Non possiamo dimostrare che Dio esista, ma abbiamo qualche prova. di Michel-Yves Bolloré, Olivier Bonnassies

Le dimostrazioni assolute appartengono al dominio teorico, come la matematica, dove un ragionamento corretto conduce a una conclusione immutabile. Nel mondo reale, però, le informazioni a disposizione sono sempre incomplete, e anche un ragionamento corretto può portare a conclusioni errate: gli autori del saggio Dio, la scienza, le prove rispondono all’articolo di Hykel Hosni e Angelo Vulpiani.


Nell’articolo intitolato Perché la scienza non può dimostrare l’esistenza di Dio, Hykel Hosni e Angelo Vulpiani scrivono che il libro Dio, la scienza, le prove, che abbiamo scritto e pubblicato recentemente in Italia per le Edizioni Sonda, si sbaglia cercando di dimostrare l’esistenza di Dio attraverso la scienza. Ma sono questi due autori, certamente di valore e il cui articolo non manca di interesse, a sbagliarsi, poiché il nostro libro non cerca affatto di dimostrare l’esistenza di Dio (nel senso di una dimostrazione assoluta); fornisce prove della sua esistenza, il che non è la stessa cosa!

Poiché questa confusione tra dimostrazione e prova è frequente e comprensibile, desideriamo rispondere qui al loro articolo iniziando a spiegare ai lettori la differenza tra dimostrazione (assoluta) e prova (relativa).

Cos’è una dimostrazione, cos’è una prova

Siamo tutti familiari con le dimostrazioni matematiche, che si chiamano anche prove assolute. Il teorema di Pitagora ne è una buona illustrazione. In questo teorema, Pitagora fornisce la prova assoluta che, nella geometria euclidea, il quadrato della lunghezza dell’ipotenusa di un triangolo rettangolo è uguale alla somma dei quadrati degli altri due lati. Parliamo di 2.500 anni fa, e la prova che ne fornì all’epoca non è cambiata di una virgola.

Questo semplice esempio illustra le caratteristiche delle prove assolute: tutti finiscono per aderirvi; per questo motivo, è inutile fornire più prove assolute per dimostrare un’affermazione o una tesi, esse sono universali e immutabili nel tempo. Tuttavia, esse esistono solo negli ambiti teorici (o formali) come la matematica e la logica pura. Questi ambiti astratti sono caratterizzati da regole e dati iniziali noti a priori. In un contesto del genere, un ragionamento applicato a dei dati noti e corretti conduce a una conclusione altrettanto corretta.

Ma le dimostrazioni, o le prove assolute, non esistono nell’ambito reale (ambito empirico).

In effetti, affinché un ragionamento corretto conduca con certezza a una conclusione corretta, è necessario disporre non solo di alcune informazioni corrette, ma di tutte le informazioni pertinenti al problema. Ma nel mondo reale, la realtà non ci è mai completamente nota; di conseguenza, non possediamo mai la totalità delle informazioni necessarie per descrivere una situazione reale. Questa è una verità spesso ignorata e terribilmente controintuitiva: un ragionamento corretto applicato a informazioni corrette ma incomplete può portare a una conclusione falsa, e questo ha spesso indotto coloro che avevano la responsabilità di prendere delle decisioni a commettere errori gravissimi.

Un aneddoto vero e tragico illustrerà questa sorprendente realtà.

Negli anni ’50, i raccolti di grano in Cina furono molto scarsi. I consiglieri responsabili del settore agricolo informarono Mao Tse-Tung che i passeri mangiavano una buona parte dei semi seminati, il che era vero. Mao fece il ragionamento corretto che, se si uccidevano gli uccelli, quella parte dei semi non sarebbe più stata mangiata da loro, il che era esatto, e quindi i raccolti sarebbero aumentati, il che si rivelò falso. La decisione di eliminare i passeri fu attuata nel 1958, durante il «Grande balzo in avanti», senza sperimentazioni preliminari, immediatamente e ovunque nel paese. Ne risultò una grande carestia che causò milioni di morti. In realtà, un’informazione pertinente al problema era sfuggita a Mao e ai suoi consiglieri: sebbene gli uccelli mangino effettivamente una parte dei semi, divorano anche i vermi e gli insetti che, mangiando e distruggendo i raccolti, provocano danni ben più gravi. Come si vede in questa storia, un solo dato non considerato ha portato a un risultato esattamente opposto a quello che il ragionamento iniziale lasciava sperare.

Le prove relative che caratterizzano l’ambito empirico non conducono quindi necessariamente all’adesione di tutti; per questo è auspicabile fornire più prove per stabilire un’affermazione o una tesi.

