Il caso Albania ha in comune con il caso Ruanda un dato politico di fondo: i conservatori usano il pugno di ferro contro i migranti e sono convinti che la deportazione a centinaia o migliaia di chilometri dall’approdo agognato rappresenti un potente effetto di deterrenza. Ma c’è un elemento che differenzia i due casi: nel Regno Unito la sentenza della Corte Suprema avversa al piano del governo è stata accettata, senza alcuna reazione da parte del primo ministro britannico, mentre la decisione di un magistrato romano che ha messo in discussione una scelta del governo è stata bollata da Giorgia Meloni come un atto ostile, pregiudiziale.
“’A love-burst’: how Sunak and Meloni’s rapport is boosting hard-right agenda” (“’Un’esplosione d’amore’: come il rapporto tra Sunak e Meloni sta rafforzando l’agenda dell’estrema destra”). Questo è il titolo di un articolo del The Guardian pubblicato nel dicembre dello scorso anno alla vigilia della festa di Fratelli d’Italia – Atreju – dove Rishi Sunak (primo ministro britannico) insieme a Edi Rama (primo ministro albanese) e Elon Musk erano gli ospiti di onore. Il legame tra Meloni e Sunak, iniziato nel novembre 2022 in occasione della Conferenza sull’ambiente Cop27 di Sharm el-Sheikh, – nota The Guardian -, è chiaramente fondato anche su un’alchimia personale che si può vedere nelle fotografie e nei filmati dei loro incontri. Entrambi sono appassionati di fantasy: Sunak si è dichiarato un grande fan di Star Wars, Meloni un’amante di JRR Tolkien. Il genere fornisce anche un collegamento al summit di Atreju, che prende il nome da un personaggio del fantasy epico dark, “La storia infinita”. Ma la passione che maggiormente li unisce è un determinato, intransigente, approccio nel contrasto all’immigrazione, quello basato sulla deportazione dei migranti arrivati sulle coste dei rispettivi paesi. L’idea originale era di Boris Johnson, raccolta convintamente da Rishi Sunak e diventata d’ispirazione per Giorgia Meloni.
La storia ha inizio nell’aprile del 2022 con un accordo tra governo britannico (primo ministro Boris Johnson) e il governo del Ruanda che prevedeva che le persone identificate come immigrati illegali o richiedenti asilo sarebbero state trasferite nel paese africano, dove avrebbe avuto luogo la procedura di accoglimento della richiesta. Coloro che avessero avuto successo nella richiesta di asilo sarebbero rimasti in Ruanda e non sarebbe stato loro permesso di tornare nel Regno Unito. L’accordo prevedeva un finanziamento al Ruanda “per la trasformazione economica e l’integrazione” pari a 120 milioni di sterline, oltre al versamento tra £ 20.000 e £ 30.000 per ogni immigrato trasferito. La partenza di un primo contingente di migranti era previsto per il giugno 2022, ma fu bloccata dall’intervento della Corte europea dei Diritti dell’uomo, in attesa che si fosse concluso l’iter giudiziario di opposizione al progetto governativo che si era nel frattempo attivato. La parola conclusiva l’ha pronunciata la Corte suprema del Regno Unito nel novembre 2023 con una sentenza adottata all’unanimità da 5 giudici: il piano del governo è illegale perché il Ruanda non può essere considerato un paese sicuro e perché i migranti potrebbero essere esposti al reale rischio di essere rimandati nei paesi da cui sono fuggiti.
Da segnalare che nel luglio 2022 Boris Johnson si era dimesso da primo ministro travolto degli scandali del suo governo e dal discredito accumulato nella gestione della pandemia. Nell’ottobre dello stesso anno Rishi Sunak, dopo aver scalato la leadership del Partito conservatore, lo sostituisce a capo del governo, proseguendo la sua politica sull’immigrazione e quando la Corte suprema ne decreta l’illegalità, cerca disperatamente di mantenere in vita il progetto Ruanda con una legge approvata dal Parlamento nell’aprile 2024, che prevede – tra l’altro – l’uscita del Regno Unito dai trattati che regolano i diritti dei migranti. Una legge che ha trovato un’opposizione anche all’interno dello stesso Partito conservatore, provocando le dimissioni del ministro all’immigrazione, Robert Jenrick. Una legge che avrà comunque una vita breve (e che non provocherà alcun trasferimento di migranti) dato che nelle elezioni politiche del 4 luglio 2024 il Partito conservatore subirà una delle sconfitte più cocenti della sua storia. Il governo del Regno Unito passa nelle mani del Partito laburista e uno dei primi atti del nuovo primo ministro Keir Starmer sarà quello di cancellare la legge da poco approvata, ritenuta “sbagliata e immorale”. Fine della storia.
La storia italiana invece inizia nel febbraio di quest’anno, quando Parlamento italiano e Corte costituzionale albanese approvano un accordo tra i due paesi per la costruzione in territorio albanese di due centri di permanenza destinati a migranti portati in Albania dopo il salvataggio in mare in acque italiane da parte dell’Italia. Le premesse e i dettagli di questa operazione sono oggetto di un post di Chiara Milani “Esportare i migranti. Il caso Albania” dello scorso 15 maggio. Il caso Albania ha in comune con il caso Ruanda un dato politico di fondo: i veri conservatori usano il pugno di ferro contro i migranti, li tengono lontani dai sacri confini, e sono convinti che la possibile deportazione a centinaia o migliaia di chilometri dall’approdo agognato rappresenti un potente effetto di deterrenza. Ma il caso albanese è diverso da quello ruandese per diverse ragioni: la prima è che le persone cui viene riconosciuto il diritto di asilo tornano in Italia, poi c’è una selezione delle persone, basato sul sesso (uomini), età (maggiorenni), condizioni di salute (esclusi i fragili) e paesi di provenienza (da paesi sicuri, per cui si possono applicare le procedure accelerate di frontiera – che approdano all’asilo o all’espulsione – quelle previste dal protocollo Roma-Tirana).
