Contro ogni evidenza, si accomuna la canapa light alla droga, minacciando un intero settore.
La realtà supera la fantasia. Il 18 settembre la Camera dei deputati ha approvato il disegno di legge 1660 dedicato alla sicurezza pubblica e all’Ordinamento penitenziario. Ora toccherà al Senato decidere se proseguire sulla strada del parossismo penale.
La norma che raggiunge la vetta dell’assurdo è però quella che vieta l’utilizzo delle infiorescenze della canapa con un livello di Thc, il principio attivo psicotropo della sostanza, dello 0,2%, cioè senza capacità drogante, normate dalla legge 242 del 2016, approvata all’unanimità del Parlamento per incrementare la filiera nazionale della canapa; equiparandole alla canapa con un diverso livello di Thc, punita dal Dpr 309/90 per le condotte di produzione e vendita con una pena da due a sei anni di carcere. L’emendamento è stato presentato dal governo e sicuramente è stato concepito da Alfredo Mantovano, il potente sottosegretario alla Presidenza del governo Meloni. Le incombenze della gestione del potere non gli impediscono di coltivare l’ossessione della droga e di sostenere le tesi del proibizionismo ideologico più manipolatorie e infondate. Mantovano è persona intelligente e se decide di ribattezzare il classico canapone italiano, oggi chiamato canapa light, in canapa stupefacente contro l’evidenza scientifica ci deve essere un motivo assai forte per andare contro anche un’usanza di epoca fascista.
Infatti, il 19 giugno del 1935 il ministro dell’Agricoltura Rossoni inaugurava la Mostra nazionale della Canapa a Roma e il servizio dell’Istituto Luce è addirittura seducente nella esaltazione di una fibra vegetale italica trasformata in tanti prodotti utili dal genio degli artigiani.
La canapa tessile fa paura perché ha avuto successo; tremila aziende fondate da giovani imprenditori che occupano tredicimila lavoratrici e lavoratori e soprattutto la presenza nelle città di centinaia di negozi con l’immagine della foglia dell’erba diabolica sono la dimostrazione plastica che la crociata moralistica è stata sconfitta.
Allora si fa di tutte le erbe un fascio, senza distinguere e senza rispettare le differenze.
Si è addirittura fatto scendere in campo il ministro della Salute Schillaci contro un altro principio attivo della canapa non psicoattivo, il cannabidiolo (Cbd), con pareri davvero stupefacenti dell’Istituto superiore di Sanità e del Consiglio superiore di Sanità, che trascurano le indicazioni dell’Oms: battaglia di esito incerto per l’annullamento del decreto da parte del Tar del Lazio. Per sostenere l’emendamento, il governo ha richiamato una brutta sentenza delle sezioni unite della Cassazione (n. 30475 del 2019, Presidente Carcano, estensore Montagni), trascurando il fatto che per salvare la dignità giuridica la sentenza era costretta a dichiarare che il Dpr 309/90 non è applicabile se i derivati della coltivazione di canapa «siano, in concreto, privi di ogni drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività».
«La droga è droga» è il tormentone di Mantovano. Era riuscito a imporlo con la Fini- Giovanardi, ma la Corte Costituzione eliminò quell’obbrobrio. Ora l’idea di punire cose diverse torna trasformando la carne in pesce. Non importa se falliranno aziende e tanti giovani perderanno il lavoro. La morale sarà salva. Peccato, magari le belle lenzuola di canapa potrebbero favorire la natalità.
fonte: L’Espresso