Brevi note sugli interventi del “decreto carceri” in tema di misure di sicurezza. di Antonella Calcaterra, Beatrice Secchi

“Con l’anima in riserva e il cuore che non parte”

(Francesco De Gregori, Niente da capire)

1. Sarà in grado il nuovo art. 658-bis c.p.p. di offrire agli operatori giudiziari (magistrati e avvocati) e agli operatori sanitari quelle soluzioni necessarie per affrontare gli ormai sempre più difficili e numerosi casi di autori di reato con necessità di cura psichiatrica?

Proviamo, dopo una prima lettura della norma, a capire se e in quale misura i nuovi interventi saranno di supporto o se dovremo considerarli semplicemente una panacea destinata, se possibile, a complicare la procedura con ulteriori adempimenti inadeguati a rendere più rapidi ed efficaci gli interventi di presa in carico effettiva delle persone affette da patologia psichiatrica.

Deve tenersi costantemente presente che l’obiettivo di fondo della riforma introdotta con l’ormai risalente legge n. 81/2014[1] è “prendersi cura delle persone fragili” e non solo “individuare posti dove collocarle; quest’ultimo, invece, sembra essere oggi il principale problema da affrontare laddove ci si interfacci a qualsiasi titolo con persone con problemi di salute mentale.

2. La legge n. 112/2024 con l’art. 10 comma 1-bis introduce nel codice di procedura penale alcune modifiche al procedimento relativo all’applicazione delle misure di sicurezza detentive, aggiungendo gli artt. 658-bis e 679 comma 1-bis c.p.p., nonché l’art. 154-quater disp. att. cpp.

In sintesi, l’art. 154-quater disp. att. c.p.p. (rubricato “Sentenza che dispone una misura di sicurezza presso una struttura sanitaria[2]”) regola gli adempimenti della cancelleria del Giudice che ha emesso la sentenza che dispone una misura di sicurezza prevendendo che “la cancelleria ne trasmett[a] senza ritardo, e comunque entro cinque giorni, l’estratto al pubblico ministero presso il Giudice indicato nell’art 665 del codice”.

Il nuovo art. 658-bis c.p.p. prevede che “quando deve essere eseguita una misura di sicurezza” detentiva (casa di cura e custodia o ospedale psichiatrico giudiziario da eseguirsi presso le REMS), “ordinata con sentenza, il pubblico ministero presso il giudice indicato nell’articolo 665 chiede senza ritardo e comunque entro cinque giorni al magistrato di sorveglianza competente la fissazione dell’udienza per procedere agli accertamenti” relativi alla verifica dell’attualità della pericolosità sociale ed alla scelta della misura.

Il nuovo comma 1-bis dell’art. 679 c.p.p. così dispone: “Sulla richiesta del pubblico ministero formulata ai sensi dell’art. 658 bis c.p.p. il magistrato di sorveglianza provvede alla fissazione dell’udienza senza ritardo e comunque entro cinque giorni dalla richiesta medesima. Fino alla decisione, permane la misura di sicurezza provvisoria applicata ai sensi dell’art. 312 e il tempo corrispondente è computato a tutti gli effetti. Nelle more della decisione, la misura di sicurezza provvisoria può essere disposta con ordinanza dal Magistrato di Sorveglianza, su richiesta del pubblico ministero”.

3. Le novità legislative sembrano voler dare un’accelerazione alla procedura di esecuzione delle misure di sicurezza detentive e, a tal fine, rendono più rapida la comunicazione dell’estratto esecutivo al pubblico ministero che dovrà poi trasmettere gli atti al magistrato di sorveglianza; quest’ultimo dovrà emettere entro 5 giorni il decreto di fissazione dell’udienza per l’accertamento della pericolosità sociale, ferme restando le regole procedurali sulla notifica dell’avviso alle parti almeno 10 giorni prima dell’udienza (di cui all’art. 666 comma 3 c.p.p)[3].

Frattanto, e questa pare la novità più significativa, nelle more della decisione il pubblico ministero, ove non sia già in essere una misura di sicurezza provvisoria disposta dal giudice della cognizione, potrà chiedere al magistrato di sorveglianza l’emissione della relativa ordinanza.

Si tratta ora di verificare la reale utilità ed efficacia di queste norme calandoci nella realtà processuale quotidiana e nelle pratiche sanitarie attuali.

