Nel rapporto Ocse lo stato di salute del sistema educativo italiano. di Barbara Romano

È in chiaro-scuro il quadro tracciato dal rapporto dell’Ocse sull’equità del sistema scolastico italiano. Fa bene sull’integrazione degli studenti stranieri. Il punto dolente è sui laureati: sono pochi, poco occupati e poco pagati, soprattutto le ragazze.


L’importanza dell’istruzione

In occasione dell’inaugurazione dell’anno scolastico, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ribadito l’importanza cruciale dell’istruzione per il futuro della società riprendendo alcune iniquità del nostro sistema evidenziate da Education at a Glance. Il rapporto annuale Ocse – che quest’anno ha il focus proprio sull’equità – fornisce, infatti, un ricco e articolato insieme di informazioni sull’organizzazione e sugli esiti del sistema scolastico, ma anche sull’impatto dell’apprendimento e del conseguimento dei titoli di studio sul mercato del lavoro.

Grazie al confronto con gli altri 37 paesi partecipanti, il rapporto chiarisce “dove” ci troviamo rispetto a dimensioni cruciali per la salute del nostro sistema sociale ed economico. Nel commentarlo i media si sono concentrati principalmente sulle questioni relative agli insegnanti, in particolare sulle retribuzioni. Qui invece daremo spazio ad alcuni indicatori riguardanti gli esiti -accademici e lavorativi – degli studenti.

L’equità negli esiti scolastici

Il Focus sull’equità dedica una delle sezioni agli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdgs) che ricadono nel goal 4 “Istruzione”. In particolare, analizza i divari nella percentuale di quindicenni che raggiungono la competenza minima nell’indagine Pisa (Programme for International Student Assessment).

Il background socioeconomico influenza in modo significativo i risultati scolastici e dalla tabella 1 emerge come questa iniquità sia un fenomeno globale, presente in tutti i sistemi educativi (e costante nel tempo). L’Italia, sebbene si collochi nella media Ocse, non è riuscita a raggiungere i livelli di equità di altri paesi in Europa, come la Danimarca, la Finlandia e il Regno Unito, dove gli studenti svantaggiati ottengono risultati migliori e il divario con i compagni di scuola avvantaggiati è minore.

Per quanto riguarda gli esiti degli studenti di origine straniera, il divario italiano è uno dei più contenuti, indizio che le politiche di inclusione hanno avuto più successo di quelle adottate in altri paesi, quali Francia e Germania, dove pur con tradizione di migrazioni di più lungo corso delle nostre i gap rimangono sensibilmente più marcati.

La distanza nel raggiungimento del livello minimo di proficiency è molto contenuta tra maschi e femmine (a vantaggio dei primi in matematica e delle seconde in italiano), anche se va sottolineato che i divari maggiori in matematica a favore dei maschi si manifestano sui livelli alti delle performance e non su quelli minimi. È su altre dimensioni che il divario di genere si manifesta in modo pesante.

Tabella 1 – Percentuale di quindicenni che raggiungono almeno una competenza minima in matematica alla fine dell’istruzione secondaria inferiore, per contesto socioeconomico status di immigrazione (2022)

Neolaureati: pochi, poco occupati e poco pagati

L’Italia ha il tasso di laureati più basso tra i paesi Ocse nella fascia d’età compresa tra 24 e 64 anni, con una percentuale pari al 20 per cento rispetto alla media del 40 per cento. La forbice risulta ancora più critica nella fascia 25-34 anni, dove il tasso di laureati è pari al 29 per cento, con un significativo divario di genere (23 per cento uomini, 35 per cento donne), rispetto alla media Ocse del 47 per cento.

Nonostante i laureati siano pochi, il mercato del lavoro italiano non sembra in grado di dar loro un’occupazione, come evidenziato dalla figura 1. I nostri giovani sono in una posizione di svantaggio non solo rispetto ai paesi del Nord Europa, caratterizzati da elevati tassi di occupazione sia dei laureati sia dei diplomati – anche grazie a un forte sistema formazione tecnica (Vet) che nel nostro paese è ancora in una lenta fase di “costruzione” con gli Its -, ma pure rispetto ai paesi dell’Europa meridionale e dell’America Latina.

