Grazia Zuffa scrive sulle norme per le donne incinte inserite nel ddl sicurezza per la rubrica di Fuoriluogo su il manifesto
Lo scandalo dei “bambini dietro le sbarre” è argomento di dibattito almeno da un quarto di secolo. Quando nel 2001 fu approvata la legge Finocchiaro (“Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto fra detenute e figli minori”), i bambini in carcere con meno di tre anni erano 83, il picco più alto, e le madri detenute erano 79. Sebbene i numeri siano andati scemando, quella legge mirata non ha risolto del tutto il problema. E neppure ci è riuscita la successiva legge 62 del 2011, che si è limitata a introdurre istituti di detenzione specifici, gli Icam. Si potrebbe discutere se sia meglio insistere sulla via di leggi mirate, oppure se cambiare prospettiva e vedere i bambini imprigionati come la punta di iceberg di un altro scandalo, quello del carcere come discarica sociale, per trovare un’altra risposta. La detenzione delle donne – in larghissima maggioranza autrici di reati minori non violenti – è parte significativa della “detenzione sociale”: persone che non dovrebbero essere punite con la reclusione. La prigione delle donne potrebbe essere un volano di riforma, se si decidesse di partire da lì per svuotare il carcere verso misure alternative nella comunità territoriale, più congrue con un’idea di pena orientata alla reintegrazione sociale. Vedrebbe così la fine anche la vergogna dei bambini reclusi.
Oggi, grazie alla destra di governo, lo scandalo rischia di aggravarsi: il Ddl “sicurezza”, che sarà votato dalla Camera in queste ore, rende possibile che i bambini nascano in carcere. Il provvedimento elimina il rinvio obbligatorio della pena per le donne incinte: la donna deve perciò richiederlo e la sua domanda potrà essere respinta laddove si ritenga che possa commettere ulteriori reati. In parole povere: le supposte colpe delle madri hanno a ricadere sui figli, che saranno defraudati del diritto – di tutti e tutte- a nascere in libertà. Siamo perfino oltre il codice Rocco: prova della furia ideologica punitiva contro le donne che hanno commesso reati, del disprezzo dei diritti fondamentali, della volontà di calpestare il principio di uguaglianza. Il sessismo bene si sposa col razzismo. In parlamento la maggioranza non si è fatta scrupolo di nascondere che la norma è stata ritagliata sulle donne Rom. Io stessa ho ascoltato una parlamentare sostenere che tenere le donne Rom in carcere serve a salvarle dagli abusi che subiscono nei campi. La filosofia del “salvare chi non vuole essere salvato/a a costo di rinchiuderlo/a” è sinistramente ben nota: fa una certa impressione sentirla risuonare nelle aule delle istituzioni.
Non è la prima volta che la destra si accanisce contro le madri detenute: nel 2023, nel corso di una discussione alla Camera finalizzata di nuovo ad eliminare il suddetto scandalo dei “bambini dietro le sbarre”, esponenti della maggioranza non trovarono di meglio che bloccare l’iniziativa, rilanciando la proposta di togliere la potestà genitoriale (da loro nominata “patria potestà”, con un significativo tuffo nel passato) alle donne condannate con sentenza definitiva. Oggi come ieri, dietro l’aggressione alle donne e ai loro diritti, si intravede il più vieto immaginario patriarcale. Nel 2023, vi fu una reazione forte di ribellione all’attacco, con la campagna Madri Fuori: dallo stigma e dal carcere, con i loro bambini e bambine. Molte associazioni, volontarie/i del carcere, garanti dei detenuti, donne delle istituzioni aderirono alla campagna e visitarono le detenute, per portare loro solidarietà. Oggi, in vista della votazione alla Camera del Ddl sicurezza, Madri Fuori è di nuovo in campo con un appello: No al carcere per le donne incinte: ogni bambino e ogni bambina hanno il diritto di nascere in libertà. Più di un centinaio di firme di associazioni e di singole/i cittadini è stato raccolto in pochi giorni. Chiediamo che ancora molte/i firmino, per bloccare una norma incivile.
L’appello è su www.societadellaragione.it. Inviare le adesioni a info@societadellaragione.it