Il 7 agosto 2024 è stata istituita una commissione parlamentare su Covid-19 in Italia che deve rispondere a domande tecnico-scientifiche, ma persistono preoccupazioni sulla qualità dei dati utilizzati per valutare l’efficacia dei vaccini. La controversia sui vaccini, amplificata dalla pandemia, evidenzia la necessità di un confronto scientifico aperto e indipendente – necessità che anche Scienza in rete sostiene, per poter trovare uno spazio di discussione metodologica seria che contribuisca in modo costruttivo al dibattito.
Il 7 agosto 2024 è stata costituita la commissione parlamentare sul Covid-19 e il presidente GIMBE Nino Cartabellotta, in un’intervista all’Huffington Post, ha confermato il suo parere di prevedibile inconcludenza e pericolosità. Vi è ragione per dubitare, come fa Luca Carra su Scienza in rete, che la politica italiana riesca ad andare oltre uno scontro polarizzato e concentri invece la sua attenzione su questioni di prevalente interesse giudiziario.
Come è però evidente dal testo in Gazzetta Ufficiale, gli obiettivi tecnico-scientifici della Commissione Parlamentare necessariamente dovranno avere una risposta. In un’intervista, sempre all’Huffington Post, Lucio Malan, senatore di FDI e membro della commissione, ha confermato, con l’autorevolezza di un suo ruolo da protagonista, l’intenzione di affrontarli, come previsto dal mandato ricevuto, con un calendario di audizioni di esperti italiani e stranieri. Lo stesso giorno delle nomine, La Verità, il giornale nazionale più schierato nella critica delle politiche delle istituzioni sanitarie anche internazionali e vivace portavoce di posizioni anti-vax, ha rilanciato le dichiarazioni dell’epidemiologo milanese Alberto Donzelli, che ha anticipato come presto porterà all’attenzione della commissione dati scientifici importanti sugli eventi avversi dei vaccini.
A livello tecnico-scientifico internazionale, su molte questioni della gestione della pandemia e delle politiche vaccinali è in atto uno duro scontro che coinvolge riviste importanti come il British Medical Journal (BMJ). Un articolo sugli eccessi di mortalità da Covid-19 pubblicato dal giornale con molte riserve è stato recentemente commentato su Scienza in rete da Ettore Meccia.
Diverse valutazioni critiche sulle scelte di policy durante la pandemia, a mio parere, sono state molto distorte e inasprite dalla situazione di emergenza, che certamente ha favorito una polarizzazione anche nel mondo scientifico e che ancora oggi è difficile superare. Queste controversie non si fermano nel mondo della ricerca e attirano l’attenzione nei media e nei social innestando dubbi e contrapposizioni spesso esasperate. Non si vedono all’orizzonte nel nostro paese iniziative istituzionali di sanità pubblica (è stata ventilata un’ipotesi di commissione tecnica del Ministero della Salute, ma al momento non se ne sa nulla) che contribuiscano a una seria valutazione e a lezioni da apprendere per il futuro, come si è cercato di realizzare in alcuni paesi occidentali, anche se con momenti di duro confronto di merito e di metodo.
I vaccini, come è ben noto, sono fin dall’800 causa di controversie e hanno sempre avuto la caratteristica di coinvolgere l’opinione pubblica. In Italia gli scontri più recenti hanno portato a confronti giudiziari, ma si è sviluppato poco il confronto scientifico (che è stato invece pubblicato sul BMJ). È mio parere che, nelle controversie scientifiche, l’unico modo per non subordinare la difficile e sempre discutibile ricerca della verità scientifica all’ideologia (o alla politica) sia mantenere centrale il confronto tecnico-scientifico sull’insieme dei dati disponibili. Quando le istituzioni, le commissioni parlamentari o le riviste scientifiche, anche attraverso i giornali o i media, fanno proprie, in forma ideologica e polarizzata, posizioni tecniche senza la chiara consapevolezza della loro evidenza scientifica, effettiva solidità e dei loro limiti, la sanità pubblica corre un grande pericolo.
Il dataset Abruzzo, un caso editoriale da discutere
Nel 2022, Acuti Martellucci e colleghi hanno pubblicato su Vaccines un’analisi dei dati della popolazione abruzzese, basata sul flusso nazionale e regionale attivo per la sorveglianza pandemica Covid-19. L’analisi della coorte di popolazione valutava positivamente, anche se con riserve su possibili errori (bias) legati alla pratica del secondo e terzo booster, l’efficacia real-world dei vaccini anti-SARS-CoV-2 (vaccine effectiveness) contro l’infezione, la ospedalizzazione e la morte correlata a Covid-19. L’analisi era riferita al periodo di avvio della campagna vaccinale, e nello specifico, metteva in evidenza l’impatto durante l’ondata della variante Omicron.
