Marco Perduca scrive sulle terapie psichedeliche per la rubrica di Fuoriluogo su il manifesto.
Il 10 ottobre è la Giornata mondiale della salute mentale, dedicata quest’anno dall’Organizzazione Mondiale della Salute al legame vitale tra salute mentale e lavoro. Per l’Oms ambienti di lavoro sicuri e sani possono «agire come un fattore protettivo per la salute mentale», mentre «condizioni malsane, tra cui stigma, discriminazione ed esposizione a rischi come molestie e altre cattive condizioni di lavoro, possono comportare rischi significativi, influenzando la salute mentale, la qualità della vita complessiva e di conseguenza la partecipazione o la produttività sul lavoro».
La salute mentale resta una delle condizioni più neglette quando si affrontano questioni legate alla salute personale dal punto di vista delle politiche pubbliche e della ricerca scientifica e produzione farmaceutica. Per motivi ideologici ed economici si continua a piegare il principio di precauzione alle necessità del complesso chimico-farmaceutico esistente, creando irragionevoli ostacoli alle innovazioni che emergono corredate da sempre più incoraggiante efficacia terapeutica. Un esempio su tutti è quello delle psicoterapie accompagnate dall’assunzione controllata di molecole o composti psichedelici.
Negli Usa, in Canada e in Svizzera, psilocibina, LSD e MDMA fanno parte di offerte terapeutiche che hanno dimostrato di assolvere quasi al 70% il compito palliativo assegnatogli da chi negli ultimi 15 anni ha investito risorse, spesso private, nello sviluppo di rimedi alternativi, cioè integrativi o complementari, alla farmacopea ufficiale nazionale o internazionale.
Solo la morfina, tra le sostanze tabellate dalle Convenzioni Onu sulle sostanze psicotrope, è presente nella lista delle medicine essenziali stilata dall’Oms oltre 50 anni. Il resto, come per esempio la cannabis, può essere prescritto a seguito di strutturate farmaco-resistenze.
Eppure, l’Oms auspica che le azioni per affrontare la salute mentale sul lavoro vengano intraprese non solo «con il coinvolgimento significativo dei lavoratori, dei loro rappresentanti e delle persone con esperienza vissuta di condizioni di salute mentale» ma anche «investendo sforzi e risorse in approcci e interventi basati sulle evidenze scientifiche». Un immancabile, quanto generico, riferimento al fatto che quanto funziona deve esser tenuto in considerazione.
Se, forse sbrigativamente, come un’effimera tendenza culturale qualsiasi, c’è chi inizia a chiedersi se il cosiddetto “rinascimento psichedelico” sia arrivato al capolinea, chi si occupa di politiche pubbliche insiste e anzi rilancia. In occasione del XII Congresso internazionale sui funghi medicinali, l’Associazione Luca Coscioni in collaborazione con l‘Università di Bari e l’Italian Society for Medicinal Mushrooms ha organizzato una giornata interamente dedicata a quellii psichedelici con una sessione scientifica e una più ”politica”. A conclusione della seconda è stata presentata una lettera ai Ministri della Salute e Difesa, sottoscritta da oltre 170 rappresentanti delle professioni medico-scientifiche interessate che, senza auspicare la modifica di norme vigenti, chiede un’apertura agli psichedelici. In particolare si chiede al Ministro Schillaci di prevederli tra le terapie prescrivibili nell’ambito delle cure palliative e quelle prescrivibili come cure compassionevoli, specie nel “fine-vita”. Al Ministro Crosetto si chiede invece di prevedere un progetto pilota, con il Ministero della Salute, per un piano psicoterapeutico sui disordini da stress post-traumatico del personale militare impiegato nelle missioni internazionali e con una condizione “sviluppata” sul posto di lavoro. Né Schillaci né Crosetto hanno risposto.
Per questi motivi l’Associazione Luca Coscioni ha lanciato un appello pubblico in sostegno alla lettera che è sottoscrivibile sul sito dell’associazione.