Diverse “sfumature d’amore” tra governo e mercato. di Claudio De Vincenti

Claudio De Vincenti, presentando un suo recente volume, suggerisce che nei casi in cui il mercato non conduce a risultati efficienti – i c.d. fallimenti del mercato, che indicano anche come la ‘mano invisibile’ svolga con fatica il suo ruolo di coordinamento – il governo non può limitarsi a rimediare a quei fallimenti, ma deve interagire con il mercato per contribuire a determinarne le dinamiche, con interventi ispirati a principi di solidarietà, uguaglianza delle opportunità e libertà effettiva. Vista la loro rilevanza, il Menabò tornerà su questi temi.


Credo sia giusto riconoscere al Rapporto Draghi – al di là delle pur importanti proposte specifiche – il merito di porre con forza l’esigenza di una politica economica della UE che si rapporti in modo consapevole e senza veli con le inquietudini e le incertezze che percorrono la società europea e con i difficili e a volte drammatici problemi che segnano questa fase tormentata delle relazioni internazionali. Ne emerge il bisogno di costruire una politica economica robusta, che superi sia la miopia attendista e conservatrice che ha fin qui frenato l’Unione, sia il rivendicazionismo semplificatorio che rischia di portarla a imboccare la strada di un irreversibile declino. Miopia e rivendicazionismo emblematici di una debolezza di fondo del confronto politico, inerente agli approcci con cui, da versanti opposti, le forze politiche europee hanno affrontato e affrontano i temi dell’intervento pubblico nell’economia.

Se la fiducia nelle virtù autoregolatorie del mercato propria del conservatorismo liberale classico era già stata incrinata dall’insorgere della crisi del 2007-8, la sua versione moderata e attendista prevalente in Europa è stata spiazzata dal susseguirsi della crisi pandemica e della rottura del quadro internazionale, in parallelo con l’evidenziarsi dei ritardi in termini di investimenti e capacità innovative rispetto a Stati Uniti, Cina, Paesi emergenti. Così, a destra oggi risultano piuttosto prevalenti posizioni politiche che rincorrono le più disparate pulsioni populiste, innescate dalla crisi, attraverso la richiesta o, quando al governo, l’attuazione di un interventismo senza bussola, caratterizzato dal sovrapporsi disorganico di misure parziali e sconnesse e accompagnato spesso dalla rivendicazione ingenua e insofferente del primato della politica sull’economia. Mentre a sinistra riprendono spazio posizioni dirigiste, nel senso di modalità di intervento nell’economia che operano una “rimozione” delle possibili risposte che il mercato e i soggetti che vi operano daranno all’azione dei poteri pubblici, finendo per riproporre ricette già sperimentate in passato senza successo o per sostenere fughe in avanti che trascurano i nodi difficili da sciogliere qui e ora.

Una debolezza del confronto politico allarmante in raffronto alla complessità dei problemi che ci stanno di fronte e che richiedono capacità inedite di direzione da parte della politica economica. Credo sia urgente perciò ritrovare il bandolo della matassa dell’intervento pubblico nel mercato facendo tesoro delle lezioni che ereditiamo dalla complessa elaborazione di teoria e politica economica che ha accompagnato l’evoluzione delle economie avanzate negli ultimi settant’anni. È proprio al tentativo di distillare una simile lezione di teoria e politica economica che ho dedicato il libro appena uscito per i tipi del Mulino e che ho voluto titolare Per un governo che ami il mercato. Una certa idea di intervento pubblico.

Il mercato è sicuramente un meccanismo severo di disciplina dei comportamenti economici di individui e collettività, a tratti è un meccanismo molto duro nel penalizzare le fragilità, da questo punto di vista difficile da “amare”. E certamente un intervento pubblico ispirato a principi democratici di solidarietà, uguaglianza delle opportunità, libertà effettiva di ogni persona nel perseguire le proprie scelte, deve far valere le ragioni di tutti, anche dei più fragili, rispetto alla severità del mercato e ancor più alla sua durezza.

