avvocatura, che è una privazione di libertà a fin di bene e non con scopo punitivo, decisa in base ad un giudizio tecnico (medico) sul quale il controllo giurisdizionale non può che essere esterno; e si potrebbe obiettare altresì che qui si ha a che fare con una  persona non del tutto compos sui cioè in condizione di sufficiente discernimento sulle cure confacenti al proprio stesso interesse che, infatti, rifiuta.

 E’ questo però un ultimo residuo di quella logica manicomiale che la legge Basaglia ha avversato, e di quella convinzione, contrastata dal diritto vivente, che la persona affetta da patologia psichiatrica, disabilità, immaturità, non debba partecipare, nella misura in cui le circostanze glielo consentono, alle decisioni che la riguardano.[15] […]

. E’ questo un profilo di dignità della persona che attiene alla titolarità del diritto a partecipare, debitamente informato, ai processi in cui si discute del suo interesse e il diritto ad un ricorso effettivo avverso le decisioni della autorità, diritto che ogni qualvolta la persona sconti una posizione di debolezza o di asimmetria, deve essere assicurato anche tramite una adeguata informativa. [16] […]

4.10.- Ci si deve chiedere, del resto, se effettivamente meriti la qualifica di controllo giurisdizionale quello che non avviene nel contraddittorio delle parti e che si limita ad un controllo formale sulla procedura e sul rispetto dei termini, senza ascoltare le ragioni di chi a quell’intervento terapeutico si è opposto e ciononostante subisce una limitazione della sua libertà materiale e della autodeterminazione; e se meriti la qualifica di controllo giurisdizionale quello che non verifica se la persona interessata, che due medici attestano essere in stato di alterazione psichica, è o meno in uno stato di capacità di intendere e di volere, così da poter organizzare una lucida difesa dei propri interessi, ovvero necessiti della nomina di un legale

 rappresentante eventualmente anche ad hoc e a tempo determinato. E’ appena il caso di rilevare che un eventuale stato di incapacità della persona non potrebbe mai incidere sulla titolarità dei diritti, eliminandoli o ponendoli in stato di temporanea quiescenza, ma solo sulle modalità del loro esercizio.

5.- Il diritto a un ricorso effettivo.

Parole chiave: giusto processo, contraddittorio tra le parti, parità, violazione diritti, ricorso, imparzialità, tempestività, effettività, diritti inviolabili, democrazia, non conformità alla Costituzione

L’art. 111 Cost. dispone che la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge e precisa che “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti al giudice terzo e imparziale”. Gli artt. 6 e 13 CEDU dispongono rispettivamente che “ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge” e che ”ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale,

 rappresentante eventualmente anche ad hoc e a tempo determinato. E’ appena il caso di rilevare che un eventuale stato di incapacità della persona non potrebbe mai incidere sulla titolarità dei diritti, eliminandoli o ponendoli in stato di temporanea quiescenza, ma solo sulle modalità del loro esercizio.

5.- Il diritto a un ricorso effettivo.

Parole chiave: giusto processo, contraddittorio tra le parti, parità, violazione diritti, ricorso, imparzialità, tempestività, effettività, diritti inviolabili, democrazia, non conformità alla Costituzione

L’art. 111 Cost. dispone che la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge e precisa che “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti al giudice terzo e imparziale”. Gli artt. 6 e 13 CEDU dispongono rispettivamente che “ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge” e che ”ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali”.

5.1.- Da questo complesso di norme si ricavano alcuni connotati fondamentali della funzione giurisdizionale: imparzialità del giudice, contraddittorio, tempestività, effettività.[17] […]

In termini, la nostra Corte costituzionale, la quale afferma che il diritto alla tutela giurisdizionale “è tra quelli inviolabili dell’uomo, che la Costituzione garantisce all’art. 2, come si arguisce anche dalla considerazione che se ne è fatta nell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo” cui è intimamente  connesso con lo stesso principio di democrazia l’assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi controversia, un giudice e un giudizio (Corte Cost. sentenze n. 18/1982 nonché n. 82/ 1996). D’altra parte, in una prospettiva di effettività della tutela dei diritti inviolabili, la Consulta ha anche osservato che “al riconoscimento della titolarità di diritti non può non accompagnarsi il riconoscimento del potere di farli valere innanzi ad un giudice in un procedimento di natura giurisdizionale“: pertanto, “l’azione in giudizio per la difesa dei propri diritti (. . .) è essa stessa il contenuto di un diritto, protetto dagli articoli 24 e 113 della Costituzione e da annoverarsi tra quelli inviolabili e caratterizzanti lo stato democratico di diritto” (Corte Cost. n. 26/ 1999, nonché n. 120/ 2014, n. 386/2004 e n. 29/ 2003). Si è altresì affermato che il precetto costituzionale “non impone che il cittadino possa conseguire la tutela giurisdizionale sempre nello stesso modo e con i medesimi effetti (. . .) purché non vengano imposti oneri tali o non vengano prescritte modalità tali da rendere impossibile o estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento dell’attività processuale” (Corte Cost. n. 63/ 1977; analogamente, Corte Cost. n. 427/ 1999 e n. 99/ 2000).[18] […]

