Donne migranti a Milano e COVID-19. di Monica Trentin, Elena Rubini, Giulia Facci, Luca Ragazzoni, Martina Valente, Francesco Della Corte

L’impatto della pandemia da COVID-19 sulle donne migranti è attribuibile alle disuguaglianze sistemiche (sessismo, razzismo, classismo). Nella grande maggioranza dei casi le donne migranti hanno subito un grave peggioramento della situazione economia in quanto erano impiegate in lavori informali come badanti, addette alle pulizie, baby-sitter o cameriere al piano,  settori duramente colpiti dalle restrizioni legate al COVID. Molte donne migranti si sono ritrovate improvvisamente senza reddito, mentre altre hanno subìto una drastica riduzione delle ore lavorative.


Nell’ambito del progetto “Being a migrant woman during disasters”, finanziato dalla Fondazione Cariplo, è stato pubblicato sull’International Journal of Disaster Risk Reduction uno studio che indaga la prospettiva di diversi key informants sull’impatto della pandemia COVID-19 nelle donne migranti a Milano, di cui si propone di seguito una breve sintesi. La premessa di questo studio e dell’intero progetto è che in contesti di disastro i migranti e le donne sono tra i gruppi più vulnerabili, come ha dimostrato anche la pandemia da COVID-19 (1). Adottando  una lente intersezionale (2) che consideri i fattori di vulnerabilità derivanti sia dall’essere migrante, che donna, è possibile dedurre che le donne migranti abbiano un rischio ancora maggiore di subire impatti negativi in contesto di disastro. Tuttavia, le specifiche esperienze delle donne migranti durante i disastri sono meno frequentemente esplorate dalla letteratura scientifica, anche a livello italiano, come messo in evidenza da un articolo precedentemente pubblicato dal nostro gruppo di ricerca (3). Questo progetto ha l’obiettivo di colmare questa lacuna, esplorando l’impatto della pandemia COVID-19 sulle donne migranti a Milano attraverso diversi studi, sia di natura qualitativa, che quantitativa.

Nello studio appena pubblicato, abbiamo indagato la prospettiva di alcuni key informants (KIs) – “Informatori chiave” (vedi nota) – conducendo interviste semi-strutturate. In totale, abbiamo intervistato 28 KIs che hanno lavorato durante la pandemia in 7 organizzazioni, 4 del terzo settore (Caritas Ambrosiana, EMERGENCY ONG, DARE ONG, Fondazione Progetto Arca) e 3 ospedali pubblici (Clinica Mangiagalli, Ospedale Macedonio Melloni, Ospedale Luigi Sacco). I ruoli dei partecipanti sono molto diversificati e includono educatori, mediatori culturali, personale medico e infermieristico, psicologi, assistenti sociali.

In primo luogo, gli intervistati hanno avuto modo di riferire come la sospensione di alcuni servizi tipicamente erogati dalle loro organizzazioni (es. amministrativi, sanitari, sociali) abbia avuto ripercussioni negative sulle donne migranti. Molti hanno evidenziato come le donne migranti siano diventatale ulteriormente “invisibili” a causa della sospensione delle attività di outreach durante la pandemia: i professionisti che visitavano le donne migranti presso il loro domicilio non potevano più notare e intervenire in casi di sospetta violenza domestica, e le vittime di tratta sessuale e sex workers non potevano essere intercettate dalle unità di strada delle ONG. Durante la pandemia, garantire la mediazione linguistica e culturale in presenza e per telefono presso il Soccorso Violenza Sessuale e Domestica (SVSeD) della Clinica Mangiagalli – le quali dovevano essere programmate – è diventato impossibile in quanto le richieste di aiuto da parte delle donne avvenivano nel breve intervallo in cui i loro aggressori non erano a casa.

Gli intervistati hanno ampiamente riportato un grave peggioramento della situazione economia delle donne migranti a causa della pandemia, in quanto erano, nella maggior parte dei casi, impiegate in lavori informali come badanti, addette alle pulizie, baby-sitter o cameriere al piano,  settori duramente colpiti dalle restrizioni legate al COVID. Molte donne migranti si sono ritrovate improvvisamente senza reddito, mentre altre hanno subìto una drastica riduzione delle ore lavorative. Le badanti hanno spesso perso il lavoro perché gli anziani a cui prestavano assistenza sono deceduti, sono stati trasferiti in case di cura, o hanno preferito evitare i contatti per paura di contrarre il virus. Le sex workers hanno spesso cercato assistenza da parte di alcuni dei loro clienti, in alcuni casi indebitandosi. La perdita del lavoro o la riduzione del reddito ha spesso impedito alle donne migranti di inviare rimesse alle proprie famiglie nei paesi d’origine, causando loro un profondo senso di impotenza e frustrazione.

