Uno sguardo ai dati che coprono l’intervallo temporale dal 2011 al 2022 nei Paesi europei evidenzia come la spesa sanitaria pubblica pro-capite sia stata caratterizzata da una costante, seppur eterogenea, crescita nel tempo. Parallelamente, anche il settore privato ha registrato un’importante espansione; in molti Paesi, come Austria, Belgio e Portogallo, la spesa sanitaria privata pro-capite è aumentata di oltre il 50%. Questa tendenza è presente anche laddove la crescita del settore pubblico è stata più lenta come ad esempio in Grecia.
Esaminando più nel dettaglio la composizione della spesa sanitaria privata, essa si divide in due principali categorie: la spesa out-of- pocket e quella sostenuta per acquistare l’assicurazione sanitaria volontaria. La spesa out-of-pocket comprende tutte le spese mediche sostenute direttamente dai pazienti al momento della fruizione del servizio. Essa può rappresentare un significativo onere finanziario per le famiglie (WHO, 2023). La spesa per l’assicurazione sanitaria volontaria, invece, si riferisce ai premi pagati per le polizze assicurative sanitarie private che i cittadini scelgono volontariamente per ottenere una copertura sanitaria aggiuntiva o alternativa rispetto a quella offerta dal sistema pubblico.
L’analisi della ripartizione di tali voci in termini di spesa sanitaria corrente, nei Paesi sopracitati e nel medesimo orizzonte temporale, rivela che la spesa out-of-pocket rappresenta la quota più corposa del settore privato. Grecia e Portogallo presentano percentuali elevate, con valori che si aggirano intorno al 30% e 25% rispettivamente, dati che suggeriscono un notevole onere finanziario diretto a carico dei cittadini. In Austria e Belgio, le percentuali sono leggermente più basse, oscillando tra il 15% e il 20%, ma rimangono comunque consistenti.
La spesa per assicurazioni sanitarie private, invece, è più contenuta in tutti i Paesi considerati, pur evidenziandosi una leggera crescita nel corso degli anni in Austria e Belgio, dove la percentuale si avvicina al 5%. In Grecia e Portogallo, la crescita è meno evidente, mantenendosi tendenzialmente al di sotto di tale percentuale.
Per quanto riguarda l’Italia, la spesa sanitaria pubblica si è attestata nel 2022 al 6,8% del PIL, sotto di 0,3 punti percentuali rispetto alla media OCSE (7,1%), con uno scarto di 4,1 punti percentuali dalla Germania (10,9% del PIL). Tale andamento è confermato anche in termini pro-capite: nello stesso anno tale spesa (pari a $ 3.255) era al di sotto della media OCSE con una differenza di $ 644. Nel 2022, la spesa sanitaria privata pro-capite era di $1.036, leggermente inferiore alla media OCSE. Tra il 2011 e il 2022, la spesa out-of-pocket ha oscillato intorno al 21-22% della spesa sanitaria corrente totale, mentre la spesa per assicurazioni sanitarie è aumentata, passando da poco più dell’1% a circa il 3%. Negli ultimi anni, in particolare, si è registrata una crescita continua nel numero di iscritti agli schemi collettivi di assistenza sanitaria, che sono quasi raddoppiati tra il 2014 e il 2020, raggiungendo i 10,6 milioni (Banca d’Italia, 2023).
In quasi tutti Paesi avanzati la crescita del settore privato è stata accompagnata e favorita da varie forme di agevolazioni fiscali (MISSOC, 2023). In Italia, ad esempio, esistono diverse agevolazioni fiscali per la spesa sanitaria privata, sia quella diretta che intermediata da assicurazioni e fondi di assistenza sanitaria. È infatti possibile detrarre dall’Irpef il 19% delle spese sanitarie personali che superano i 129,11 euro. I contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore ai fondi o casse di assistenza sanitari, a seguito di contratti collettivi e accordi aziendali, non concorrono a formare il reddito imponibile del dipendente, fino a un massimo di 3.615,20 euro annui. I contributi versati dal datore di lavoro sono detraibili dal reddito d’impresa del datore di lavoro, riducendo così l’imponibile fiscale dell’azienda. Inoltre, dal 2016, i premi di produttività convertiti in welfare aziendale, che possono essere utilizzati anche per coprire le spese mediche, non sono soggetti ad alcuna tassazione o onere contributivo né per l’azienda né per il lavoratore, entro determinati limiti.
Nei Paesi con un sistema di assicurazione sanitaria nazionale, il dibattito si è focalizzato principalmente sull’opportunità di concedere agevolazioni fiscali per le spese sanitarie private, in particolare per i servizi già forniti dal settore pubblico, piuttosto che sulla possibilità di permettere ai privati di fornire servizi sostitutivi.
Uno degli argomenti a favore di agevolazioni fiscali per la spesa sanitaria privata per servizi già offerti dal servizio pubblico è il cosiddetto effetto sostituzione (Besley e Coate in The American Economic Review, 1991). In un sistema sanitario misto, dove coesistono servizi pubblici e privati, se la qualità dei servizi pubblici è ritenuta inadeguata – ad esempio a causa degli elevati tempi di attesa – le famiglie più ricche preferiranno rivolgersi al settore privato. Di conseguenza, i servizi pubblici saranno utilizzati principalmente dalle persone con redditi più bassi. La scelta delle persone più benestanti di utilizzare i servizi offerti dal settore privato – sia tramite pagamenti diretti o, più comunemente nei Paesi sviluppati, attraverso assicurazioni sanitarie private – allevia il carico sul sistema sanitario pubblico. Questo consente di liberare risorse da destinare al miglioramento del servizio sanitario pubblico a beneficio di coloro che ne usufruiscono. L’effetto sostituzione, quindi, suggerisce che i sistemi sanitari misti possano favorire la redistribuzione delle risorse dai più ricchi ai più poveri attraverso la decongestione del servizio pubblico.