[1]Grassetto e sottolineatura di chi scrive

[2] al di fuori di tali ragioni e limiti, trova piena applicazione il diritto di ciascuno a decidere da sé stesso su come, quando e soprattutto se curarsi, e quindi anche il diritto di perdere la salute, di ammalarsi, di non curarsi, e di vivere le fasi finali della propria esistenza secondo canoni di dignità umana propri dell’interessato (Cass. n. 21748/2007).

[3] La pericolosità sociale si manifesta, pertanto, nel compimento di fatti costituenti oggettivamente reato, valutata prognosticamente in occasione e in vista delle decisioni giudiziarie conseguenti, e richiede ragionevolmente misure atte a contenere tale pericolosità e a tutelare la collettività dalle sue ulteriori possibili manifestazioni pregiudizievoli (Corte Cost. n. 253/2003)

[4] Nondimeno, la stessa legge Basaglia si è posta il problema del trattamento sanitario obbligatorio del malato di mente, pur non autore di reato, che rifiuti le cure, quando esse sono urgenti ed indifferibili, disegnando un quadro normativo poi confluito nella legge 23 dicembre 1978 n. 833.

[5] Il trattamento sanitario obbligatorio psichiatrico è disposto dal sindaco e richiede una specifica procedura, che viene attivata da parte di un medico (art. 33, comma 3, I. 833/1978), la cui proposta è convalidata da parte di un altro medico, dipendente pubblico, generalmente specialista in psichiatria (art. 34, comma 4); il provvedimento del sindaco con cui viene disposto il trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ospedaliera, da emanarsi entro quarantotto ore dalla convalida del secondo medico (art. 35, comma 1), è poi notificato al giudice tutelare (entro quarantotto ore dal ricovero), che provvede (nelle successive quarantotto ore) a convalidare o meno il provvedimento, comunicandolo al sindaco (art. 35, comma 2), termini da rispettarsi a pena della cessazione di ogni effetto della misura

La durata della misura, sebbene sia previsto per legge un tempo standard, è legata alle esigenze di cura, e pur se deve cessare immediatamente – anche prima di sette giorni – al venir meno delle condizioni che la hanno determinato, può proseguire anche per periodi di tempo rilevanti, dal momento che la norma non pone un limite di tempo massimo, disponendo soltanto che ove il ricovero “debba protrarsi oltre il settimo giorno, ed in quelli di ulteriore prolungamento”, il sanitario redige una proposta motivata al sindaco, indicando “la ulteriore durata presumibile del trattamento stesso” (art. 35 comma 4).

[6] Si legge infatti nella circolare 3/2001 del Ministero dell’interno (trattamento sanitario obbligatorio per soggetti con patologia mentale- competenze della polizia municipale) che “i vigili urbani devono accompagnare l’infermo di mente fino al luogo di cura, anche se fuori del comune, poiché intervengono nell’esercizio del potere di polizia amministrativa sanitaria, propria dell’autorità locale, e non in quello dell’attività di P.S.”.

[7] La ricorrente deduce che la mancata comunicazione dei provvedimenti le ha impedito di presentare una tempestiva opposizione e quindi l’ha costretta a subire per un certo periodo di tempo il ricovero, a suo parere ingiustificato, e la privazione della libertà. Lamenta anche che il giudice tutelare abbia eseguito un controllo meramente formale, senza procedere alla sua audizione e quindi senza darle la possibilità di esporre gli argomenti a sua difesa. Ed invero l’art. 35 cit. prevede soltanto che il giudice tutelare, entro le successive 48 ore ( dalla notifica del provvedimento sindacale) “assunte le informazioni e disposti gli eventuali accertamenti provvede con decreto motivato a convalidare o non convalidare il provvedimento e ne dà comunicazione al sindaco”.