La pandemia ha avuto ripercussioni sulla salute mentale di molte donne migranti, principalmente a causa della perdita del lavoro e della costante paura di contrarre il virus e subire licenziamenti. Alcune sex workers hanno esperito ansia e angoscia poichè hanno deciso di abbandonare la prostituzione durante la pandemia, ma hanno poi realizzato di non avere altre opzioni disponibili. Le donne migranti erano profondamente preoccupate per il rischio che i loro familiari all’estero potessero contrarre il COVID-19, sapendo inoltre di non poterli raggiungere in caso di necessità a causa delle restrizioni sugli spostamenti, che talvolta hanno anche impedito loro di essere presenti ai funerali delle persone care. La chiusura degli uffici amministrativi ha creato incertezze sul futuro, ostacolando il processo di regolarizzazione delle donne migranti e suscitando timori a causa della loro presenza irregolare nel paese. I casi di depressione post-partum tra le donne migranti sembrano essere aumentati. Allo stesso tempo, alcuni intervistati hanno rivelato che molte donne migranti consideravano la pandemia da COVID-19 come “uno dei tanti  problemi” da affrontare.

Le interazioni con l’amministrazione pubblica, già difficili a causa delle barriere linguistiche, sono diventate ancor più complesse. E’ stato riferito che le donne migranti proveniente dall’Est Europa che non hanno diritto al sistema sanitario nazionale si affidavano ai contatti con persone nei loro paesi d’origine per ricevere farmaci, cosa diventata impraticabile durante la pandemia.

I KIs hanno rivelato che le condizioni abitative delle donne migranti rendevano impossibile l’adozione delle misure di distanziamento sociale per loro e le proprie famiglie, poiché spesso vivevano in appartamenti piccoli e sovraffollati, specialmente nelle case popolari. Le badanti hanno spesso trascurato le proprie esigenze di salute o perché non volevano assentarsi dal lavoro in quanto temevano di perdere il lavoro, o perché i loro datori di lavoro non glielo permettevano perchè avevano paura “portassero il virus a casa”. Lo stato di salute delle donne migranti è stato probabilmente influenzato dalla quasi completa sospensione dei servizi di screening e prevenzione. Anche la chiusura dei consultori familiari, dove le donne migranti erano solite ricevere assistenza durante la gravidanza, ha causato notevoli difficoltà. Sono emersi problemi anche per le donne migranti transgender HIV+ che durante il lockdown vivevano in un’area diversa da quella dove ricevevano cure e non potevano più seguire la terapia antiretrovirale. Durante la pandemia, l’accesso ai servizi di interruzione volontaria di gravidanza è diventato ancora più complicato e anche le richieste di informazioni su questi servizi o sui metodi contraccettivi, che avvenivano spesso di nascosto, sono diminuite. Rinnovare la tessera sanitaria è diventato estremamente difficile, e anche quando le donne migranti avevano un medico di medicina generale, contattarlo era spesso arduo. Alcuni operatori sanitari che lavorano presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale Sacco hanno rivelato che, nonostante vedessero mediamente poche donne migranti, ne hanno viste ancora meno durante la pandemia. Un altro problema principale affrontato dai migranti, incluse le donne, riguarda l’accesso alla vaccinazione contro il COVID-19: nonostante fosse dichiarato che ogni persona presente sul territorio in Italia, a prescindere dallo status legale, avrebbe dovuto avere accesso alla campagna di vaccinazione, i migranti dovevano inserire sulle piattaforme di prenotazione informazioni specifiche che talvolta non possedevano.

Gli intervistati hanno riportato un aumento degli episodi di violenza di genere, specialmente domestica e istituzionale, nei confronti delle donne migranti. Talvolta, queste donne hanno subìto violenze quando non potevano pagare l’affitto, venendo minacciate e costrette a rapporti sessuali.