In articoli successivi, lo stesso gruppo di lavoro ha utilizzato i dati della sola Provincia di Pescara e, nell’agosto 2023, un altro studio ha riportato una valutazione di efficacia vaccinale a 18 mesi, sottolineando come durante la fase Omicron solo il gruppo che aveva ricevuto almeno un booster mostrava un rischio ridotto di decesso per cause Covid-19 correlate. Nel dicembre 2022, un altro studio, con prima autrice la medica Maria Elena Flacco, segnalava che la vaccinazione non era associata a eventi importanti potenzialmente correlati alla vaccinazione e analizzava il rischio di mortalità per tutte le cause non-Covid a 18 mesi.
Nel 2023, un articolo che proponeva una rianalisi degli stessi dati della Provincia di Pescara, firmato come primo nome dal noto epidemiologo Franco Berrino (con Donzelli, Bellavite e Malatesta come coautori e un commento online dell’epidemiologo Rodolfo Saracci) su Epidemiologia&Prevenzione, la rivista dell’Associazione italiana di epidemiologia, identificava un importante problema metodologico nel lavoro di Flacco e colleghi. Noto in ambito epidemiologico come immortal time bias, l’errore consiste, in breve, in un erroneo calcolo delle persone di ogni gruppo (vaccinati/non vaccinati) e del tempo che vi hanno trascorso (per esempio se una persona viene vaccinata solo dopo un certo lasso di tempo), un conteggio detto “denominatore” nelle statistiche. Quando corretto il denominatore, il tasso di mortalità grezzo delle persone vaccinate e non vaccinate diventava lo stesso e il tasso di mortalità totale non-Covid-19 risultava sovrastimato nei non vaccinati, così come quello nei gruppi che avevano avuto 1, 2 o 3 dosi. Si riconosceva la possibile presenza di altri bias, in particolare riguardanti la comparabilità dl tempo di calendario e della stagionalità, e si rimandava quindi a successivi approfondimenti. Naturalmente questo risultato ne rimetteva in discussione gli altri, in particolare l’esclusione del verificarsi di eccessi di eventi avversi e la riduzione dei decessi attribuiti a Covid-19.
Il 30 giugno 2024, è stata pubblicata su Microorganisms, una rivista dello stesso gruppo MDPI che pubblica Vaccines, una nuova analisi delle morti per tutte le cause non-Covid-19 durante la vaccinazione nella provincia di Pescara, a prima firma di Marco Alessandria. Gli autori hanno confrontato i rischi di morte tra le persone vaccinate con 1, 2 o 3-4 dosi di vaccino (analisi univariata): i risultati iniziali hanno mostrato che il rischio di morte era leggermente inferiore per chi aveva ricevuto una sola dose, ma più alto per chi aveva ricevuto 2 o 3/4 dosi. Quando però i ricercatori hanno considerato altri fattori che potevano influenzare i risultati (analisi multivariata), come la presenza di altre malattie, è emerso che i rischi di morte erano aumentati in tutti i gruppi vaccinati.
Nel testo è contenuta un’interessante novità. Dopo una revisione delle cause di decesso correlate a Covid-19, che mostravano un pesante errore di classificazione, diversi a seconda del numero di dosi ricevute, gli autori concludono che è “impossibile” credere che una stima per queste cause sia attendibile e quindi non consideravano valido il parametro statistico per misurare l’esito relativo ai decessi Covid-19 correlati.
A complemento di queste valutazioni analitiche, la questione della qualità dei dati utilizzati è importante. Uno studio del maggio 2023, condotto su più di 2 milioni di persone del Regno Unito, utilizza per la definizione dei fattori confondenti record informativi elettronici che sono integrati da diversi database su base di popolazione. Questo lavoro ha usato dati elettronici integrati da diversi database, permettendo di raccogliere informazioni dettagliate sulle malattie preesistenti (le cosiddette comorbidità) e di fare valutazioni che tengono conto di come queste condizioni cambiano nel tempo. Gli autori hanno riconosciuto che, nonostante ci sia sempre un rischio di errore quando si usano questi dati (soprattutto per fattori che non possono essere misurati con precisione), l’uso di dati elettronici offre comunque un’ampia e omogenea raccolta di informazioni, considerata molto utile e necessaria. Al contrario, i dati raccolti specificamente per Covid-19 in Abruzzo, come nel caso del dataset usato nello studio di Pescara, sono più limitati. Questi dati si basano su domande fatte al momento della vaccinazione, riguardano solo poche malattie, e non sono stati verificati con altre fonti, rendendoli meno accurati e meno completi.