Ammesso che le cancellerie del magistrato della cognizione, in considerazione dei vuoti e delle carenze di organico ormai notorie, possano adempiere “senza ritardo” al compito di trasmissione loro assegnato dall’art. 154-quater disp. att. c.p.p., spetterà poi agli uffici della procura formare il fascicolo del pubblico ministero, il quale, ancora una volta “senza ritardo” e comunque entro 5 giorni, dovrà richiedere al magistrato di sorveglianza competente la fissazione dell’udienza per l’accertamento dell’attuale pericolosità sociale.

A questo punto il magistrato di sorveglianza, sempre “senza ritardo ed entro 5 giorni”, dovrà emettere il decreto di fissazione dell’udienza.

Pare evidente, ad una prima lettura, che la nuova norma (l’art. 658-bis c.p.p.) indichi come competente per l’invio delle richieste al magistrato di sorveglianza il pubblico ministero di cui all’art. 665 c.p.p., ossia il pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza; queste richieste  dovranno essere ‘spedite’  al magistrato di sorveglianza la cui competenza continua ad essere disciplinata dall’art. 677 c.p.p. ed in particolare individuata nel luogo di detenzione o di internamento (nel caso della misura di sicurezza già applicata in via provvisoria), ovvero, per i condannati liberi, nel luogo di residenza o domicilio[4].

Questa norma pare confliggere con l’art. 658 c.p.p., formalmente non toccato dalla riforma, che prevede che “quando deve essere eseguita una misura di sicurezza diversa dalla confisca il pubblico ministero presso il giudice indicato dall’art. 665 trasmette gli atti al pubblico ministero presso il magistrato di sorveglianza competente per i provvedimenti previsto dall’art. 679 c.p.p.”.

Resta, dunque, da comprendere quale ufficio del pubblico ministero dovrà eseguire i provvedimenti del magistrato di sorveglianza emessi all’esito dell’udienza di accertamento della pericolosità sociale: se il pubblico ministero ex art. 665 c.p.p., che ha formulato la richiesta di misura di sicurezza, ovvero quello indicato dall’art. 659 comma 2 c.p.p., secondo il quale “i provvedimenti relativi a misure di sicurezza sono eseguiti dal pubblico ministero presso il magistrato di sorveglianza che li ha adottati”.

La logica e il buon senso imporrebbero quest’ultima soluzione poiché è evidente che dovrà essere necessariamente il pubblico ministero presso il magistrato di sorveglianza che ha adottato il provvedimento ad annotare la decisione e ad aggiornare la posizione giuridica dell’internato.

4. L’ulteriore novità in punto di tempi di emissione del decreto di fissazione dell’udienza da parte del magistrato di sorveglianza “senza ritardo e comunque entro 5 giorni” dalla richiesta non comporterà che la relativa udienza possa essere effettivamente celebrata in tempi rapidi, considerati i carichi di lavoro della magistratura di sorveglianza, gli scarni organici delle cancellerie e la auspicata necessità di una rigorosa istruttoria che preveda quantomeno l’acquisizione delle perizie psichiatriche disposte nel giudizio di merito e delle relazioni dei DSMD competenti, nonché, da ultimo, la necessità di rispettare il precitato termine di dieci giorni per l’avviso al difensore e al pubblico ministero della data dell’udienza.

Pare poi pleonastico l’inciso volto a precisare che la misura provvisoria detentiva permane fino alla decisione del magistrato di sorveglianza, giacché è principio pacifico che le misure di sicurezza provvisorie restino in vita anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza essendo destinate a venir meno solo alla scadenza del temine massimo introdotto dall’art. 1 comma 1-quater del decreto legge 52/2014, convertito con modificazioni dalla legge 81/2014[5], o in caso di revoca da parte del magistrato[6].

5. La novità più rilevante è rappresentata dalla possibilità che il magistrato di sorveglianza, sempre su richiesta del pubblico ministero, nelle more della decisione ex art. 679 c.p.p., applichi una misura di sicurezza provvisoria.

La modifica pare consentire tale soluzione solo con riferimento alle misure di sicurezza da eseguire presso le “strutture sanitarie” alla luce del fatto che il novellato art. 679 comma 1-bis c.p.p. richiama l’art. 658-bis c.p.p.

Sembra doversi escludere, per la necessità di una razionalità complessiva del sistema, che il magistrato di sorveglianza possa provvedere inaudita altera parte, quando precedentemente nel corso del processo di merito il giudice di cognizione con molti più elementi a disposizione non abbia ritenuto necessario un provvedimento provvisorio o lo stesso neppure sia stato richiesto dal pubblico ministero.

