Farmaci psichedelici e salute mentale. di Lorenzo Casati, Ambra Chessa

Gli psichedelici (come LSD, Ecstasy e psilocibina), un tempo marginalizzati come parte della controcultura, ad oggi riescono solo parzialmente a liberarsi dallo stigma per ottenere un riconoscimento scientifico e commerciale. Il mondo accademico dovrà impegnarsi a fondo per sostituire la vecchia narrazione con una prospettiva terapeutica, che tuttavia presenta limiti e rischi.


Chi opera nel campo della salute mentale lo sa fin troppo bene: la domanda di interventi è elevatissima e i trattamenti attualmente disponibili sono spesso inefficaci. Per ricordarci delle necessità rimaste insoddisfatte nel panorama della salute mentale, basti pensare alla depressione, che da sola è stata identificata come la principale causa di disabilità a livello globale, uno dei maggiori oneri economici per tutti i sistemi sanitari (1). Ogni anno, la depressione è associata a circa 800.000 morti per suicidio (2). Nonostante i dati allarmanti, le terapie disponibili rimangono sostanzialmente invariate rispetto a quelle degli anni ’50, con circa il 30% dei pazienti che non risponde in modo adeguato o risulta resistente ai trattamenti somministrati.

Chi è alla ricerca di una iniezione di fiducia può rivolgere lo sguardo verso la finanza globale. Analizzare il movimento di venture capital e di investimenti effettuati dai grandi conglomerati potrebbe rappresentare per i pazienti psichiatrici una fonte di speranza tangibile.

A gennaio 2024, infatti, i progetti riguardanti l’impiego di farmaci psichedelici (come LSD, Ecstasy e psilocibina) hanno raggiunto il secondo picco più alto di raccolta fondi nella storia, il più elevato dopo quello di marzo 2021, secondo quanto riportato dal Financial Times (3) (Figura 1)

Figura 1. Andamento del numero delle operazioni completate e del loro valore (in milioni di dollari) nel settore degli investimenti sugli psichedelici dal 2019 a gennaio 2024 (3) https://www.ft.com/content/4a2e856c-4736-4b8b-9323-583bb1dbe8f4

I dati scientifici promettenti e gli atteggiamenti favorevoli dei regolatori hanno attirato investitori di alto profilo: i fondi di investimento Temasek di Singapore e Mubadala di Abu Dhabi, giganti della finanza, stanno intrattenendo dialoghi con stakeholders delle biotecnologie per sviluppare trattamenti e cliniche nel settore degli psichedelici per la salute mentale (3). Anche l’Unione Europea ha finanziato il suo primo studio sugli psichedelici, investendo 6,5 milioni di euro lo scorso gennaio nel “Psypal Study“, volto all’esame dell’uso della psilocibina nel trattamento del disagio psicologico in malati terminali.

All’interno di questo clima di ottimismo clinico e fervore finanziario si celano sfide che potrebbero ostacolare o addirittura fermare la “rivoluzione psichedelica“. Il rischio di creare una bolla speculativa è reale, e la sua esplosione comporterebbe non solo danni economici, ma anche una disillusione scientifica e conseguenze negative per i pazienti. I nostri timori sono alimentati anche dall’esperienza personale di Lorenzo, medico specializzando in psichiatria a Milano, che nell’inverno scorso si trovava a New York. Qui lavorava in una rinomata clinica psichiatrica di Midtown, Manhattan, durante un periodo di intensa attività causata del recente coinvolgimento della struttura in uno dei più ampi studi sugli psichedelici mai condotti. L’imponente campagna pubblicitaria orchestrata dai professionisti della clinica e dallo sponsor attirava interesse da ogni angolo degli Stati Uniti. Nonostante i risultati preliminari promettenti, dopo tre mesi, molti candidati allo studio si ritiravano una volta compresa l’entità dell’impegno richiesto.

Lorenzo ricorda a riguardo un episodio. Alla fine di una lunga giornata di lavoro, stava discutendo queste difficoltà con Jeff, un paziente di lunga data e l’ultimo rimasto in clinica. Gli spiegava che il composto studiato era la psilocibina, da somministrare a pazienti con depressione resistente agli altri trattamenti abituali. E Jeff, con un sorriso compiaciuto, rispondeva: “Perché tutto questo impegno? Se volete psilocibina, basta chiedere a Richie all’angolo tra la 21esima e la 2a strada; vi procurerà tutto il ‘chocolate’ che desiderate”. Il commento sarcastico del paziente, che sorprende solo in parte, riflette l’atteggiamento disinvolto con cui queste sostanze sono state trattate fin dagli anni ’60. Gli psichedelici, un tempo marginalizzati come parte della controcultura, ad oggi riescono solo parzialmente a liberarsi dallo stigma per ottenere un riconoscimento scientifico e commerciale. Il mondo accademico dovrà impegnarsi a fondo per sostituire la vecchia narrazione con una prospettiva terapeutica. Sarà necessario uno sforzo significativo per affrontare sia la diffidenza di coloro che percepiscono queste sostanze come una minaccia, sia l’interesse di chi le cerca per il loro effetto stupefacente.