Ma il mercato è anche uno straordinario meccanismo di coordinamento delle scelte operate autonomamente da individui e organizzazioni diversi e indipendenti, ne valida l’efficienza e l’efficacia nel conseguire i propri obiettivi, costituisce un propulsore di crescita economica stimolando l’innovazione nella qualità dei prodotti e nelle tecnologie produttive. E dunque una politica economica che persegua l’interesse generale deve saperne “amare” queste qualità: attraverso di esse “batte il polso della terra” (Memorie di Adriano), ossia si esprimono virtù, impegno, e naturalmente anche limiti e difetti delle persone, in una parola una parte rilevante delle loro vite. E deve perciò curare il funzionamento del mercato affinché quelle qualità emergano realmente – cosa non scontata, come si argomenta nel libro – e creino non solo le risorse ma anche i comportamenti necessari a includere tutti nel processo di sviluppo e a non lasciare indietro nessuno. Così come deve guidarle con sapienza verso il conseguimento del bene comune quale si configura concretamente, in ogni determinata fase storica, attraverso le scelte che la dialettica democratica fa emergere.

Il primo passo da fare in questa direzione è quello di comprendere i modi in cui il mercato opera realmente e a questo scopo tento nel libro di rovesciare un punto di vista che spesso noi economisti adottiamo. Sappiamo dalla teoria dell’equilibrio economico generale che la “mano invisibile” può essere considerata un meccanismo autosufficiente nel conseguire una allocazione delle risorse socialmente ottimale solo nel quadro dell’ipotesi estremamente restrittiva che valgano insieme quattro condizioni: informazione perfetta degli operatori, mercati intertemporali completi, atomismo degli operatori, assenza di esternalità. Quando – come nel mondo reale – una o più di queste condizioni è violata, parliamo di “fallimento del mercato”, nel senso che l’allocazione di equilbrio non risulta socialmente ottimale.

Il punto di vista che propongo nel libro è molto diverso: il mercato va apprezzato proprio perché – al contrario del sistema di relazioni ben oliato e aproblematico costruito nelle ipotesi artificiali ora richiamate – è un meccanismo che affronta e gestisce gli ostacoli che al coordinamento derivano dal fatto che le informazioni a disposizione degli operatori sono incomplete e asimmetricamente distribuite, vi sono solo pochi e incompleti mercati intertemporali, le imprese hanno spesso dimensione rilevante rispetto al mercato di riferimento, i fenomeni di esternalità sono (sempre più) diffusi. Rinvio al libro per la riflessione sul funzionamento dei mercati in un contesto così complesso, sulla funzione – ben più articolata di quella di meri indicatori di scarsità – che i prezzi svolgono in questa azione di coordinamento e sul ruolo degli aggiustamenti di quantità per il raggiungimento di un qualche equilbrio. Qui mi preme sottolineare che, in questa chiave di lettura, quelli che siamo soliti chiamare “fallimenti del mercato” vanno visti in realtà come testimonianze dei meriti del mercato quale meccanismo capace di effettuare il coordinamento delle scelte nelle condizioni complesse e conflittuali inevitabilmente proprie delle economie reali.

Ma da questo cambio di prospettiva deriva anche che l’azione di coordinamento svolta dal mercato condurrà – contrariamente all’immagine semplificata del modello di equilibrio economico generale – a una pluralità di possibili risultati allocativi e di possibili loro evoluzioni nel tempo. Un coordinamento, dunque, aperto a sbocchi e dinamiche alternativi, con implicazioni economiche e sociali molto diverse tra loro. Così come si deve essere preparati al fatto che, di fronte a modificazioni di contesto improvvise e impreviste, la ricostituzione di un qualche equilibrio da parte del mercato possa passare per una fase anche prolungata di disordine e di crisi.

In questo quadro, l’orizzonte della politica economica non può essere semplicemente quello di porre rimedio ai “fallimenti del mercato”, ossia quello di risanare gli scostamenti del mercato rispetto a una sua astratta – e artificiale – configurazione ideale. Deve essere piuttosto quello di rapportarsi attivamente con la “mano invisibile” per contribuire a sua volta a determinarne risultati e dinamiche.