A meno che non si dica espressamente che i soggetti psichiatrici debbano e possano avere minori garanzie rispetto ad altri soggetti ritenuti pericolosi, ma non portatori di disturbi mentali[7].

Inoltre, da un punto di vista pratico appare del tutto inverosimile che un magistrato di sorveglianza al quale perviene un fascicolo che contiene solo la richiesta del pubblico ministero e la sentenza del giudice della cognizione e che sta svolgendo la necessaria istruttoria per la decisione sull’attuale pericolosità sociale e sulla migliore misura di sicurezza da applicare sia in grado di assumere una qualsivoglia ponderata decisione, prima di avere a disposizione tutti gli atti necessari (come già detto, ci si riferisce nello specifico alle perizie disposte nel processo di merito e alle relazioni del DSMD).

Il tutto senza quella imprescindibile interlocuzione con i servizi del DSMD e con i difensori i quali, spesso, possono fornire informazioni cliniche, familiari e sociali fondamentali al fine della decisione del magistrato.

Si deve ricordare che l’importanza della collaborazione tra i soggetti istituzionali che intervengono nel percorso giudiziario e di cura del soggetto fragile è stata ribadita con due delibere (in data 19.4.2017 e 24.9.2018) dal Consiglio Superiore della Magistratura[8], cui sono seguiti numerosissimi protocolli adottati da quasi tutte le Corti di appello[9]. Questa interlocuzione, come evidenziato dallo stesso CSM, mira a garantire effettività e contenuti alle misure di sicurezza, in modo che le stesse non restino provvedimenti privi di efficacia sia dal punto di vista del controllo che da quello della cura.

6. Deve poi evidenziarsi che, stando al tenore della norma, sembrerebbero rimanere escluse dalla possibile emissione di misure di sicurezza provvisorie quelle non detentive che si concretizzano nell’inserimento delle persone in strutture di cura; si fa con ciò riferimento alla c.d. libertà vigilata comunitaria, la cui legittimazione è stata ormai da tempo consacrata dalla suprema Corte di Cassazione e che rappresenta la misura maggiormente utilizzata[10].

Questa differenza di disciplina, anche seguendo la logica del legislatore, appare inspiegabile, atteso che anche nei confronti del destinatario di misura di sicurezza non detentiva il pubblico ministero, sulla base di atti nella sua disponibilità, ben potrebbe ritenere esistente una situazione tale da richiedere l’applicazione della misura in via provvisoria da parte del magistrato di sorveglianza.

7. A parere di chi scrive e in conclusione, la riforma si scontra con quell’imprescindibile e faticoso dato di realtà che quotidianamente è vissuto da chi opera nel settore; anche ove l’accelerazione impressa al procedimento di applicazione della misura di sicurezza producesse i risultati sperati (in termini di tempo), la sua esecuzione è, comunque, destinata ad attendere i tempi ormai incalcolabili derivanti da un sistema sanitario in perenne affanno e dimenticato dalle politiche sociali.

Le misure di sicurezza detentive applicate disegnate dal novellato art. 658-bis c.p.p. finiranno per allungare ulteriormente le liste di attesa gestite ora dai PUR regionali[11], già ricche di provvedimenti spesso emessi in violazione del principio di residualità delle misure detentive posto a fondamento della legge n. 81/2014 e, sempre più spesso, di aggravamenti di misure di sicurezza non detentive disposte nei confronti di  persone che non sono state adeguatamente supportate dai Servizi competenti a causa della scarsezza delle risorse destinate alla cura e all’accoglienza di soggetti con patologie psichiatriche.

Il grido di allarme si è levato da tempo e l’emergenza è costante da anni, tanto che ormai non è più definibile tale, essendo una condizione che accompagna costantemente gli operatori. Non resta che amarezza, quella ben descritta dallo psichiatra Vittorio Lingiardi in uno scritto pubblicato su “La Repubblica” lo scorso 5 settembre 2024[12], nel quale ha rappresentato “il dispiacere di veder meno interesse anche da parte del pubblico quando si cerca di denunciare le condizioni della sanità pubblica in una società che investe quasi niente su salute mentale, comunità terapeutiche, psicoterapia nei servizi e educazione scolastica”.