La validità di tale argomento dipende però da ipotesi molto forti.
In primo luogo, coloro che sostituiscono i servizi sanitari pubblici con quelli privati devono continuare a contribuire finanziariamente al sistema pubblico. Tuttavia, l’introduzione di sussidi pubblici per le assicurazioni private e di sgravi fiscali per le spese sanitarie private e/o i premi assicurativi mina questa premessa. Un aumento del numero di sottoscrittori di assicurazioni private e/o un aumento dei premi (o delle spese out-of-pocket nel caso di sgravi fiscali per queste ultime) riduce le risorse disponibili per la spesa pubblica sanitaria. È quindi necessario verificare se la riduzione complessiva dei costi per il sistema sanitario pubblico, derivante dall’effetto di sostituzione, sia maggiore della perdita di risorse pubbliche dovuta ai benefici fiscali sulle spese sanitarie private.
In secondo luogo, l’effetto di sostituzione si basa sull’idea che i servizi sanitari pubblici e privati siano mutualmente esclusivi. Ciò significa che chi sceglie di utilizzare i servizi privati non ricorre a quelli pubblici, pur continuando a contribuire fiscalmente al sistema sanitario pubblico. Tuttavia, la situazione reale è più complessa. I contribuenti con redditi elevati potrebbero usare i servizi pubblici per esigenze di routine o meno gravi, come le vaccinazioni, e rivolgersi per altri servizi al settore privato che offre tempi di attesa più brevi o un rapporto più diretto con il medico. Inoltre, nella maggior parte dei Paesi OCSE, chi utilizza principalmente il settore privato ricorre ai servizi di emergenza e alle cure pubbliche in caso di situazioni critiche. Pertanto, la relazione tra i servizi sanitari pubblici e privati si situa tra la completa esclusività e la perfetta complementarietà (Gouveia in Public Choice, 1997).
In terzo luogo, l’espansione del settore privato non deve avere conseguenze sulla capacità e sui costi del settore pubblico. Se il settore privato drena risorse dal pubblico, l’espansione del settore privato può portare ad un declino nell’accesso e nella qualità delle cure pubbliche. In effetti, è plausibile ipotizzare che l’offerta di personale sanitario sia non modificabile, perlomeno nel breve periodo, e che quindi una espansione del settore privato porti ad una riduzione delle risorse umane disponibili nel settore pubblico e/o ad un aumento del loro costo. Inoltre, la pratica da parte delle compagnie di assicurazione (per i contratti sottoscritti individualmente) di selezionare e attrarre solo i clienti più sani (cream skimming), può avere effetti negativi sui costi del settore pubblico che dovrà fornire assistenza ad una popolazione di utenti a più alto rischio e con bisogni di cure più costosi.
Infine, l’espansione del settore privato potrebbe influenzare negativamente la qualità dei servizi offerti dal settore pubblico anche in un modo indiretto: un aumento dell’uso dei servizi privati può essere accompagnato da una diminuzione del supporto politico per il finanziamento statale della sanità.
Alla luce delle precedenti considerazioni, appare evidente che un punto cruciale per giustificare l’introduzione di benefici fiscali per le spese sanitarie private sia proprio appurare l’esistenza e la portata dell’effetto sostituzione. In altre parole, la domanda è in che misura, in un sistema assicurativo misto, le persone sostituiscono il consumo pubblico con quello privato oppure, al contrario, ampliano il consumo privato senza ridurre la dipendenza dalle prestazioni pubbliche.
L’analisi dell’effetto sostituzione in vari Paesi ha prodotto finora evidenze non univoche. Mentre per l’Australia gli effetti di sostituzione stimati sono rilevanti – ma comunque non sufficienti a compensare il costo diretto dell’incentivo fiscale sulle spese private – alcuni lavori indicano, per il Regno Unito e per la Spagna, che l’aumento del consumo di servizi privati non riduce la domanda per il servizio pubblico. Uno studio condotto su dati italiani (Fabbri e Monfardini in Oxford Bullettin of Economics and Statistics, 2016) sembra invece confermare l’esistenza dell’effetto sostituzione.
In conclusione, il verificarsi dell’effetto sostituzione, che giustificherebbe la deducibilità fiscale delle spese sanitarie, si basa su ipotesi che devono essere attentamente valutate. La prima è che vi sia effettivamente sostituzione tra servizi privati e pubblici; la seconda che il risparmio di costi sia sufficiente a coprire le perdite di bilancio legate agli sgravi fiscali; la terza, ma non meno importante, è che la riduzione della platea di coloro che usufruiscono della sanità pubblica non indebolisca il supporto politico a sostegno di quest’ultima. Questo potrebbe tradursi nel lungo periodo in un peggioramento della qualità del servizio pubblico, che rischierebbe di diventare “scadente” e ad uso esclusivo delle fasce più povere della popolazione.