Bambini in carcere: nemmeno il fascismo osò tanto. di Annachiara Valle

Invece che prevedere che nessun bambino possa mai finire dietro le sbarre, la maggioranza rende più facile che madre e piccolo (anche quello non ancora nato) finiscano in galera. Con buona pace di pedagogisti e democrazia. Più duri persino dell’articolo 146 del Codice Rocco, approvato sotto il fascismo. I parlamentari di maggioranza non hanno avuto esitazione, nell’introdurre 24 nuovi reati e aggravanti, a premere sull’acceleratore della sicurezza, nemmeno fossimo in uno stato d’emergenza, e a sancire che sì, in Italia si può anche nascere in carcere o esservi detenuti fin dai primissimi mesi di vita. E così se nel 1930 si pensava al “superiore interesse del minore” stabilendo che “esecuzione della pena è differita in primis se deve avere luogo nei confronti di donna incinta; in secondo luogo se deve avere luogo nei confronti di madre di infante di età inferiore a 1 anno”, nel 2024 si rende questa norma “facoltativa”.

Invece che occuparsi di costruire case famiglie e mettere in condizioni le donne di non far scontare i propri errori ai bambini, le si rinchiude dietro le sbarre per compiacere la pancia di chi pensa che, per chi sbaglia, si debba agire solo “mettendo le persone in carcere e buttando la chiave”. Le norme approvate alla Camera sono un grave passo indietro per la nostra democrazia. In un Paese dove, statistiche alla mano, le recidive calano drasticamente quando vengono comminate misure alternative al carcere e dove i reati sono in diminuzione laddove funzionano meglio servizi sociali, scuole e progetti educativi, si pensa invece di “far cassa” e acchiappare voti premendo sul tasto della paura.

E se la maggioranza si difende dichiarando che il giudice potrà sempre affidare le donne incinte o con figli piccolissimi agli Icam (istituti a custodia attenuata) la minoranza fa notare che questi sono solo cinque in tutto il Paese (Milano San Vittore, Venezia alla Giudecca, Senorbì in provincia di Cagliari, Lauro in provincia di Avellino e Torino “Lorusso-Cotugno”) e, dunque, in realtà, non ci sarà alcuna facoltà per il giudice di non spedire in carcere le donne incinte o madri di figli piccoli. E così, come cantava Daniele Silvestri, anche per i bambini si aprono le sbarre: “Nessun reato commesso là, fuori. Fui condannato ben prima di nascere”. O come intonava, sempre a Sanremo La Zero: “Mi chiamo Nina e gioco in tribunale. Con quello che passa il circondariale. La mamma si veste ogni giorno uguale. E piange se chiedo com’è fatto il mare”.

A nulla sono valsi gli appelli di psicologi e pediatri che hanno spiegato come sia deleterio passare i primi mesi e anni di vita in un luogo dove non arriva la luce del sole, dove non si possono fare passeggiate all’aperto, dove colori, odori, suoni non sono quelli della vita reale. Senza considerare, spiegano gli addetti ai lavori, che, poi, raggiunta l’età della ragione, può svilupparsi, anche inconsciamente, un odio nei confronti del genitore che, con i suoi errori, ha costretto il piccolo ad anni di galera.

Ma nulla frena il populismo giustizialista che spinge, negli stessi provvedimenti, anche a incrementare le pene se il reato viene commesso in stazione, sul metro o in autobus, come se uno stupro consumato vicino ai binari sia più grave rispetto all’identico scempio compiuto cento metri più in là. Ma con il “panpenalismo” la coscienza viene messa a tacere, il popolo plaude, ma, come insegnano gli Stati più severi, i crimini, invece che diminuire aumentano. Perché le ragioni vere alla base della delinquenza non vengono intaccate e i provvedimenti giusti per risolvere i problemi non varcano le aule parlamentari.

fonte: Famiglia Cristiana su Ristretti Orizzonti

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