Si tratta allora di costruire una vera e propria interazione strategica tra autorità di politica economica e mercati. E a questo scopo è essenziale saper fronteggiare i possibili “fallimenti dello Stato” attraverso una duplice consapevolezza: che il carattere “benevolente” dell’autorità pubblica non è scontato e che dunque è necessario costruire assetti istituzionali e impostazioni regolatorie in grado di far emergere dal confronto politico e nella prassi amministrativa l’interesse pubblico, sceverandolo dalle “agende private” che condizionano i comportamenti di politici e burocrati; che gli operatori di mercato incorporano nelle loro aspettative le decisioni di politica economica e modificano i propri comportamenti in relazione alle scelte dei pubblici poteri, cosicché i risultati che l’intervento pubblico ottiene dipendono in realtà dal modo stesso in cui esso orienta le aspettative e disegna gli incentivi.

Due i temi centrali di questo gioco strategico che vengono analizzati nel libro: alimentare e sostenere un clima di fiducia reciproca tra gli operatori e da parte loro nei confronti dei pubblici poteri; fornire al mercato una bussola per affrontare problemi di allocazione delle risorse che da solo non può gestire e per far emergere dalle sue dinamiche risultati coerenti con gli obiettivi che la colletività democraticamente organizzata si dà.

Riguardo al primo tema, la politica economica è chiamata a svolgere una duplice funzione di “àncora” al fine di stabilizzare il mercato: da un punto di vista macroeconomico, un’àncora per le aspettative; da un punto di vista microeconomico, un’àncora per i comportamenti. Sul primo versante, sostenendo lo “stato della fiducia” attraverso una credibile (non inflazionistica) stabilizzazione del sistema su livelli di attività che consentano alle imprese di scommettere su investimenti di ampliamento della capacità produttiva e innovazione: un “regime di politica economica” che consenta di orientare le aspettative verso equilibri a più alti livelli di Pil e di occupazione. Sul secondo versante, costruendo e aggiornando le regole di funzionamento dei mercati quale rete di sicurezza indispensabile affinché gli operatori prendano le loro decisioni in un clima di fiducia: regole che svolgono questo ruolo fondamentale solo se soddisfano le tre condizioni chiave della imparzialità, dell’efficienza, della stabilità.

Ma, per quanto essenziali, i compiti di ancoraggio macro e microeconomico ora tratteggiati non esauriscono le dimensioni dell’intervento pubblico sul mercato. La politica economica si confronta quotidianamente con altre questioni riguardanti problemi di allocazione delle risorse che la “mano invisibile” non appare in grado di gestire da sola e che richiedono scelte allocative da parte degli stessi poteri pubblici. E’ in questo ambito che si colloca la questione della politica industriale. Per non ricadere negli errori di dirigismo del passato, essa deve muovere dalla consapevolezza che la dotazione informativa delle autorità e le variabili di cui esse tengono conto non sono superiori ma piuttosto di natura diversa rispetto a quelle proprie degli operatori di mercato: si tratta di attivare un processo di scoperta, dove imprese e autorità apprendono via via le alternative di scelta possibili e i loro costi, un gioco strategico tra governo e imprese, un “timone” capace di interagire con l’andamento delle onde e delle correnti che percorrono il mercato. Una politica industriale market-oriented che, lungi dal “rimuovere” le possibili risposte che gli operatori daranno all’azione dei pubblici poteri, sappia tenerne conto e proprio perciò contribuire efficacemente a orientare i risultati cui perviene la “mano invisibile”.

Tornando all’esigenza, di cui parlavo all’inizio, di ridare spessore ideale e robustezza teorica al confronto di politica economica: mi auguro che possa risultare di un qualche aiuto la visione del funzionamento di una economia di mercato e dei compiti dell’intervento pubblico che nel libro viene proposta e, naturalmente, argomentata ben al di là di quanto possibile in questa nota.

fonte: https://eticaeconomia.it/diverse-sfumature-damore-tra-governo-e-mercato/

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