C’è infine un elemento che differenzia i due casi: nel Regno Unito la sentenza della Corte Suprema avversa al piano del governo è stata accettata, senza alcuna reazione da parte di Rishi Sunak, mentre la decisione di un magistrato romano – come leggeremo in seguito – è stata subito bollata da Giorgia Meloni come un atto ostile, pregiudiziale.
I centri dovevano essere pronti per maggio 2024 (alla vigilia delle elezioni europee) ma c’è stato qualche mese di ritardo ed eccoci arrivati a metà ottobre, quando una nave militare si dirige verso l’Albania con un carico di 16 migranti (10 bengalesi e 6 egiziani). Ma si tratta di una clamorosa falsa partenza. Infatti all’arrivo al porto di Shengjin, dopo un primo sommario esame, quattro di loro vengono rispediti in Italia (due perché minorenni, due per le precarie condizioni di salute), ma anche quelli che raggiungono il centro per migranti di Gjader sono destinati a tornare in Italia, per ordine dei magistrati di Roma che negano la convalida del fermo. Il diniego della convalida, si legge in una nota del Tribunale di Roma “è dovuto all’impossibilità di riconoscere come ‘paesi sicuri’ gli Stati di provenienza delle persone trattenute, con la conseguenza dell’inapplicabilità della procedura di frontiera”.
La decisione del giudice di Roma era ampiamente prevedibile. Infatti, come spiega il Corriere della Sera, “Nei giorni scorsi altri giudici si sono espressi in identico modo decidendo di non convalidare il trattenimento di cittadini stranieri che, dopo lo sbarco, erano stati trasferiti in centri di permanenza che si trovano in Italia. Tutte le ordinanze emesse nelle ultime due settimane si basano su una sentenza della Corte di Giustizia europea che il 4 ottobre scorso ha ridefinito il criterio di ‘paese sicuro’, ponendo dei vincoli stretti alla possibilità di rimpatriare i migranti negli Stati di provenienza”[1]. Una falsa partenza così prevedibile, e per questo così politicamente imbarazzante, “è un duro colpo – scrive l’Avvenire – per l’ambizione di aprire la strada a una nuova politica europea di restrizione del diritto di asilo, che aveva riscosso anche qualche interesse a Bruxelles e in altre capitali europee. Un interesse che ora appare per quel che era: imprudente, prematuro, dettato dal desiderio d’inseguire un facile consenso a spese di profughi inermi”[2].
E parte subito l’offensiva del Governo contro la magistratura. “È molto difficile lavorare e cercare di dare risposte a questa nazione”, lamenta il Presidente del Consiglio da Beirut,”quando si ha anche l’opposizione di parte delle istituzioni che dovrebbero aiutare a dare risposte”. Meloni definisce “pregiudiziale” la decisione dei giudici di Roma. E, come in una partita di poker, rilancia: «Ho convocato un Consiglio dei ministri per lunedì prossimo per risolvere questo problema e approvare delle norme per superare quest’ostacolo». In che modo? “Penso non spetti alla magistratura dire quali sono i ‘Paesi sicuri’, ma al governo, che dovrà chiarirlo meglio”.
Ma ci può essere una chiave di lettura di quello che sta avvenendo diversa da quella di un governo inetto e arrogante, che non è in grado di misurare le conseguenze delle sue azioni? Una diversa chiave la potrebbe fornire la lettura dell’editoriale della Stampa di oggi, con la firma del suo direttore Andrea Malaguti, di cui riporto un paio di brani:
“Alzare una spessa cortina fumogena attorno al ‘processo-Salvini’ e sotterrare il dibattito su una manovra che non abbassa le tasse, anzi le incrementa un po’, riduce i fondi alla sanità, non tocca gli stanziamenti alla difesa e si dimentica di mettere nero su bianco i numeri reali degli interventi, è un risultato concreto che Palazzo Chigi incassa in tempo reale. Parlare dei migranti, fingersi spietati, intransigenti, duri contro i minacciosi invasori, è più facile che spiegare come ridare peso ai salari. (…) Meglio alimentare odio, paura e ossessioni complottardi, che discutere di ospedali e pensioni. Meglio rilanciare l’ostilità ideologica nei confronti dei magistrati e chiamare a raccolta fedeli nel fortino, piuttosto che trovare tavoli di confronto. Verrebbe da liquidare tutto con un aggettivo usato da Marco Revelli due giorni fa, qui a Torino: disgustoso”[3].
Riferimenti
[1] Fiorenza Sarzanini, La lunga strada, Corriere della Sera, sabato 19 ottobre 2024
[2] Maurizio Ambrosini, Un naufragio al primo viaggio, Avvenire, sabato 19 ottobre 2024
[3] Andrea Malaguti, I cani e porci di Salvini e il naufragio albanese, La Stampa, Domenica 20 ottobre 2024
fonte: https://www.saluteinternazionale.info/2024/10/albania-come-ruanda/