Secondo Karl Popper, «nelle scienze empiriche, che sole possono fornire informazioni sul mondo in cui viviamo, le prove non esistono, se per “prova” intendiamo un fatto che stabilisce una volta per tutte la verità di una teoria» [1].

Le prove relative del dominio empirico

Nel dominio empirico, l’approccio dello scienziato deve essere il seguente: osserva l’universo, o un fenomeno particolare, e propone una tesi (o teoria) per spiegarlo. Cerca poi le implicazioni di questa teoria.

Se questa teoria non ha implicazioni osservabili nel mondo reale, non è scientifica e rimane una pura ipotesi. Secondo Karl Popper, affinché una teoria possa essere considerata scientifica, deve essere falsificabile, cioè deve avere implicazioni che possono essere contraddette dall’osservazione del mondo reale. (Nota che, alla luce di questa misura, le teorie dei multiversi non sarebbero teoricamente scientifiche, poiché non hanno implicazioni osservabili nel mondo reale).

Se la teoria ha delle implicazioni, queste verranno confrontate con ciò che può essere osservato nel mondo reale. Se le implicazioni della teoria sono in contraddizione con l’osservazione del reale, allora la teoria è falsa. Se le implicazioni sono conformi all’osservazione, ogni implicazione verificata costituendo una prova, si potrà concludere che la sua teoria è probabilmente vera (ma non di più).

Più alto è il numero di implicazioni verificate, maggiore è la convinzione che la tesi sia corretta, ma rimarrà sempre un salto intellettuale da fare, un giudizio da esprimere.

Osserviamo che l’approccio è lo stesso nel campo della giustizia. Il pubblico ministero presenta alla giuria un insieme di prove della colpevolezza dell’imputato. Ma, per quanto queste prove possano sembrare solide, non possono mai condurre a delle conclusioni certe, poiché alcune di esse potrebbero essere state abilmente manipolate; per questo motivo la giuria deve sempre, alla fine, esprimere un giudizio.

Per comprendere bene la relatività delle prove nell’ambito empirico, si deve notare che possono anche esistere prove contrarie. La teoria della gravità di Newton illustrerà questa sorprendente realtà. Fin dall’inizio, diverse prove vere hanno confermato la teoria di Newton, in primo luogo la spiegazione del carattere ellittico dell’orbita della luna, poi, in modo molto spettacolare, il ritorno della cometa di Halley. Queste due prove erano giuste e lo sono ancora.

Tuttavia, più tardi, nel 1919, l’esperimento dell’eclisse solare condotto da Eddington a Sundy, sull’isola di Príncipe, ha fornito la prova che la teoria di Newton non era corretta e che doveva essere sostituita da quella di Einstein.

Tutto ciò consente di comprendere bene la natura e la portata delle prove relative. Il lettore comprenderà quindi che l’obiettivo del nostro libro non può essere di dimostrare l’esistenza di un dio creatore, ma solo di fornire prove relative. Tuttavia, quando le prove relative sono numerose, convergenti e indipendenti, esse permettono all’osservatore di raggiungere una convinzione al di là di ogni ragionevole dubbio.

Quali sono le implicazioni derivanti dall’esistenza o dall’inesistenza di Dio?

Nell’ambito del reale, l’accertamento della verità di una tesi dipende quindi prima di tutto dall’analisi delle sue implicazioni e dal risultato del loro confronto con il mondo reale [2].

Se si considera la tesi dell’esistenza di un dio creatore, ci si accorge che non ha implicazioni utilizzabili.

Ma se si guarda alla tesi della non esistenza di Dio, ci si rende conto che ne ha molte (tutto ciò è spiegato nel capitolo 3 del nostro libro). Ora, per il nostro caso, questo è perfettamente sufficiente, poiché se la tesi dell’inesistenza di Dio può essere dimostrata falsa, ciò dimostra che la tesi opposta, quella della sua esistenza, è vera!

Citiamo le prime tre implicazioni di carattere scientifico della teoria della non esistenza di un dio creatore. Se Dio non esiste e l’Universo è costituito unicamente di tempo, spazio e materia, allora:

  1. L’Universo non può aver avuto un inizio assoluto.
  2. Non può neanche essere finemente regolato, in particolare affinché vi appaia la vita.
  3. La vita deve apparire tramite un processo spontaneo a partire dalla materia inanimata.

Queste implicazioni sono sempre esistite, ma era impossibile dirne qualcosa fino a tempi recenti. È per questo che siamo realmente all’alba di una rivoluzione, poiché le scoperte scientifiche moderne sono oggi in grado di dimostrare che queste tre implicazioni sono molto probabilmente incompatibili con la realtà osservabile, quindi false. Non entreremo qui nella presentazione di queste scoperte, poiché è l’oggetto del nostro libro.