[8] Ella deduce infatti di aver potuto proporre il ricorso soltanto alcune settimane dopo che il trattamento sanitario era stato eseguito (per una durata di nove giorni), e di non aver potuto tempestivamente accedere a tutte le informazioni utili – compresa la documentazione sanitaria e la relazione di servizio dei carabinieri – per opporsi immediatamente e con cognizione di causa, per una piena tutela dei propri diritti.

[9] Non ha specificato in questa sede se intende invocare, a seguito dell’auspicato annullamento, altre misure rimediali, ma non sfugge ad alcuno che la privazione della libertà personale senza valido titolo è fatto astrattamente idoneo a fondare responsabilità risarcitoria, così come è evidente che il rimedio ex post non è paragonabile all’annullamento o revoca della misura prima che essa sia eseguita o comunque prima che sia scaduto il termine previsto dall’autorità sanitaria.

[10] Si è detto al par. 3. 7 che la ricorrente ha evidenziato il pregiudizio che le è derivato dalla mancata tempestiva notificazione dei provvedimenti, ma in verità se la violazione di legge comporta lesione dei diritti essenziali al contraddittorio ed alla difesa, la parte non ha alcun onere di allegare o di dimostrare che la violazione della norma le abbia provocato un pregiudizio specifico ulteriore rispetto a quello relativo al compiuto esercizio di quegli stessi diritti (in arg. Cass. sez. un. n. 36596/2021; 2258/2022).

[11] In altra occasione la Consulta, decidendo sulla conformità a Costituzione dell’obbligo vaccinale contro COVID -19, nel rimarcare che l’art. 32 Cost. si muove tra le due dimensioni del fondamentale diritto dell’individuo e dell’interesse della collettività, imponendo espressamente il loro contemperamento, ha comunque osservato che l’obbligatorietà del vaccino lascia(va) al singolo la possibilità di scegliere se adempiere o sottrarsi all’obbligo, assumendosi responsabilmente, in questo secondo caso, le conseguenze previste dalla legge (Corte Cost.14/2023).

[12] Se muoviamo dal presupposto che il TSO non è una misura di difesa sociale ma a tutela della salute dell’interessato, e che si tratta di un caso limite in cui non opera il diritto costituzionalmente protetto di rifiutare i trattamenti sanitari, pur non ricorrendo una contrapposta esigenza di tutela della salute della collettività, si deve allora concludere che ci troviamo di fronte ad un caso di (temporanea) limitazione della capacità di autodeterminarsi in tema di scelte sanitarie, in ragione di patologia – o meglio alterazione- psichica.

[13] Dignità che, per un verso, precede e giustifica l’autonomia del soggetto, dall’altro però non si confonde con essa, poiché se il punto di vista soggettivo riveste un cruciale rilievo nelle vicende di vita individuali, non può ambire alla propria “tirannica” affermazione, sì da potersi persino rivoltare contro se stessa. Il che spiega perché, in casi limite, possano essere adottate misure contro la volontà del soggetto, anche quando le finalità di protezione sociale sono assenti, ma deve nondimeno proteggersi il bene salute in quanto espressione anch’esso della dignità dell’essere umano.

[14] 4.5. …la particolarità del trattamento sanitario obbligatorio rispetto ad altre più note misure di privazione della libertà personale (ad es. la custodia cautelare) è data dal fatto che in questo caso l’interesse alla libertà individuale è posto in bilanciamento non con un interesse della collettività, ma con un interesse dello stesso soggetto che subisce la privazione della libertà, il quale, a causa della sua alterazione mentale, viene considerato temporaneamente inadeguato a proteggere la sua stessa salute.

In termini, la giurisprudenza di questa Corte, sopra citata la quale ha rimarcato che il TSO costituisce un evento straordinario – finalizzato alla tutela della salute mentale del paziente, che non deve essere considerato una misura di difesa sociale, (Cass. n. 509/2023) ed in ciò si apprezza la differenza tra la legge Basaglia e la abrogata legge sui manicomi, in quanto il soggetto non viene sottoposto a restrizione perché “pericoloso” o di “pubblico scandalo”, ma solo per curarlo,La finalità di tutela della salute è così nettamente separata dalla finalità di tutela della sicurezza sociale, ma nondimeno lo strumento base per perseguire il fine resta lo stesso: la compressione della libertà, cui poi si aggiungono i trattamenti terapeutici.