L’esperienza di Lorenzo rivela anche un’altra realtà innegabile: non tutti i pazienti idonei per uno studio possono impegnarsi in una serie di visite serrate distribuite su 12 mesi, con una fase iniziale che richiede una presenza settimanale per una media di 5 ore a visita. Questo si applica in modo particolare a chi soffre di depressione resistente, una condizione ulteriormente aggravata da circostanze di vita svantaggiate e da lavori precari che rendono difficile potersi assentare per seguire i protocolli. Queste categorie di pazienti, spesso afroamericani e ispanici, sono le stesse nelle quali l’efficacia dei farmaci psichedelici è risultata inferiore negli studi, tanto che è stato coniato l’acronimo MDPR (4) ovvero “Minorities’ Diminished Psychedelics Returns“, per descrivere il minor beneficio riscontrato nelle minoranze etniche dall’uso di questi farmaci. Questa teoria sostiene che il razzismo, la sfiducia nel sistema sanitario, le disuguaglianze socioeconomiche e i problemi di integrazione influenzino negativamente l’efficacia dei farmaci psichedelici. Tali diseguaglianze strutturali possono limitare l’accesso alle risorse e aumentare il rischio di stress o traumi dopo l’uso di psichedelici, compromettendone, di fatto, l’efficacia terapeutica in determinati pazienti.

La complessità persiste anche quando si analizza chi, invece, partecipa ai trial clinici. Utilizzare questi trattamenti come terza linea terapeutica significa selezionare pazienti con patologie gravi, quali la depressione resistente o il PTSD (sindrome da stress post traumatico) complesso. Questi soggetti, spesso influenzati da fattori che ostacolano la completa guarigione, sono suscettibili di frequenti ricadute scatenate da stress giornalieri o relazionali. Di conseguenza, gli studi di efficacia su questi gruppi possono produrre risultati distorti, compromettendo o portando a sottovalutare il vero potenziale di molecole promettenti. In definitiva, la tanto attesa trasformazione che promette di migliorare il trattamento di disturbi mentali cronici come PTSD, depressione e dipendenze rischia di non realizzarsi pienamente se i processi finanziari, regolatori e accademici non verranno gestiti in modo che le informazioni siano ponderate e regolamentate per essere comprensibili e fruibili da tutti.

Ulteriore aspetto soggetto al rischio di venire sottovalutato è l’importanza della psicoterapia. Gli psichedelici possono essere di per sé potenti catalizzatori del processo di guarigione, ma non bastano. La loro efficacia è intrinsecamente legata all’abbinamento con un supporto psicoterapeutico continuativo. La terapia psichedelica prevede che, dopo l’assunzione del farmaco, il paziente passi diverse ore sotto la supervisione di un terapeuta in un ambiente sicuro e empatico, fondamentale per facilitare l’esplorazione di sentimenti e traumi profondi. Senza questa assistenza, che include fasi di preparazione e integrazione, i benefici degli psichedelici potrebbero essere limitati e i pazienti esposti a rischi.

All’Ospedale Universitario di Ginevra, in Svizzera, questo approccio è già una realtà consolidata chiamata Psychothérapie Assistée par Psychédélique (PAP). La somministrazione controllata di psichedelici integra strettamente le sedute di psicoterapia. Dopo ogni sessione, il paziente partecipa a incontri di follow-up con il team medico, durante i quali vengono discussi i risultati e le esperienze vissute. Questi incontri aiutano a collegare le esperienze psichedeliche agli obiettivi terapeutici stabiliti, garantendo che il trattamento sia efficace e mirato.

Ci si chiede quali potrebbero essere gli scenari futuri se queste molecole venissero approvate e adottate su larga scala in Italia, considerando che nel nostro paese la psicoterapia non è rimborsata dal sistema sanitario. Allo stato attuale, queste terapie potrebbero essere utilizzate solo in ambiti di ricerca e su un numero limitato di pazienti, con un notevole rallentamento nel loro impiego. Per evitare l’esclusione di molti dai benefici del progresso scientifico, sarebbe auspicabile inserire la psicoterapia individuale nei livelli essenziali di assistenza, facilitando così l’accesso a questi trattamenti.


Lorenzo Casati,  Medico Specializzando – Ospedale L. Sacco Milano, Università degli studi di Milano

Ambra Chessa, Medico Specializzando – Ospedali Universitari di Ginevra, Columbia University New York City


Riferimenti

  1. WHO. https://www.who.int/news/item/30-03-2017–depression-let-s-talk-says-who-as-depression-tops-list-of-causes-of-ill-health#:~:text=Depression%20is%20the%20leading%20cause,18%25%20between%202005%20and%202015.
  2. WHO. https://www.who.int/india/health-topics/depression
  3. https://www.ft.com/content/4a2e856c-4736-4b8b-9323-583bb1dbe8f4.
  4. https://link.springer.com/article/10.1007/s40615-024-02023-y#:~:text=Growing%20evidence%20suggests%20that%20the,the%20smaller%20health%20gains%20observed.

fonte: https://www.saluteinternazionale.info/2024/09/farmaci-psichedelici-e-salute-mentale/

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