La cura come antidoto alla mercificazione della salute. La proposta di Sandro Spinsanti.
Il nostro servizio sanitario nazionale (SSN) è sottoposto ad una erosione sempre più grave dei suoi principi ispiratori di universalità e di uguaglianza: le persone a basso reddito scontano attese di molti mesi per una visita specialistica, mentre chi può pagare si rivolge al sistema privato (aspetta o paga), poco meno della metà degli abitanti di Calabria e Campania quando necessitano di un ricovero devono emigrare in un’altra regione. Questo è avvenuto e avviene a causa del sottofinanziamento del SSN: come sappiamo l’Italia ha una spesa pubblica per la sanità tra le più basse d’Europa – circa la metà di quella della Germania. Di qui la carenza di risorse su tutti i piani: ospedali vecchi e attrezzature obsolete, mancanza di almeno 20.000 medici e 65.000 infermieri; di qui i molti disservizi e la lesione al diritto alla salute delle persone, tra cui la questione delle liste d’attesa (il 50% delle visite specialistiche è ormai effettuato privatamente) è solo la più evidente. Per “sistemare” questa situazione c’è un progetto non del tutto dichiarato, ma evidente: interverrà (e lo sta già facendo) il settore privato, oggi in forte espansione, nelle sue varie articolazioni (dal privato convenzionato al privato puro, alle assicurazioni anche tramite i sistemi di welfare aziendale), offrendo quelle prestazioni che il SSN non può garantire o meglio che non si vuole che garantisca, negandogli il necessario finanziamento.
Il mercato della sanità è molto appetibile per l’investitore privato (si parla di finanziarizzazione della sanità [1]), ma per le persone pone diversi interrogativi. La salute (ed eventualmente un malato) è una merce ? E’ facile arginare l’invadenza di un mercato tanto più se ingombrante, cioè distinguere l’intervento medico essenziale da quello superfluo ? Gli aspetti etici, tra cui l’equità dell’accesso per tutti ad una cura di qualità, non sono a rischio di essere distorti? Come rimediare al conflitto tra interesse del paziente per la sua salute e interesse, per esempio, dell’assicurazione per il suo guadagno ? Nel suo libro “La responsabilità della cura – oltre l’orizzonte delle prestazioni sanitarie” Sandro Spinsanti non tratta direttamente di questi aspetti della deriva sanitaria in cui siamo coinvolti, non ne svolge un’analisi, ma ci dà le risorse per trovare le risposte e ci illustra quello che può essere un potente strumento di contestazione e di contrasto, nelle mani degli operatori della salute: la cura delle persone.
Dei tanti argomenti che espone quello più legato ai cambiamenti in atto è la differenza tra prendersi cura ed erogare prestazioni, due modi di operare che sempre più spesso vengono presentati sullo stesso piano, come possibili alternative asetticamente interscambiabili, cosa che, il libro ci spiega, non sono. Fenomeni come medici a gettone, liste d’attesa, malati sulle barelle in Pronto Soccorso sono quotidianamente colti come aspetti e segnali di un sistema sanitario in grande difficoltà, fortemente definanziato. Secondo le stime[2] di aprile 2024 il finanziamento sanitario di quest’anno si attesta al 6,27% del Pil, livello più basso dal 2007 e sostanzialmente confermato fino al 2026.
Ma non deve sfuggire che nel loro insieme sono anche indicatori di una spinta a cambiare piano piano per passetti successivi apparentemente slegati tra loro, i nostri riferimenti culturali sulla salute e sulla sanità: i principi di universalità, uguaglianza, equità e solidarietà. Anche, e soprattutto, questo significa l’enfasi con la quale la parola e la pratica della “prestazione” sta sostituendo quella della “cura”. O meglio, i fenomeni accennati sopra rappresentano l’antiparadigma della cura, intesa come cura del corpo e dell’anima per permettere alla persona di esprimere il proprio poter essere. La cura della persona, e più ancora il prendersi cura, è un atto complesso fatto di biologia e di relazione, di ascolto e di proposta, di competenze tecniche e di etica. La prestazione è il tentativo della sua scomposizione in atti isolati, è il vedere la salute come la somma di risposte tecnico-amministrative, economicistiche o al massimo di riparazione di un pezzo del corpo un po’ danneggiato. Ed è anche funzionale a trasformare la nostra salute, i nostri disturbi, in oggetto del mercato, nel più ampio ambito del consumismo sanitario.