[15] Non si intende qui mettere in discussione che in taluni casi può essere necessario imporre il trattamento sanitario in condizioni di degenza ospedaliera, ma il fatto che ciò avvenga senza rispettare il diritto della persona, anche se minus habens, di essere informata e di esprime la propria opinione, pur se quest’ultima debba poi essere motivatamente disattesa dalla autorità giudiziaria, avuto riguardo al suo miglior interesse: principio che ormai è immanente nel nostro sistema, e che si è progressivamente affermato sia per i minori di età che per gli adulti che necessitano di un misura di protezione civile, anche eventualmente limitativa della capacità (Cass. n. 34560/2023; Cass., n. 6129/2015; Cass. n. 7414/2024; Cass. n. 32219/2023)

[16] 4.9.- Del resto, la stessa legge Basaglia disegna una forma di partecipazione dell’interessato alle decisioni che lo riguardano, ma esclusivamente sul piano medico, muovendo dal presupposto che ove non sia possibile l’alleanza terapeutica il trattamento si impone per decisione della autorità sanitaria, a sua volta soggetta al controllo dell’autorità giurisdizionale. Questo momento partecipativo riconosciuto nella fase pre-ricovero, viene però escluso nella fase autoritativa amministrativa e di controllo giurisdizionale, come se non fosse altrettanto importante dare spazio alle opinioni e difese dell’interessato anche in tale sede e prima che il trattamento sia imposto ed eseguito. Appare quindi irragionevole che il diritto all’ascolto venga assicurato nella fase medica e non anche nella fase giurisdizionale, dove, in verità dovrebbe concretarsi in un ben più incisivo diritto al contraddittorio e alla difesa. L’esigenza di tutelare la salute, anche in via d’urgenza, se tutto ciò deve avvenire nel rispetto della dignità della persona e senza violenze materiali e morali, non dovrebbe essere di ostacolo al contraddittorio e al diritto dell’interessato di partecipare, nella misura in cui glielo consentono le sue condizioni, alle decisioni sul suo percorso di salute.

[17] Questi principi si compenetrano e si completano a vicenda e segnatamente, quanto al diritto ad ricorso effettivo, con esso deve intendersi il diritto di richiedere la tutela di un giudice a fronte di qualsiasi atto lesivo dei diritti e delle libertà riconosciuti dall’ordinamento, e che il rimedio giurisdizionale sia effettivo, vuoi nel senso che deve essere giuridicamente idoneo a consentire la riparazione, ma anche nel senso che deve trattarsi di un rimedio praticabile ma anche nel senso che deve trattarsi di un rimedio praticabile, vale a dire soggetto a condizioni che non rendano il suo esercizio er la Corte europea il diritto a una tutela effettiva implica la necessità che gli strumenti di garanzia non risultino eccessivamente ostacolati – od ostacolabili – dalle azioni o dalle omissioni dei pubblici poteri (Corte EDU 23/02/2017, ricorso n. 43395/09).

[18] Nel caso che ci riguarda non è la imposizione di un onere che rende difficile il tempestivo accesso alla giustizia, quanto la mancata previsione di un adempimento che ne costituisce il presupposto e cioè la notifica dei provvedimenti avverso i quali il soggetto dovrebbe ricorrere.

E’ impensabile che si possa proporre ricorso avverso un provvedimento della cui esistenza non si ha contezza- potendo al più la persona solo supporre che un provvedimento debba esserci­ e di cui non si conoscono i contenuti, nonostante la legge preveda che tanto la proposta medica che l’ordinanza sindacale che il provvedimento di convalida siano motivati. Motivare significa rendere conto delle ragioni per le quali si è pervenuti ad un certo tipo di decisione, e il primo destinatario della motivazione è la persona i cui diritti sono incisi dal provvedimento, e che ha il diritto di richiedere un ulteriore controllo sulla decisione. Ma se la motivazione non viene portata a conoscenza del soggetto interessato, quest’ultimo non potrà in alcun modo verificare se le ragioni esposte sono giuste o se sono confutabili, e quindi, in sostanza, sconterà un ostacolo insormontabile  nell’accesso, in tempo utile, alla giustizia.


Mario Novello

Mario Novello

Psichiatra, ha lavorato a Trieste dal 1972 sotto la direzione di Franco Basaglia e poi di Franco Rotelli. Dal 1995 al 2012 ha diretto il Dsm di Udine, portando a compimento la chiusura dell’ospedale psichiatrico e sviluppando un sistema di servizi territoriali di salute mentale. Dal 1979 lavora come perito e consulente per alcuni Tribunali. Ha svolto attività di consulenza, formazione e insegnamento. Nel 2013 è stato insignito della Medaglia d’Oro della Presidenza della Repubblica per la Sanità Pubblica.

 

Print Friendly, PDF & Email