Questi, in definitiva, sono i soli interventi necessari per attivare – agendo non solo con rigore, ma anche con empatia e compassione nei confronti di chi ha commesso un reato anche a causa della dolorosa patologia da cui è affetto – la politica del “prendersi cura” e non solo del ‘dove mettere’ le persone malate e fragili.

Solo allora potranno avere un senso i provvedimenti legislativi di velocizzazione delle procedure.


[1] Con la legge del 30 maggio 2014, n. 81, di conversione del decreto-legge n. 52 del 2014, sono stati definitivamente superati gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) e sostituiti dalle Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS) ed è stata profondamente innovata la disciplina delle misure di sicurezza custodiali per gli autori di reato prosciolti in quanto totalmente incapaci di intendere e di volere o condannati a pena diminuita per parziale incapacità di intendere e volere e, più in generale, di tutte le misure di sicurezza personali detentive. I principi di fondo che hanno guidato il legislatore sono il principio di priorità della cura necessaria, la configurazione delle misure di sicurezza detentive come residuali e transitorie, la centralità del progetto terapeutico individuale e il principio di territorialità della cura.

[2] Sul punto si tenga presente che il termine “strutture sanitarie” prima della riforma in commento non era mai stato usato né nel Codice penale né tantomeno nel Codice di procedura penale; pertanto, si pone un rilevante e non sottovalutabile problema interpretativo circa l’ambito di operatività della norma, suscettibile di ricomprendere qualsivoglia misura di sicurezza – finanche la libertà vigilata – seppur si riferisca espressamente a quelle di cui all’art. 215 comma 2 n. 2 e 3 c.p., ossia al ricovero in una casa di cura e di custodia e al ricovero presso REMS.

[3] L’art. 666 comma 3 c.p.p. dispone: “Salvo quanto previsto dal comma 2, il giudice o il presidente del collegio, designato il difensore di ufficio all’interessato che ne sia privo, fissa la data dell’udienza in camera di consiglio e ne fa dare avviso alle parti e ai difensori. L’avviso è comunicato o notificato almeno dieci giorni prima della data predetta. Fino a cinque giorni prima dell’udienza possono essere depositate memorie in cancelleria”.

[4] L’art. 677 comma 1 e 2 c.p.p. dispone: “1. La competenza a conoscere le materie attribuite alla magistratura di sorveglianza appartiene al tribunale o al magistrato di sorveglianza che hanno giurisdizione sull’istituto di prevenzione o di pena in cui si trova l’interessato all’atto della richiesta, della proposta o dell’inizio di ufficio del procedimento. 2. Quando l’interessato non è detenuto o internato, la competenza, se la legge non dispone diversamente, appartiene al tribunale o al magistrato di sorveglianza che ha giurisdizione sul luogo in cui l’interessato ha la residenza o il domicilio. Se la competenza non può essere determinata secondo il criterio sopra indicato, essa appartiene al tribunale o al magistrato di sorveglianza del luogo in cui fu pronunciata la sentenza di condanna, di proscioglimento o di non luogo a procedere, e, nel caso di più sentenze di condanna o di proscioglimento, al tribunale o al magistrato di sorveglianza del luogo in cui fu pronunciata la sentenza divenuta irrevocabile per ultima”.

[5] L’art. 1 comma 1-quater del decreto-legge n. 52/2014, convertito con modificazioni dalla legge 81/2014, recante “Modifiche all’articolo 3-ter del decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 211, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 2012, n. 9”, prevede che “Le misure di sicurezza detentive provvisorie o definitive, compreso il ricovero nelle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, non possono durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso, avuto riguardo alla previsione edittale massima. Per la determinazione della pena a tali effetti si applica l’articolo 278 del codice di procedura penale. Per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo non si applica la disposizione di cui al primo periodo”.

[6] Il magistrato può revocare la misura di sicurezza personale disposta allorché sia cessata la pericolosità sociale del soggetto ad essa sottoposto. I riferimenti normativi si rinvengono all’art. 206 comma 2 c.p., che, relativamente alle misure di sicurezza applicate in via provvisoria, prevede che “Il giudice revoc[hi] l’ordine, quando ritenga che tali persone non siano più socialmente pericolose”, e all’art. 207 c.p., che sancisce che “Le misure di sicurezza non possono essere revocate se le persone ad esse sottoposte non hanno cessato di essere socialmente pericolose”.

[7] La norma in esame si applica, infatti, solo a soggetti portatori di patologie psichiatriche valutati socialmente pericolosi e non anche a soggetti qualificati pericolosi, ma non affetti da disturbi mentali.