Figura 1 – Relazione tra i tassi complessivi di istruzione terziaria e i tassi di occupazione terziaria nella fascia 25-34 anni

Anche dal punto di vista salariale i laureati italiani sono in una situazione peggiore rispetto a molti colleghi stranieri: un laureato guadagna mediamente il 40 per cento in più rispetto a un diplomato, ma il differenziale è molto più basso rispetto ad altri paesi europei, quali Germania, Spagna, per non parlare degli Stati Uniti.

Non sorprende, quindi, che il 45 per cento dei neolaureati di magistrale si dichiari disponibile ad andare all’estero (rapporto Almalaurea 2022) e che a un anno dalla laurea oltre l’8 per cento dei migliori laureati sia occupato in un paese straniero. Queste percentuali salgono al 15-18 per cento per lauree in discipline Stem (science, technology, engineering, mathematics).

Una questione di genere

I dati sulle retribuzioni femminili rispetto a quelle maschili evidenziano disparità di genere che si manifestano in modo marcato a livello di laureate e soprattutto nella fascia delle 25-34 anni, la cui retribuzione è solo il 58 per cento di quella dei colleghi maschi. Infatti, è proprio tra i laureati che il “soffitto di cristallo” si fa sentire di più.

La questione del salario degli insegnanti merita una trattazione molto più approfondita, ma qui la inquadriamo in una prospettiva “di sistema”, come esempio emblematico di segregazione salariale e occupazionale. Le donne, infatti, tendono ancora a essere sovra-rappresentate in settori che pagano salari bassi e offrono scarse possibilità di carriera, mentre sono meno presenti nelle posizioni apicali (il cosiddetto soffitto di cristallo).

La tabella 2 mostra chiaramente come la presenza femminile nell’insegnamento, che è del 99 per cento nella scuola dell’infanzia, diminuisca progressivamente al crescere del grado di istruzione (e della retribuzione), per crollare al di sotto del 40 per cento nella formazione terziaria (solo il 27 per cento tra i docenti ordinari): si tratta di una variante del soffitto di cristallo.

Nel corso del tempo la professione di insegnante, come molte altre fra quelle di cura caratterizzate da una marcata femminilizzazione, ha richiesto (giustamente) titoli di studio e formazione sempre più elevati, ma le retribuzioni non hanno seguito un adeguamento proporzionale.

Tabella 2 – Distribuzione di genere degli insegnanti per livello di istruzione  (2022)

Nelle Stem la situazione cambia?

Il rapporto Education at a Glance ci dà una notizia buona sul fronte delle Stem: le ragazze italiane sono quelle che in più alta proporzione nei paesi Ocse decidono di perseguire carriere in questi ambiti.

Ma la spinta che da anni troviamo nelle parole dei decisori pubblici, dei giornali e dei ricercatori non trova riscontro sul mercato del lavoro. Le donne laureate in Stem pagano un prezzo alto in termini di occupabilità: nelle aree di informatica, ingegneria e architettura, hanno circa il 9 per cento di probabilità in meno di trovare lavoro rispetto agli uomini. Anche nelle scienze e nella matematica, il divario si attesta sull’8 per cento. A un anno dalla laurea, pur avendo voti più alti, le ragazze vengono assunte per posizioni lavorative meno remunerative rispetto a quelle dei colleghi maschi (in media 1.342 euro contro i 1.539 euro dei compagni di università).

Siamo un paese in pieno declino demografico: questa è una sfida che richiede un cambio di rotta. Non possiamo più permetterci di ignorare iniquità di genere e le necessità dei giovani. È fondamentale creare un ambiente favorevole per la loro crescita e il loro sviluppo, così come opportunità lavorative degne di questo nome. Non farlo equivale a tagliare il ramo sul quale siamo seduti.

fonte: https://lavoce.info/archives/106008/nel-rapporto-ocse-lo-stato-di-salute-del-sistema-educativo-italiano/

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