Quanti sono i soldi per la sanità? di Gilberto Turati

Sono sufficienti i fondi assegnati alla sanità dalla manovra di bilancio? In numeri assoluti lo stanziamento cresce, in percentuale è stabile intorno al 6 per cento del Pil. La vera questione è però come costruire e organizzare la sanità territoriale.


Il finanziamento per il Fondo sanitario nazionale standard

Con la pubblicazione del Documento programmatico di bilancio e della legge di bilancio arrivano, puntuali, le prese di posizione sulla sanità, una materia che continua a essere politicamente rilevante. Siccome è politicamente rilevante, non sorprende che sull’argomento i politici continuino a litigare, sfruttando anche la grande confusione che si può fare con i numeri, tra finanziamento e spesa, tra allocazioni del Documento programmatico di bilancio e della legge di bilancio.

Vediamo cosa cambia rispetto alle cifre circolate con il Documento programmatico di bilancio e con la legge di bilancio.

La legge di bilancio (articolo 47) chiarisce le scelte del governo in merito al finanziamento del Fabbisogno sanitario nazionale standard (Fsns). Attenzione, finanziamento, non spesa sanitaria pubblica: quella dipende dalle scelte delle regioni ed è finanziata anche dalle entrate proprie del Servizio sanitario nazionale (Ssn), le compartecipazioni alla spesa da parte dei cittadini. La decisione sul finanziamento è politica: il meccanismo prevede che il governo decida quanti soldi mettere sul Fsns e li ripartisca tra le regioni in base a regole condivise con queste stesse. Sono poi le regioni che scelgono come spenderli. In genere, ne spendono un po’ di più di quelli che ricevono, con risultati negativi di esercizio intorno a 1 miliardo di euro.

Una programmazione triennale

Negli ultimi anni, il finanziamento del Fsns si è basato su una programmazione almeno triennale. Così, per capire quanti soldi ha messo quest’anno il governo dobbiamo tener conto di quanti ne aveva messi l’anno scorso e l’anno prima ancora. La figura 1 rende chiaramente visibile il meccanismo di “accumulo” dei finanziamenti da un anno all’altro: la legge di bilancio per il 2024 aveva assegnato 136,4 miliardi di euro al Fondo del 2025, che rispetto ai 134,9 complessivi per il 2024 significa 1,5 miliardi in più. Lo stanziamento della legge di bilancio presentata dal governo per il 2025 è di 1,3 miliardi (più alto rispetto ai circa 900 milioni di euro che erano circolati nei giorni scorsi, calcolandoli sul Documento programmatico di bilancio), che porterebbero il totale a 137,7 miliardi di euro.

L’aumento delle risorse per la sanità pubblica sarebbe quindi di complessivi 2,8 miliardi di euro, di cui più della metà già messi a bilancio dallo scorso anno. Tra l’altro, con questo meccanismo, il governo ha già stanziato altri 5 miliardi circa per il 2026, una decisione che porterebbe il Fsns a 141,7 miliardi di euro in quell’anno. Sarebbe politicamente molto difficile l’anno prossimo per il governo rimangiarsi la parola; semmai potrebbe decidere di non aggiungere altro. Lo stanziamento 2026 è quindi ragionevolmente acquisito, a meno di crisi epocali. Come si nota dalla figura 1, il governo ha poi già aggiunto 1 miliardo di euro in più all’anno, dal 2027 al 2030, quando il Fsns arriverà a 145,6 miliardi di euro.

La domanda a questo punto diventa: ma queste risorse sono sufficienti? È facile affermare che non si sono mai messi così tanti soldi sulla sanità, perché – al di là di due casi eccezionali in passato, sempre in occasione di gravi difficoltà di bilancio – il finanziamento al Fsns è sempreaumentato in termini nominali. A meno di trovarsi veramente alle strette col bilancio pubblico, nessun governo può seriamente pensare di tagliare il finanziamento al Sistema sanitario in termini nominali perché il prezzo politico sarebbe troppo elevato. Per avere contezza delle cifre, basti pensare che il finanziamento nel 2019, l’anno precedente il Covid, è stato di 114,4 miliardi di euro; la differenza con il 2024 è di 20 miliardi. Nel 2014, dieci anni fa, il Fsns valeva 110 miliardi e la differenza con il 2024 è di quasi 25 miliardi. Ma il finanziamento nominale che si iscrive nei documenti ufficiali è sempre a valori correnti, quindi ingloba l’inflazione. Un modo per tenere conto della crescita dei prezzi è di valutarlo in rapporto al Pil nominale, che cresce anch’esso con l’inflazione. In questo caso, se si esclude il 2020 e il 2021, anni eccezionali sia per il finanziamento al Ssn sia per le variazioni del Pil, il tentativo dei diversi governi che si sono succeduti alla guida del paese è semmai quello di stabilizzare il finanziamento poco sopra il 6 per cento del Pil. Questo è, perlomeno alla luce delle priorità politiche del governo Meloni, che lo portano a privilegiare altri interventi, quello che il paese si può permettere, tanto più che in futuro – in base alle nuove regole fiscali europee – la spesa primaria netta complessiva dovrebbe crescere di circa la metà della crescita del Pil nominale. In questo senso, la sanità rappresenta una eccezione in senso positivo.

Ristrutturare la rete dei servizi

Il vero problema è però un altro e continua a rimanere inevaso nel dibattito politico, a destra come a sinistra: come spendiamo i 137,7 miliardi di euro del Fondo sanitario, che – almeno sulla carta – dovrebbero garantire i livelli essenziali di assistenza in tutte le regioni. Sono anni che si ripetono sempre le stesse cose. Per esempio, il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha previsto la costruzione di una sanità territoriale basata su case della comunità e ospedali della comunità. È un tema centrale. Di sanità territoriale abbiamo bisogno per far funzionare meglio gli ospedali: da un lato, per sollevare i pronto soccorso dei casi meno gravi; dall’altro, per poter dimettere i pazienti quando necessitano di cure meno intensive, liberando i posti che servono per i pazienti acuti e per gli interventi programmati. Risolverebbe in parte anche il problema delle liste d’attesa. Ma cosa ne è di questo piano, già normato con il Dm 77/2022? Chi popolerà le case e gli ospedali della comunità? Quale sarà il ruolo dei medici di medicina generale, soprattutto nelle case? Connesso alla rete di servizi territoriali c’è poi da definire il ruolo dell’ospedale, che – sempre il Pnrr – consente di migliorare sul fronte infrastrutturale, sia per quanto attiene agli edifici, sia per quanto attiene alle apparecchiature. Il Dm 70/2015, che fissa gli standard per l’assistenza ospedaliera, è stato varato esattamente per questo. Tuttavia, a quasi dieci anni dalla sua approvazione, è largamente inevaso da parte delle regioni. Ma non avrebbe senso sistemare un ospedale che non rispetta gli standard del decreto. Qualcuno ci sta pensando, sta valutando i reparti in base ai bacini di utenza come stabilito dal decreto? È da qui che si dovrebbe poi partire per una programmazione seria del personale e per tutte le scelte legate ai contratti e alla remunerazione di medici e di infermieri.

Le scelte su come ristrutturare la rete dei servizi, ridefinendo il peso relativo di ospedale e territorio, avrebbero inevitabili conseguenze distributive tra i principali attori del sistema (medici ospedalieri, medici del territorio, infermieri e altre figure professionali) e scardinerebbero uno status quo ormai palesemente inefficiente. Sarebbe importanteche la politica prima discutesse su tali questioni e solo dopo sulle risorse complessive destinate al Ssn.

Figura 1

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