La conclusione finale che Alessandria e colleghi traggono da questo lavoro è che sono necessari ulteriori studi ma che comunque questi dati sono un’opportunità per ripensare scelte politiche sulla gestione della pandemia e che sorreggono scelte politiche di maggiore cautela in futuro.
La ricerca, le controversie e i dati epidemiologici
Questa storia editoriale di un dataset di popolazione italiano, peraltro ancora non conclusa, sull’efficacia real-world dei vaccini dimostra quanto sia oggi complesso già solo seguire nella diversità e contraddittorietà delle diverse pubblicazioni la valutazione analitica di uno stesso dataset. Questa complessità è esplosa in maniera imprevedibile in epoca Covid-19, quando le pubblicazioni scientifiche hanno avuto un grande sviluppo con una novità come quella dei repository di articoli in attesa di peer-review, che ha facilitato la loro immediata diffusione nei media e nei social. Oggi vi è nel mondo scientifico una grande attenzione metodologica alle analisi di efficacia real-world dei vaccini Covid-19. La recente presa di posizione che abbiamo citato (Hulme et al, 2023), basata su un grande dataset di dati integrati nazionali del Regno Unito, è stata firmata da importanti metodologi inglesi e statunitensi e il titolo parla delle importanti sfide analitiche che pone questa stima di vaccine effectiveness negli studi osservazionali.
Molti sono i lavori metodologici, istituzionali o no, che sono stati condotti nel mondo, e tutti hanno sottolineato la complessità e dimostrato i limiti nelle stime in assenza di disegni dello studio adeguati. Il contributo della metodologia epidemiologica, come ha dimostrato il dataset Abruzzo, è la base per consentire una corretta interpretazione dei dati. Errori di disegno, debolezze nella qualità dei dati, analisi non adeguate degli studi di efficacia vaccinale come quelle segnalate sono assai pericolosi, anche perché divengono fattori potenti di polarizzazione.
Promuovere oggi una validazione basata su un solo studio senza tenere in considerazione le complesse valutazioni in corso, basate su grandi e qualitativamente valutati dataset, o delle pubblicazioni dei sistemi di sorveglianza italiani e internazionali, significa voler contribuire a innestare un cortocircuito mediatico. Le valutazioni metodologicamente approfondite attualmente presenti nella letteratura internazionale non vanno nella direzione suggerita da Alessandria con conclusioni che sono inconclusive e incerte e basate come sono su dati che mostrano problemi di qualità sostanziale.
Lo stato del dibattito scientifico
È necessario sottolineare un aspetto caratteristico della diffusione della ricerca scientifica in Italia. La produzione nazionale di ricerca in campo medico scientifico è importante, spesso originale e apprezzata; lo è stata anche in epoca Covid-19 e nel post pandemia (più di 3000 le citazioni PubMed inserendo genericamente Covid19 e Italy, che divengono circa 2000 aggiungendo il temine epidemiology). La produzione scientifica è in inglese, non diviene patrimonio diffuso nella pubblica opinione italiana (anche professionale). Nessuno, a meno che non ci fosse qualche scandalosa notizia, ha letto o ripreso gli articoli, se non nella propria nicchia di riferimento. Non ci sono in italiano riviste scientifiche, media o social in cui i tanti interessati (come si è visto sui media e sui social durante la pandemia) possano conoscerli e si riesca a sviluppare un dibattito scientifico qualificato che coinvolga i professionisti e gli interessati. Questo è ciò che avviene in altri paesi con riviste ad ampia diffusione, come sono riviste come il BMJ o JAMA, proprietà dei rispettivi ordini dei medici e distribuiti loro settimanalmente, o con pubblicazioni di grande tradizione come The Lancet o il NEJM.