In questo senso il modello della prestazione, influenzato dall’impronta del sistema assicurativo, bene si inserisce nell’aziendalismo (non è un caso che i nostri servizi sanitari siano in molte regioni definiti “Aziende”), nell’esternalizzazione, nel neoliberismo. Immaginiamo i cosiddetti medici a gettone in pronto soccorso, luogo dove la persona, al di là dell’oggettiva gravità del suo problema, vive un momento di dubbio, di paura, di fragilità. Questi sono colleghi occasionali che si spostano, di turno in turno, da un ospedale all’altro dove c’è bisogno di tappare i buchi per la mancanza di personale dipendente; oggi ci sono e domani non più. Dove è il senso dell’équipe e la possibilità di essere un gruppo affiatato in grado di prendersi cura della persona? I medici a gettone non conoscono gli altri operatori con cui passeranno quella notte, l’ambiente anche sociale in cui devono lavorare, l’organizzazione della struttura, il software gestionale; come possono essere parte di un rapporto medico paziente, se pure allargato ?
Le liste d’attesa portano i sistemi di prenotazione ad offrire le visite specialistiche in luoghi anche molto lontani dall’abitazione degli assistiti e un recente monitoraggio di Agenas [3] riporta che il 51% dei pazienti non accetta la sede di prima disponibilità. Il sistema infatti offre la struttura che di volta in volta presenta la prima data libera per quella visita, per cui per una patologia che richiede un monitoraggio specialistico frequente al paziente possono essere offerti sedi sempre differenti, con buona pace della conoscenza reciproca costruita nel tempo con lo specialista, dei dati anamnestici già raccolti e della continuità terapeutica. Ma si potrà dire che la prestazione è stata effettuata.
Le barelle che affollano i Pronto Soccorso (il cosiddetto boarding), sulle quali la gente sta anche per 4-5 giorni in attesa che si trovi un posto nel reparto adeguato, quale cura garantiscono ai pazienti ? In molti casi la sofferenza non è solo dei pazienti, senza privacy, precari, confusi; anche il medico che non ha tutti gli strumenti e la possibilità per lavorare bene e si rende conto di non fare l’interesse del paziente tradendone in qualche modo la fiducia, ne soffre, avverte una ferita morale (moral injury), tende a lasciare quel lavoro. Una indagine della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici e degli Odontoiatri (FNOMCeO) evidenzia che il 40% dei medici dice che potrebbe essere interessato ad andare a lavorare all’estero o comunque a lasciare il Servizio sanitario nazionale, passando al settore privato.
Per il paziente la differenza tra cura e prestazioni corrisponde a quella tra essere considerato una persona o essere ridotto al proprio organo malato. Dal punto di vista del medico, il lavoro meccanicistico solo per prestazioni fa perdere il senso, anche etico, della professione. Questo libro ha l’obiettivo di spingerci a rimettere al centro la cura della persona e ci offre, dalle sue pagine, gli attrezzi etici per farlo con consapevolezza.
Guido Giustetto. Presidente Ordine Medici Chirurghi e Odontoiatri di Torino
Riferimenti
[1] https://www.saluteinternazionale.info/2024/04/la-finanziarizzazione-della-sanita/
[2] https://www.ilsole24ore.com/art/sanita-fondi-scesi-63percento-pil-minimi-2007-AFqPqfMD
[3] Agenas. Monitoraggio ex-ante dei tempi di attesa delle prestazioni ambulatoriali – anno 2023 – attività di sperimentazione.