In conclusione, ecco alcuni risultati chiave del nostro studio:

  • L’impatto della pandemia da COVID-19 sulle donne migranti è attribuibile alle disuguaglianze sistemiche (sessismo, razzismo, classismo). Di conseguenza, il COVID-19 ha una natura sindemica, indicando che le strategie per combattere la pandemia che si concentrano solo sui fattori biologici (il virus) trascurando le disuguaglianze sociali ed economiche saranno inefficaci (4).
  • Sebbene molte delle problematiche delineate possano essere generalizzabili a tutta la popolazione migrante o a quella delle donne, abbiamo identificato delle vulnerabilità specifiche delle donne migranti. Ad esempio, a causa del loro status migratorio, le donne migranti sono spesso impiegate in posizioni a bassa qualifica caratterizzate da condizioni lavorative informali, precarie e insicure. Al contempo, in quanto donne, sono principalmente dirette verso un numero limitato di settori, in particolare quello domestico. Questo alimenta un terzo fattore di vulnerabilità, relativo alla precarietà socioeconomica.
  • Sebbene i professionisti del SVSeD abbiano notato una diminuzione degli accessi e dei contatti telefonici al numero verde 1522, i dati raccolti sia dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) (5) che dalla Rete Nazionale delle Donne contro la Violenza (D.i.Re.) (6) suggeriscono un trend diverso. Tuttavia, è importante notare che i dati ISTAT rivelano che il 72% delle donne che hanno intrapreso un percorso per uscire dalla violenza nel 2020 sono italiane, confermando forse l’ulteriore marginalizzazione vissuta dalle donne migranti durante la pandemia.
  • Tra i sottogruppi più colpiti dalla pandemia, secondo i risultati del nostro studio, vi sono le badanti e le sex workers, comprese quelle transgender.
  • Molte strategie attuate dalle istituzioni locali e nazionali per sostenere i cittadini contro il COVID-19 si sono rivelate discriminatorie verso alcuni segmenti della popolazione, come i migranti (e.g., campagna vaccinale, distribuzione dei buoni alimentari). La pandemia ha evidenziato che le iniziative a supporto dei lavoratori precari, spesso migranti, dovrebbero essere intraprese in tempi ordinari anziché tramite sforzi non coordinati durante o dopo un’emergenza.
  • Le organizzazioni del terzo settore si sono dimostrate estremamente resilienti, trovando numerose alternative per supportare le donne migranti nonostante gli ostacoli derivanti dalla pandemia. Tuttavia, l’esigenza di creare una rete più fitta e coordinata tra le varie organizzazioni del territorio è stata espressa da molti intervistati.
  • Durante la pandemia, le organizzazioni del terzo settore hanno colmato numerosi gap istituzionali, spesso sostituendosi allo Stato, nonostante la loro missione dovrebbe essere quella di fare da ponte tra le comunità più vulnerabili e lo Stato.

Per un quadro più completo, si rimanda all’articolo originale.


Autrici e autori: Monica Trentin a b, Elena Rubini a, Giulia Facci a b, Luca Ragazzoni a c, Martina Valente a c 1, Francesco Della Corte a b 1

CRIMEDIM – Center for Research and Training in Disaster Medicine, Humanitarian Aid and Global Health, Università Del Piemonte Orientale, 28100, Novara, Italy

Department of Translational Medicine, Università Del Piemonte Orientale, 28100, Novara, Italy

Department for Sustainable Development and Ecological Transition, Università Del Piemonte Orientale, 13100, Vercelli, Italy


Nota: Le interviste con informatori chiave sono interviste qualitative approfondite con persone che sanno cosa sta succedendo nella comunità. Lo scopo delle interviste con informatori chiave è raccogliere informazioni da un’ampia gamma di persone, tra cui leader della comunità, professionisti o residenti, che hanno una conoscenza diretta della comunità. Questi esperti della comunità, con la loro particolare conoscenza e comprensione, possono fornire informazioni sulla natura dei problemi e dare raccomandazioni per le soluzioni.


Bibliografia

  1. Health Emergency and Disaster Risk Management Framework.Geneva: World Health Organization; 2019.
  2. K. Crenshaw, Demarginalizing the intersection of race and sex: a Black feminist critique of antidiscrimination doctrine Feminist Theory and Antiracist Politics, 1 (1989). University of Chicago Legal Forum
  3. Trentin, M., Rubini, E., Bahattab, A. et al. Vulnerability of migrant women during disasters: a scoping review of the literature. Int J Equity Health 22, 135 (2023). https://doi.org/10.1186/s12939-023-01951-1
  4. R. Horton. Offline: COVID-19 is not a pandemic. Lancet, 396 (10255) (2020 Sep), p. 874
  5. ISTAT [Internet]. L’effetto della pandemia sulla violenza di genere – anni 2020-2021 (2021). Available from: https://www.istat.it/it/archivio/263847
  6. R. Lundin, B. Armocida, P. Sdao, S. Pisanu, I. Mariani, A. Veltri, et al. Gender-based violence during the COVID-19 pandemic response in Italy. Journal of Global Health, 10 (2) (2020 Dec), Article 020359
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