Per un luogo di discussione aperto e indipendente
In assenza di iniziative istituzionali e di un luogo di dibattito pubblico e di qualità scientifica adeguata e in attesa che la Commissione parlamentare decida il suo calendario di lavoro e le audizioni di esperti, sarebbe necessario vi fosse un’iniziativa per creare un luogo aperto e indipendente di discussione e comunicazione, che solleciti la partecipazione di professionisti, a partire dagli esperti in metodologia, epidemiologia e biostatistica che hanno contribuito alla ricerca italiana sul Covid-19 o che stanno lavorando anche all’estero su questi aspetti. Il confronto pubblico deve essere sui dati e sui metodi, e deve nascere da una preliminare conoscenza di quanto la ricerca italiana su questi temi ha prodotto in questi anni in Italia da parte sia di ricercatori locali sia di quelli che lavorano all’estero. È necessario partire dal riconoscimento della debolezza del nostro sistema informativo e dalle risposte che su questo aspetto, anche con il PNRR, saranno date, ma che purtroppo non sono tuttora possibili in tempi rapidi. Un dibattito serio e un confronto di merito su questi temi c’è stato recentemente su Epidemiologia&Prevenzione proprio riguardo alla valutazione della efficacia vaccinale nell’area milanese (qui la lettera, qui la risposta) e ha coinvolto gli autori dell’articolo e un commento di un gruppo che includeva anche Donzelli.
In assenza di un’iniziativa organizzata che si ponga l’obiettivo di approfondire e discutere basandosi sui dati prodotti in Italia e nel mondo, questi scambi rimangono di nicchia e, come in questo caso, in sospeso. Le controversie scientifiche sono oggi molto complesse e devono essere accompagnate da una comunicazione che sia responsabile e competente e anche orientate a confrontarsi per incidere nelle decisioni di sanità pubblica. Non si deve puntare all’unanimità o alle mediazioni: la scienza è fatta di pareri e interpretazioni diverse, ma non si può continuare ad avere confronti che mirano soprattutto a un impatto mediatico. La garanzia di trasparenza del confronto e la necessità di comunicare devono essere garantite in maniera organizzata, in modo che la valutazione sia fatta alla luce del sole e in un confronto pubblico ad ampia diffusione anche su media e social.
Il rischio del silenzio, a fronte di una comunicazione polarizzata da un lato e di una politica istituzionale del “lasciateci lavorare” è che la competenza scientifica italiana, e specialmente quella epidemiologica e metodologica, risulti ulteriormente ridimensionata. È un invito, soprattutto a chi fa ricerca e a chi edita riviste come Epidemiologia&Prevenzione o come Scienza in rete che fa comunicazione scientifica, a costruire uno spazio organizzato ove questo confronto, grazie ai professionisti e alle società scientifiche della sanità pubblica possa concretizzarsi. Di questi tempi, una “oscena proposta”.
Una nota: sulla rivista Vaccines di MDPI (che non è il più conosciuto Vaccine di Elsevier) sono stati pubblicati i diversi articoli basati sul database Abruzzo con risultati che ne hanno modificato l’interpretazione. L’ultimo, quello di Alessandria et al, è stato pubblicato su una rivista, Microorganisms, che non è usa pubblicare lavori di tipo statistico epidemiologico, bensì di tipo microbiologico. Le riviste scientifiche sono oggi divenute depositi di articoli, anche se peer-reviewed, e per lo più non producono sintesi di problemi aperti. Si pubblicano articoli che, come nel caso in questione, smentiscono il già pubblicato, che però rimane in PubMed, senza neanche avvisare i lettori dei precedenti articoli, cioè senza alcun warning. Questo, a livello internazionale, rimanda alla necessità di un difficile riassetto nella prassi di pubblicazione degli articoli scientifici e del ruolo dei giornali scientifici e dei social di cui si dovrebbe parlare di più in termini di contenuti oltre che per gli aspetti finanziari (certamente cruciali).
l’Autore
Eugenio Paci: Medico epidemiologo, è stato per anni direttore dell’unità operativa di Epidemiologia Clinica e Descrittiva dell’Istituto per lo studio, la ricerca e la rete oncologica (ISPRO) di Firenze. Ha partecipato a numerose attività di ricerca nazionali e internazionali per la valutazione epidemiologica in campo oncologico e in particolare degli screening. Ha collaborato a ricerche di valutazione qualitativa in oncologia e delle cure palliative e ha lavorato nel campo della informazione e comunicazione in oncologia. È stato segretario nazionale dell’Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM), nonché presidente dell’Associazione Italiana di Epidemiologia e direttore scientifico della rivista Epidemiologia e prevenzione. È stato membro del comitato etico dell’ospedale universitario Meyer (Firenze) ed è membro del comitato direttivo della Lega Italiana contro i tumori (LILT) di Firenze. Autore di “Mammografia.Tecnologia, emozioni e controversie nella diagnosi precoce del tumore del seno”, Il Pensiero Scientifico Editore.