La scienza può parlare dell’esistenza di Dio?

Sempre nel loro articolo, Hosni e Vulpiani affermano che la scienza non può dire nulla riguardo all’esistenza di Dio, poiché si tratta di ambiti separati senza reciproca comunicazione. Questa affermazione è, a nostro avviso, del tutto inesatta, sia per l’esistenza di implicazioni verificabili della tesi della non esistenza di Dio, sia perché molti scienziati e filosofi di spicco ritengono che la tesi dell’esistenza di Dio sia effettivamente una tesi scientifica.

È il caso di Richard Dawkins, grande scienziato e uno dei leader dell’ateismo contemporaneo, che nel suo bestseller Per farla finita con Dio afferma: «L’ipotesi di Dio è un’ipotesi scientifica sull’Universo, che deve essere analizzata con lo stesso scetticismo di qualsiasi altra» (p. 12); «O esiste, o non esiste. È una questione scientifica; forse un giorno conosceremo la risposta, e nel frattempo possiamo esprimere un giudizio molto forte sulla sua probabilità» (p. 56); «A differenza di Huxley, dirò che l’esistenza di Dio è un’ipotesi scientifica come un’altra. Anche se è difficile da testare in modo pratico, appartiene alla stessa categoria […] delle controversie sulle estinzioni del Permiano e del Cretaceo» (p. 58) [3].

Sono possibili dimostrazioni assolute dell’esistenza di Dio?

Alcuni lo pensano e si riferiscono alle prove filosofiche classiche di San Tommaso, che hanno i loro sostenitori, o a quelle del matematico Kurt Gödel, che ha proposto una dimostrazione matematica dell’esistenza di Dio. Questo approccio non fa certo l’unanimità, ma i ragionamenti corrispondenti non sono stati finora confutati. Il nostro libro menziona queste dimostrazioni perché esistono, ma dal nostro punto di vista è piuttosto la convergenza di tutti questi approcci a essere la cosa più convincente.

Prove scientifiche e teologia o religione

Hosni e Vulpiani scrivono anche che le prove scientifiche non si conciliano con la teologia e che abbiamo torto a mescolare le due cose. Ma si sbagliano anche su questo: noi non mescoliamo affatto, poiché non trattiamo né di teologia né di religione! Il nostro libro non è un libro di fede, religione o teologia. Ci interessa solo un’unica questione estremamente limitata ma molto importante: «Il nostro Universo è spiegabile senza l’esistenza di uno spirito creatore?» E per noi la scienza e la ragione contribuiscono entrambe a mostrare che oggi la risposta è chiaramente no!

Non è una questione di fede! La fede è un atto di adesione e di fiducia compiuto da una volontà libera, e questo supera di gran lunga la questione della conoscenza, che è l’unica cosa che ci interessa.

Due semplici esempi dimostreranno che fede e conoscenza dell’esistenza di Dio non sono collegate. Come primo esempio prendo il fatto che, come ogni francese, credo nell’esistenza di Macron anche se non l’ho mai incontrato; credo nella sua esistenza basandomi sulle testimonianze dirette e di ciò che mi dicono i media, ma non ho fede in lui! Il secondo esempio ci è offerto dal diavolo che crede nell’esistenza di Dio ma non ha fede in lui. La fede è adesione, non semplice credenza. La religione e la teologia si occupano di: chi è Dio? Cosa dice? Cosa vuole? Nessuna di queste domande è discussa nel nostro libro.

Per concludere, direi che l’argomento dell’esistenza di Dio è affascinante e interessa il pubblico più di quanto si creda spesso. È senza dubbio per questo che il nostro libro ha già venduto oltre 350.000 copie. Da parte nostra, siamo pronti e felici di continuare questo dibattito con Hykel Hosni e Angelo Vulpiani e con tutti coloro che lo desiderano.

[1] Karl Popper, La società aperta e i suoi nemici, Routledge, 2011, pp. 229-230.
[2] La teoria che la Terra è rotonda ha come implicazione molto semplice che, partendo in linea retta, si torna al proprio punto di partenza. È su questa implicazione che Cristoforo Colombo si è lanciato dalle Canarie per raggiungere le Indie.
[3] Richard Dawkins, Per farla finita con Dio, Robert Laffont, Parigi, 2008.

fonte: https://www.scienzainrete.it/articolo/non-possiamo-dimostrare-che-dio-esista-ma-abbiamo-qualche-prova/michel-yves-bollor%C3%A9-olivier

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