[8] Il Consiglio Superiore della Magistratura, nella seduta del 19 aprile 2017, ha adottato la delibera “Direttive interpretative ed applicative in materia di superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) e di istituzione delle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS), di cui alla legge n. 81 del 2014”; è, poi, nuovamente intervenuto in materia adottando, nella seduta del 24 settembre 2018, la delibera riguardante i “Protocolli operativi in tema di misure di sicurezza psichiatriche”. Nello specifico, al punto a) della precitata delibera si raccomanda espressamente il coinvolgimento di soggetti quali la Magistratura e i DSM, in modo da “realizzare la continuità terapeutica e trattamentale tra la fase della cognizione (con la provvisoria esecuzione, se del caso, e l’accertamento in punto di imputabilità) e quella della esecuzione della misura di sicurezza”, nonché dell’UEPE, “preposto all’accompagnamento delle persone sottoposte alle misure di sicurezza”, e dell’Avvocatura, che, tramite i propri organi rappresentativi, potrà partecipare al progetto e contribuire a “fungere da collante sul piano procedurale e da soggetto attivo nella ricerca di soluzioni eque per le esigenze di cura delle persone affette da patologie psichiatriche che abbiano commesso reati”.

[9] Il distretto della Corte d’Appello di Milano il 12.09.2019 ha sottoscritto il “Protocollo operativo in tema di misure di sicurezza psichiatriche per il distretto di Milano”, protocollo che è stato pubblicato sul Bollettino ufficiale della Regione Lombardia l’11.12.2019 e che si può consultare al seguente indirizzo:

https://www.corteappellomilano.it/allegatinews/A_25718.pdf.

[10] Cfr. Cass. pen., sez. I, 09/10/2020, n. 35224, di cui si riporta la massima: “Nell’ipotesi di applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata, il giudice può imporre la prescrizione della residenza temporanea in una comunità terapeutica, a condizione che la natura e le modalità di esecuzione della stessa non snaturino il carattere non detentivo della misura di sicurezza in atto”; si tratta di un caso in cui la Corte ha escluso la ricorrenza di una condizione detentiva incompatibile con la natura della libertà vigilata applicata al ricorrente, affetto da disturbo schizo-affettivo e da discontrollo degli impulsi, nei cui confronti era stata disposta la prescrizione della residenza in struttura psichiatrica con autorizzazione a compiere tutti gli spostamenti, anche esterni, la cui concreta individuazione era rimessa alla valutazione degli operatori della struttura, idonei a salvaguardare gli spazi di libera autodeterminazione del medesimo. In senso conforme, Cass. Pen., sez. 01, 22/05/2015, n. 33904.

[11] L’accordo della Conferenza Stato-Regioni relativo alla proposta del Tavolo di Consultazione permanente sulla sanità penitenziaria di collaborazione interistituzionale inerente la gestione dei pazienti con misura di sicurezza del 30 novembre 2022 con l’art. 3 istituisce formalmente i Punti Unici Regionali (PUR), attribuendogli numerosi compiti, tra i quali l’indicazione tempestiva all’Autorità giudiziaria richiedente della REMS territorialmente competente, la funzione di raccordo con la Magistratura in modo da consentire una periodica revisione clinica del soggetto in attesa di internamento e da supervisionare eventuali soluzioni di cura ospedaliere temporanee e limitate alle fasi di acuzie, la promozione di protocolli operativi con il fine di elaborare condivisi percorsi assistenziali in favore di pazienti psichiatrici autori di reato, nonché l’impulso alla rivalutazione periodica della pericolosità sociale di questi ultimi ai fini di una possibile revoca o sostituzione della misura applicata. Inoltre, i PUR si occupano di monitorare qualitativamente e quantitativamente le liste d’attesa esistenti per l’ingresso in REMS, comunicando ogni sei mesi gli esiti delle rilevazioni al Ministero della Salute ed al Ministero della Giustizia, liste d’attesa che oggi sono già eccessivamente congestionate.

[12] V. Lingiardi, Cari genitori i figli si salvano solo ascoltando i loro silenzi, in La Repubblica, 5 settembre 2024, p. 15.


fonte: https://www.sistemapenale.it/it/scheda/calcaterra-secchi-brevi-note-sugli-interventi-del-decreto-carceri-in-tema-di-misure-di-sicurezza


Antonella CalcaterraAntonella Calcaterra

 

Beatrice SecchiBeatrice Secchi

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